NOTAV: report dalla Valsusa sul Piccolo e il Messaggero

VAL DI SUSA»IL REPORTAGE

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di Maria Rosa Tomasello inviata a TORINO

«La vedi la Madonna del Rocciamelone? E’ là, in alto, in mezzo alla neve». Dal sentiero balcone, il tracciato che da Giaglione porta al cantiere militarizzato, unico accesso dopo che la via da Chiomonte è stata vietata, la statua sulla montagna è invisibile. E’ un atto di fede, la metafora della lotta della Val di Susa contro l’alta velocità in un territorio già sezionato da due linee ferroviarie, due statali e un’autostrada, contro la paura dell’amianto e dell’uranio, contro il rischio di sventramento delle falde acquifere e di un’emorragia di denaro pubblico, insopportabile in un territorio che viveva di tessile e indotto Fiat e oggi è dissanguato dalla disoccupazione. Il vecchio Italo Pent, che cammina con la figlia verso la baita Clarea, il punto zero della protesta, protetto dal filo spinato israeliano e da un esercito di divise, ripone il binocolo: «Noi andiamo a pregare» dice, «sapete che anche un carabiniere ha detto il Padre nostro con noi?». Nella valle la preghiera e la lotta procedono insieme: «Noi non dobbiamo tirare pietre» osserva Pent, «ma loro ci sparano addosso lacrimogeni ad altezza d’uomo…». La protesta che per alcuni è il nuovo laboratorio dell’antagonismo italiano e per altri solo un atto di abiura al progresso ha diviso la politica, col centrosinistra sul fronte del no, il Pd spaccato e il centrodestra a favore dell’opera, ma ha creato una nuova comunità. Un singolare melting pot che va dai Cattolici per la valle fino agli anarchici e ai centri sociali come Askatasuna, passando per gli ambientalisti e i docenti universitari che contestano l’opera a suon di dati. «Vogliono andare avanti? Sarà dura» fa Gigi Richetto, il filosofo, mentre distribuisce opuscoli sulla non violenza, «perché devono portare una trivella grande come un missile e noi potremmo essere lì, e dovranno mettere le mine, e trecento persone potrebbero essere sedute sulla montagna: sì che vorrebbero farci saltare, ma sono 23 anni, sono cambiati i governi, e noi siamo ancora qui…». Nello storico presidio no Tav di Venaus, uno dei tanti venuti su a partire da Rivoli, il primo brindisi è sempre per l’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi: «E’ lui che ci ha riuniti». Ma la valle che conserva l’eco delle lotte partigiane è sempre stata sulle barricate: «Negli anni Ottanta scendevamo al casello a protestare contro l’autostrada» ricorda il sindaco di San Didero Loredana Bellone, «ora ci parlano di compensazioni, allora ci dicevano: niente pedaggio. Non è stato così». «E’ un’opera inutile, venti miliardi che a consuntivo saranno triplicati, e finirà come il Tunnel sotto la Manica, sottoutilizzato» dice Piero Sobrà di Legambiente. Il nuovo giorno X è l’11 aprile, quando la società Ltf prenderà formalmente possesso dei terreni della Val Clarea, già occupati – «illegalmente» secondo il movimento – con ordinanza prefettizia: 64 particelle, solo una manciata delle quali appartengono ai 72 No Tav che avevano comprato i terreni per ostacolare le ruspe. Uno è Luca Abbà, il contadino volato giù dal traliccio dell’alta tensione: per dargli una mano gli amici hanno raccolto nei suoi campi cavoli, broccoli e melanzane e li hanno venduti durante un’assemblea nella sala consiliare di