CIE = Lager: non è uno slogan

Repubblica 13 maggio 2013

Cie, la denuncia dei Medici per i diritti umani
“Condizioni di vita inumane, peggio del carcere”

Un anno di visite nei centri dove sono detenuti gli immigrati dei dottori dell’associazione rivelano abusi, situazioni degradanti. Docce senza acqua calda, mancanza di riscaldamento
di CORRADO ZUNINO

 

ROMA  –  Quattordici visite agli undici Centri di permanenza italiani, un anno di testimonianze raccolte (da febbraio 2012 a febbraio 2013), un dossier di oltre 200 pagine. Alla fine del lavoro i Medici per i diritti umani hanno certificato “condizioni di vita inumane, peggiori di quelle delle carceri” offrendo svariati motivi in più al ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, per andare avanti nella sua opera: “I Cie e i Cara vanno superati”. I Cie ospitano immigrati in attesa di identificazione o di espulsione. I Cara gli immigrati che hanno chiesto asilo.

I lavoro dei Medici per i diritti umani fa comprendere, innanzitutto, una questione prettamente economica: i Cie non sono in grado di garantire condizioni dignitose ai “trattenuti” perché lo Stato italiano ha fortemente disinvestito su queste strutture. Alcuni esempi. La prima gestione del centro di Bologna è stata assegnata a una società che ha vinto una gara d’appalto al massimo ribasso pagando 69 euro per ogni straniero previsto. Scaduti i termini, la successiva gara è stata aggiudicata al Consorzio Oasi con un costo per straniero crollato a 28 euro. La qualità di ogni servizio  –  anche quelli primari  –  è collassata. A Crotone il costo affrontato dalle Misericordie d’Italia è addirittura 21,42 euro per “ospite”. Lo Stato dovrà porsi il problema dei Centri di permanenza innanzitutto dal punto di vista della sostenibilità economica. Nei quattro anni di vita la struttura di Caltanissetta è costata 19,8 milioni, causa (anche) un incendio che l’ha pesantemente compromessa. In tutti i centri ci sono state rivolte, devastazioni e incendi. Basta una banale scintilla affinché il disagio quotidiano diventi ribellione. Gli ultimi danni registrati al Cie di Gorizia per un’insurrezione interna sono stati di un milione di euro.

Il derivato di queste difficoltà di finanziamento e mantenimento è pesante. A Bologna la situazione era semplicemente disastrosa, fino a due mesi fa, quando il ministero dell’Interno ha temporaneamente chiuso il Cie per ristrutturazione. I medici, fotografando la situazione a febbraio 2013, hanno parlato di “mancanza di requisiti minimi di vivibilità”. Stanze prive di riscaldamento, finestre e vetri delle finestre perennemente danneggiati, estate e inverno. Le docce erano inservibili, o servite con acqua fredda. “I bagni non hanno porte, i lavandini sono stati divelti”. Pochi i vestiti da offrire ai trattenuti, insufficienti le coperte. Il capitolato del magazzino prevedeva la fornitura di un rotolo di carta igienica al giorno ogni cinque persone. Limitati gli spazzolini per lavare i denti e così il dentifricio, quasi mai disponibili assorbenti igienici (nel Cie bolognese sono state trattenute anche le donne). Il ricambio di biancheria, ha rilevato il dossier, avveniva ogni dieci giorni “nel migliore dei casi”. Nessuna attività ricreativa, nessuna carta dei diritti. “Sono frequenti le aggressioni al personale interno”. E questo è un dato che si ripete in tutti gli undici Cie.

Nel centro di permanenza di Milano il 95% dei trattenuti arriva dal carcere e nel 2012 sono state registrate dodici fughe. Un caso eclatante è stato quello che ha toccato il transessuale brasiliano Regina: aveva (e aveva dichiarato) l’Aids conclamato, al terzo stadio, frutto di violenze subite dalla famiglia d’origine. Nonostante la situazione clinica certificata da professionisti dell’Organizzazione mondiale della sanità, Regina è stato trattenuto per una settimana. A Gorizia il tunisino Mohamed, affetto da una grave forma depressiva aggravata da atti di autolesionismo ripetuti e da un preoccupante stato di deperimento fisico, è rimasto nel centro quattordici mesi.

Nel Cie di Torino, quaranta dei centoventi trattenuti totali sono in terapia ansiolitica: assumono farmaci pesanti senza controllo medico, il Rivotril indicato per la terapia dell’epilessia e l’Akineton, con indicazione terapeutica per il morbo di Parkinson. Di questi farmaci fanno spesso abuso i pazienti tossicodipendenti. I casi di autolesionismo, a Torino, sono stati 156. Al Ponte Galeria di Roma, il più affollato centro di permanenza europeo, i bagni delle donne sono senza porte. Non esistono pettini, bisogna sistemare i capelli con le forchette. Il riscaldamento generale è rotto e spesso manca l’acqua calda. “Viviamo nella sporcizia”, ha raccontato una giovane rom bosniaca. E una ragazza rumena: “Durante il giorno non sappiamo cosa fare, non c’è niente da fare. Quando stai male e vai dal dottore non credono mai che parli sul serio, che soffri veramente”. A un trattenuto affetto da una malattia grave, raccontano i medici per i diritti umani, “non è stato concesso un colloquio con un sanitario”.

I marocchini intervistati a Crotone hanno dichiarato di essere “tenuti come animali”: i medici non hanno potuto visitare le loro stanze. I colloqui, anche quelli che hanno formato il dossier, sono stati possibili solo con un poliziotto a fianco. A Trapani, nel corso delle tre ore di visita dei medici per i diritti umani, gli altoparlanti hanno annunciato tredici tentativi di fuga.

A Lamezia Terme, dove l’appalto di gestione è passato da 46 euro per trattenuto a 30 euro, non c’è servizio barberia: tutti i barbieri di zona si sono rifiutati di prestarlo. Per radersi i trattenuti devono entrare in una gabbia grande come una cabina telefonica a ridosso del cortile e radersi sopra un montacarichi. Alla vista dei poliziotti, che devono evitare qualsiasi uso improprio della lametta.

I numeri. Nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti negli undici centri di identificazione ed espulsione (Cie) operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54%. Con l’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi (giugno 2011) le espulsioni sono aumentate solo del 2,3% rispetto al 2010, anno in cui il limite massimo per la detenzione amministrativa era ancora di sei mesi. Rispetto al 2011, l’incremento del tasso di efficacia è stato dello 0,3%. Se si compara il numero effettivo di rimpatri effettuati nel 2008 (anno in cui i termini massimi di trattenimento erano ancora di 60 giorni) con quello del 2012, si registra una flessione da 4.320 a 4.015 (-7,1%). Nel 2012 il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i Cie, secondo i dati della polizia di Stato, è stato l’1,2% del totale degli immigrati stimati in condizioni di irregolarità sul territorio italiano (326.000 al primo gennaio 2012). E ancora nel 2012 sono stati 1.049 i migranti fuggiti dai Cie, il 33% in più rispetto al 2011.
 

(13 maggio 2013)