Amianto-killer a Trieste e Monfalcone

da Il Piccolo del 1 marzo 2014

Amianto-killer a Trieste e Monfalcone: i numeri sono da record mondiale

Il convegno sul tumore polmonare tenutosi al Savoia ha evidenziato i lavori a rischio in industrie, cantieri e nella pesca

Per esposizione all’amianto in ambiente di lavoro Monfalcone è uno dei casi più gravi al mondo. E Trieste la segue. Non solo l’amianto dei cantieri navali ma molti altri settori mettono la nostra regione in una triste lista nera: si ammalano di tumore polmonare più degli altri quelli che prendono lo stipendio nelle costruzioni, nel tessile, nel cartario, nei trasporti. E nella pesca: nessuno l’aveva mai detto. Anche Grado e il Basso Isontino sono dunque in questa situazione. A Trieste si aggiunge la siderurgia (Ferriera). A Monfalcone 2700 persone che hanno lavorato a contatto con l’amianto sono state monitorate dal 1979 al 2008. Si è riscontrata un’incidenza di 10 volte maggiore di mesotelioma rispetto al resto del Fvg, di 4 volte per il cancro al polmone, di 8 volte se con l’amianto si è lavorato per almeno 10 anni, e la sigaretta raddoppia ancora il numero.

Di questa drammatica sintesi e del fatto che per il mesotelioma non c’è ancora non solo una cura, ma nemmeno la possibilità di fare una diagnosi precoce (che invece è possibile per i forti fumatori), ha parlato ieri il triestino Fabio Barbone, direttore dell’Istituto di Igiene e epidemiologia clinica dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, al convegno regionale intitolato “Tumore del polmone: linee guida, evidenze emergenti, nuovi scenari clinici e sociali” a cura di Alessandra Bearz del Cro di Aviano e di Gianpiero Fasola, direttore del Dipartimento di oncologia dell’ospedale di Udine e autore di importanti ricerche proprio sulle malattie amianto-correlate.

Uno dei grandi problemi affrontati è appunto se “monitorare”, anche con Tac spirale, Tac ad alta risoluzione, biopsie, persone esposte ad amianto consente o meno di fare una diagnosi precoce e salvavita. Su 1045 casi monitorati da Fasola e ricontrollati oggi con Barbone è risultato che la metà degli analizzati era risultato “positivo”, ma che poi solo 10 hanno sviluppato la malattia. È giusto e utile fare esami tanto invasivi? Lo studio darà una risposta finale il prossimo anno. Intanto arriva un’altra sorpresa: in questo gruppo a distanza di 10 anni non si è rivelata maggiore incidenza di tumore al polmone.

Ma la relazione lavoro-ambiente non riguarda solo il terribile killer amianto. A Monfalcone, sede di cantieri navali, si teme anche per la centrale a carbone e a Trieste per i fumi e le emissioni della Ferriera. E qui ieri si è messa un’altra parola importante dopo il “report” emesso dall’Osservatorio ambiente e salute della Regione che ha proprio nei giorni scorsi dedotto, sulla base dell’analisi di dati clinici, che attorno alla Ferriera non ci si ammala di più che in altre aree urbane e perfino rispetto ad altre città senza siderurgia. «La differenza – ha assicurato Diego Serraino, direttore del Registro tumori del Fvg e del servizio di Epidemiologia del Cro di Aviano – emerge tra città nel suo complesso e Carso. In Carso ci aspettavamo, analizzando il periodo 1995-2007, 400 casi di tumore al polmone e ne abbiamo trovati 344. Per le donne vivere a 800 metri dalla cokeria, in città o in Carso non cambia nulla, troviamo solo 2 tumori all’anno. Per gli uomini l’incidenza è un po’ maggiore, 124 tumori attorno alla fabbrica a fronte di 103 in Carso. Ma quali sono le vere ragioni? – si chiede Serraino – Forse gli uomini erano anche esposti all’amianto? Forse fumavano di più? Quale quota di tumori è attribuibile alla Ferriera? Bisognerebbe (ma è una decisione politica) decidere se investire su un’analisi più approfondita. Però, anche se ogni malato vale per sè, statisticamente il dato è davvero irrilevante».

Serraino conferma un’altra cosa. Che sono in campo, per la comprensibile emotività che il tema suscita a livello collettivo, due “filiere” abbastanza divergenti che creano evidenze diverse e talora incompatibili: «Le notizie sui tumori da ambiente derivano spesso da una ricerca ordinata dal magistrato, che la passa al pm, che la passa ai giornali. Ma nessun istituto che studia il cancro prenderebbe l’analisi del magistrato come scientifica. Per arrivare a conclusioni certe si spendono milioni di dollari per molti anni in ricerca. L’acquisizione di conoscenza così certa da potersi tradurre in legge è un processo lento. La correlazione tra sigaretta e tumore al polmone ha richiesto 50-60 anni per essere certa. Oltre 30 anni per definire il rapporto tra Papilloma virus e tumore alla cervice uterina. Una cosa è sicura: l’inquinamento di “oggi” non ha nessuna relazione con le malattie di “oggi”. Oggi abbiamo tumori per cause attive negli anni ’60 e ’70. Sacrosanto però che per legge si protegga l’ambiente: quando il semaforo è rosso non si deve passare mai».