Bussoleno stipata all’inverosimile. «Noi non ci fermiamo, faremo opposizione agli espropri, ma se ne fregheranno come sempre: finora nessun ricorso è stato discusso» commenta Alberto Perino, portavoce delle proteste. Per l’11 aprile Perino, un braccio rotto e la voce roca per i gas respirati durante lo sgombero dell’autostrada di fine febbraio, ha proposto una mobilitazione nazionale. «Il tavolo convocato dal governatore Cota è una foglia di fico, la politica ha perso, tant’è che hanno detto ai sindaci: “non possiamo darvi la valutazione costi-benefici perché la fareste girare”. Non è serio: se io fossi Monti non prenderei a scatola chiusa quello che mi racconta il primo che si presenta» dice, lanciando una stoccata al commissario straordinario Mario Virano. Il 28 marzo Virano dovrà illustrare ai sindaci i dettagli del progetto «low cost», che prevede, dopo il tunnel geognostico, la realizzazione della galleria di 57 chilometri tra Italia e Francia e della stazione internazionale di Susa, spesa prevista per Roma circa 3 miliardi di euro. «Ma il collegamento c’è, la Fiat ha spostato auto durante il boom senza che nessuno rilevasse la saturazione della linea» commenta al primo piano del municipio di Avigliana Carla Mattioli, uno dei sindaci dissidenti ed ex del Pd in una pausa della riunione convocata per discutere delle elezioni di maggio, obiettivo una candidatura No Tav: «Ci parlano di 20 milioni di compensazioni per 87 Comuni, ma solo io in 10 anni, qui, ho speso 43 milioni: 20 mi fanno il solletico». L’ipotesi di portare da 7 a 4 ore la percorrenza Milano-Parigi, dice, è una «viranata»: «La tratta di cui stiamo parlando permetterà di risparmiare solo un’ora tra Torino e Chambery». Neppure l’abbattimento della pendenza, oggi 1250 metri, porterà un aumento del trasporto merci: «Per convogli con quel tonnellaggio, lunghi anche 750 metri, bisogna sistemare tutta la linea» sostiene, «perché se dopo il tunnel il treno si reimmetterà sul tracciato esistente, com’è previsto nella prima fase, dovrà usare i criteri della linea meno efficiente». «Se vorranno andare avanti, dovranno militarizzare sempre di più la valle: continueremo a fare azioni, vedremo chi si stanca» avverte Mario Actis, che guida Legambiente in Val di Susa mentre apre la strada tra le capanne del villaggio neolitico che sovrasta il cantiere. Tutti qui rifiutano l’equazione No Tav uguale violenza, nata dopo gli incidenti dell’estate scorsa, quando fu sgomberato l’accampamento della Maddalena, con un bilancio di 200 agenti feriti e uno strascico di 26 persone arrestate a gennaio, tra le quali un ex Br: «Una parte fisiologica che tira le pietre ci sarà sempre, questo non significa che il movimento sia violento, noi abbiamo fatto solo iniziative pacifiche. I violenti ci sono anche dall’altra parte: dopo l’occupazione dell’autostrada a Chianocco c’è stata una vergognosa caccia all’uomo, con persone inseguite e pestate, e non c’è nessuna indagine». In basso, il museo del Neolitico e la cantina della cooperativa Clarea, sono irraggiungibili: «L’accesso al vigneto è vietato ai non autorizzati, la cantina è chiusa con dentro 50 mila litri di vino» protesta Andrea Turio, «e quello che vediamo non è niente rispetto al cantiere vero. Noi di cosa vivremo? Parlano di duemila posti di lavoro, ma io voglio fare il vignaiulo, non l’operaio. Ho sempre creduto nello Stato, ma questa è una imposizione».

