Dal messaggero veneto del 17/04/11
«Ogm proibiti, a volte finiscono nel piatto»
PORDENONE Ogm sí o no? Al momento non è questa la domanda che dobbiamo porci, assodato che in Europa i prodotti transgenici non possono essere coltivati. A maggior ragione in Friuli Venezia Giulia, dove una legge del Consiglio regionale approvata il 30 marzo con voto trasversale stabilisce che non si potranno più seminare. Ma ci chiediamo, piuttosto, cosa mangiamo? Perché, se da un lato non si autorizza, dall’altro, ipocritamente, si permette il consumo e i miliardi di Ogm che girano per il mondo ce li ritroviamo nel piatto (per esempio nell`85 per cento dei mangimi che nutrono i grandi animali), anche in quei prodotti di cui l’Italia va fiera (siamo il primo Paese in Europa per i dop e gli igp) come il grana o il prosciutto di San Daniele. È l’inquietante realtà emersa dalla tavola rotonda organizzata ieri sera nella giornata in cui Le voci dell’inchiesta hanno riservato ampio spazio agli Ogm – un dibattito sempre pronto ad accendersi, memore delle feroci polemiche causate dalle semine di mais modificato in provincia di Pordenone, circa un anno fa – e alla riflessione su ciò che rappresentano: risorsa per il futuro o pericolo per la nostra salute? Condotto da Cristina Micheloni (dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica), l’incontro ha avuto quali prestigiosi protagonisti Michele Morgante, ordinario di genetica all’Università di Udine, e Simone Vieri, docente di economia e politica agraria alla Sapienza di Roma. E ha preso le mosse dalla coraggiosa, illuminante e premiatissima inchiesta Il mondo secondo Monsanto – documentario proiettato a Cinemazero prima della tavola rotonda – condotta dalla giornalista francese Marie-Monique Robin, che ha indagato in profondità sulle origini e la storia del colosso statunitense nel settore degli Ogm, una delle aziende piú controverse di tutta la storia industriale. Un impero che, grazie a una comunicazione fatta di menzogne e omissioni, a rapporti di collusione con l’amministrazione nordamericana, a pressioni e a tentativi di corruzione, è diventato primo al mondo nella produzione di semi (sue anche le piante di mais transgenico Mon810 che furono piantate a Fanna nell’aprile dello scorso anno), raggiungendo un’estensione planetaria delle colture Ogm senza che vi sia stato alcun controllo serio sui loro effetti collaterali sulla natura e sulla salute umana. «Considerando che dobbiamo aumentare la produttività perché le piante dovranno fornire anche energia oltre alimenti, la storia ci insegna che a dare i maggiori vantaggi fino a oggi è stata la genetica: il suo uso oculato e preciso è la chiave per lo sviluppo»: questa la tesi di Morgante, in un dibattito nato dalla riflessione su quale agricoltura vogliamo da qui a vent’anni. «Consapevoli del nostro modello di agricoltura – cosí Vieri -, non possiamo prescindere da uno sviluppo coerente con le nostre potenzialità e quindi dobbiamo guardare alle attività economiche che producono benessere nel nostro territorio. In prospettiva ci sarà un’agricoltura di dimensioni minori, ma, se non faremo cosí, rischia di non esserci per niente». Riprendendo poi uno dei temi presentati dal documentario e cioè la tesi secondo la quale gli Ogm possono dare risposte alla fame mondo, Vieri ha presentato numeri per smentirla: nel 1996, anno di introduzione dei semi transgenici, secondo gli obiettivi del millennio della Fao entro il 2015 il numero degli affamati nel mondo si sarebbe dovuto dimezzare. Ma dai 788 milioni di quell’anno siamo passati ai 925 milioni del 2010 e nel frattempo sono vertiginosamente aumentate le superfici Ogm. «Gli Ogm – dice Vieri – rappresentano la tappa finale di un modello di sviluppo in mano a soggetti privati ai quali è delegata la sovranità nelle scelte della politica di produzione agricola e controllo dell’alimentazione a livello mondiale. Il risultato è che tre o quattro grandi imprese (fra cui Monsanto) detengono le maggiori quote di mercato di ciò che mangiamo, vendendoci i prodotti alle loro condizioni». Rispetto – infine – alle opportunità che invece potrebbero derivare in futuro da un buon uso di Ogm, Morgante, portando l’esempio della vite e della lotta ai funghi con le armi della chimica (con il prezzo dei residui di funghicidi presenti nei vini), ha invitato a riflettere su come la tecnologia sarebbe in grado di offrire soluzioni genetiche tali da consentire di ottenere nuove varietà resistenti e dunque prodotti migliori. Oggi il festival apre una finestra sulle opere incompiute nell’Italia Paese di rovine con il film Unfinished Italy, in programma alle 15.30 in collaborazione con La città complessa, prosegue con il focus sull’immigrazione e con l’omaggio a Raitre (Report): se ne parla alle 18; poi la proiezione della videoinchiesta Il mare nero. Cristina Savi