da Messaggero Veneto di Pordenne
Immigrati in corteo a Pordenone con qualche momento di tensione
PORDENONE. Il cuore africano di Pordenone chiama. Chiede diritti e dignità. In centinaia – 1500 per gli organizzatori, più di 500 per la Questura – gli immigrati che hanno sfilato in corteo per denunciare una situazione, dal rinnovo dei permessi di soggiorno al lavoro, invivibile. Non senza momenti di tensione: con l’occupazione del piazzale della questura e il blocco del traffico.
«Se non cambierà, Tunisia ed Egitto anche qua». Recitava così uno dei tanti cartelli e striscioni che i cittadini stranieri residenti in provincia hanno portato in piazza ieri pomeriggio.
Forti del numero, i partecipanti si sono spinti oltre quanto avevano concordato con la polizia: hanno occupato il piazzale della Questura e l’incrocio tra viale Marconi via Matteotti e via XXX aprile. Qualcuno ha tentato di avvicinarsi all’ingresso della Questura, ma senza che il desiderio di occupazione suggerito da pochi prendesse il sopravvento. Altra interruzione del traffico in via Oberdan, dove non sono mancati diverbi con gli automobilisti spazientiti per il protrarsi dell’attesa. Proprio all’incrocio con corso Garibaldi si è fermata la coda del corteo, tra le imprecazioni di chi è rimasto in auto ad aspettare.
Gli organizzatori, dall’Associazione immigrati alle co,munità di stranieri ai sostenitori italiani di Rc e, nell’area anarchica, di Iniziativa Libertaria, non si aspettavano questa partecipazione. L’i nvito ai manifestanti è stato a rimanere calmi e aspettare l’esito degli imminenti incontri in Questura, Prefettura e Comune. «Se non saremo ascoltati – hanno spiegato Mauro Marra e Luigina Perosa (che sfoggiava un cartello con la scritta «immigrati non lasciateci soli con gli italiani») – torneremo in piazza, più numerosi».
Tante le storie. «Possibile che dopo 20 anni che sono qui devo rinnovare ogni anno il permesso di soggiorno e adesso che sono senza lavoro rischio di essere mandato a casa senza un euro, dopo che ho pagato i contributi per 18 anni?» chiedeva Steve, 47 anni, originario del Ghana. «Chi rinnova il permesso deve aspettare un anno e più e quando arriva in questura a ritirarlo si trova con un documento che ha ancora la durata di un mese, poi deve ricominciare». E pensare che prima della Bossi Fini, fino alla metà degli anni ’90, «in due settimane avevi il documento».
E chi oggi è senza lavoro e senza permesso, magari ha tutta la famiglia qua: «Io ho comprato anche casa – racconta un altro cittadino –. E’ giusto che mi mandino via?».
C’è chi si lamenta perché vive con mille euro, 400 euro d’affitto e quattro persone a carico «ma il comune non mi dà niente perché mi ha detto che non può aiutare tutti». C’è chi, come Elizabeth, ha avuto una bambina senza avere il permesso di soggiorno. La bimba, nata in Italia, oggi ha quattro anni ma è ancora “clandestina”.
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dal GAZZETTINO di Pordenone
Domenica 6 Febbraio 2011,
C’è chi, dopo anni in Italia, ha perso il lavoro e si è visto recapitare il foglio di via, ma in tasca non ha neanche i soldi per il biglietto di ritorno nel Paese d’origine per sè e la famiglia; chi è in attesa da due anni di un permesso di soggiorno che non arriva; chi lavoro e permesso ce li ha, ma ora deve affrontare lo scoglio dell’esame d’italiano per il permesso di soggiorno di lungo periodo. O chi fa tutti i giorni lo slalom fra i paletti della burocrazia. Oltre millecinquecento (per gli organizzatori) storie di ordinaria immigrazione, che ieri hanno pacificamente, ma rumorosamente invaso la città, nella prima grande manifestazione che ha portato in piazza problemi e denunce di una parte consistente della popolazione pordenonese che paga più ancora degli altri la crisi economica.
Adulti, giovani, ma anche famiglie con bambini e anziani, a dimostrazione di un’immigrazione che ha ormai radici solide. “Senza migranti l’Italia non va avanti” è il motto che hanno declamato più spesso, nel lungo corteo che ha attraversato tutto il centro facendo tappa davanti ad alcuni edifici simbolo dei disagi: Questura, Provincia (con slogan contro il presidente Ciriani) e Comune. Campanacci improvvisati, tamburi, sirene e tanti cartelli e striscioni scritti in un italiano inevitabilmente sgrammaticato: ogni strumento è buono per dare alla protesta, comunque, il volto di una festa. E se a qualcuno, durante il corteo, scappa un gesto di rabbia verso un cassonetto, subito compare qualcun altro a richiamarlo e a rimettere a posto. Sotto gli sguardi curiosi, sorpresi, a volte anche intimoriti e seccati dei pordenonesi («Non dovrebbero essere permesse queste cose», si commenta in Corso Garibaldi), il corteo si è mosso da piazzetta Cavour verso piazza XX Settembre, via Cavallotti, via Marconi, via XX Aprile e poi ancora giù verso il Corso, improvvisando pittoreschi sit in davanti ai (pochi) automobilisti fermi ai semafori. Qualcuno si è steso sulle strisce pedonali, qualcun altro ha sistemato i manifesti sui vetri anteriori di auto e bus, creando difficoltà al traffico. La stragrande maggioranza dei partecipanti è di origine africana: ghanesi, nigeriani, camerunensi, ma non manca chi arriva, per esempio, dal Pakistan. Esigua, invece, la presenza di italiani, a cominciare dai politici; unica eccezione, il consigliere regionale Roberto Antonaz. Nel corteo e nei discorsi al megafono si mescolano inglese, francese e non solo, ma a fare da collante è l’italiano, sia pure incerto, dei manifesti buttati giù lì per lì per far conoscere le richieste: “Dateci i nostri contributi e prendetevi nostri documenti”, “Contro il razzismo dell’85 per cento dei pordenonesi” e, con riferimento ai fatti recenti, «Se non cambierà, Tunisia ed Egitto anche qua».
«Abbiamo dimostrato che a Pordenone i migranti ci sono e sono anche incazzati – ha commentato alla fine della manifestazione il presidente dell’Associazione immigrati, Mauro Marra, dedicando la manifestazione al suo vice Kanish Mvudisa, recentemente scomparso – A questo punto fisseremo incontri con la Questura, la Prefettura e il Comune per portare avanti le nostre richieste. Vi richiameremo, state pronti».
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