 

«La salute è a rischio, qui abbiamo paura»

Il racconto di un abitante di Susa: durante i lavori pericoli per l’esposizione da amianto e polveri

dall’inviata SUSA La prima cosa che fa Luca Perino è mostrare un estratto dello studio di impatto ambientale allegato al progetto preliminare della Ltf, la società Lyon Turin Ferroviaire. Data 9 luglio 2010. «Monti dice che ha letto la documentazione, ma l’ha fatto?» chiede. La casa in cui Luca vive con la sua famiglia è un’abitazione bianca e marrone che sorge all’uscita dello svincolo autostradale di Susa, nel punto in cui nascerà la stazione internazionale della Torino-Lione. Al balcone c’è uno striscione: «Qui condannati a morte dal Tav». La ragione è contenuta nelle pagine 268 e 269 dello studio: «Dicono che durante il cantiere non potranno garantirci dai rischi per la salute, che ci sarà un aumento del mesotelioma, e io che abito qui che faccio?». «Il rischio di esposizione della popolazione non può essere scongiurato dal mantenimento di livelli di contaminazione al di sotto di quanto previsto dalle norme» si legge alla voce amianto. A preoccupare è la presenza di vene asbestifere ipotizzata nei primi 400 metri dello scavo, mentre a causa degli ossidi nitrosi è possibile attendersi «un incremento delle affezioni respiratorie intorno al 10/15%», e le polveri potrebbero determinare un incremento di patologie cardiocircolatorie e respiratorie del 10%. Alla gente le rassicurazioni di Ltf non bastano: per ridurre i potenziali rischi «la prima attività di prevenzione coincide con il progetto stesso» sottolinea la società, mentre all’eventuale dispersione di fibre di amianto si farà fronte con barriere ad acqua e incapsulamento del materiale. Ma Perino non si fida. «Noi siamo stati informati del progetto nel 2010 dal Comitato no Tav, quando mancavano dieci giorni alla scadenza delle osservazioni» racconta. «La casa è stata fotografata e l’immagine allegata al progetto perché avremo dei problemi: mia moglie ha notato qualcuno scattare foto a bordo di un’auto, ha cercato di fermarli per chiedere spiegazioni, ma sono scappati. Un sotterfugio, un metodo non democratico». A poche decine di metri dall’abitazione di Perino tre case dovranno essere abbattute: il gigantesco cantiere della stazione, otto anni di lavori, nascerà accanto alla residenza per anziani san Giacomo e al centro psichiatrico. «Il piazzale dello scalo internazionale sarà a un’altezza di 12 metri, sopra ci sarà la stazione per i treni locali e la caffetteria, con il tetto a 26 metri. E attorno a casa mia passerà lo svincolo della nuova viabilità. Ma a che serve tutto questo, se già oggi si va da Ulzio a Parigi in 4 ore e mezza, e se l’Autostrada ferroviaria che trasporta i grandi tir viaggia semivuota?». Francesco, 17 anni, non ha dubbi: «Resteremo qui, faremo resistenza». Per non avere guai durante le manifestazioni si è fatto regalare il codice penale: «Un giorno ho scoperto che si era seduto per terra con altri a bloccare l’autostrada» ricorda il padre, «l’ho chiamato, ma lui mi ha detto: stai tranquillo, conosco la legge: resto qua, questa è la mia terra». (m.r.t.)

 

 

Un maxi tunnel lungo 57 chilometri

il progetto

Il progetto preliminare della nuova ferrovia Torino-Lione è stato approvato dal Cipe nel gennaio scorso. E’ prevista la realizzazione dell’opera in due fasi: prima la costruzione del tunnel di base da 57 chilometri, 12,3 dei quali in territorio italiano, e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino. Quindi se dovesse essere ritenuto necessario, si procederà con la tratta in bassa Valle di Susa (Bussoleno-Avigliana). Il cosidetto “progetto low cost” prevede anche la costruzione delle due stazioni internazionali di Susa e S. Jean de Maurienne. Il costo complessivo è 8,2 miliardi di euro, di cui meno di 3 a carico dell’Italia. I lavori dovranno essere preceduti dallo scavo del cosiddetto tunnel geognostico della Val Clarea, la zona oggi militarizzata: 7,4 chilometri di galleria esplorativa (143 milioni, 35 a carico dell’Italia) che, a opera completata, sarà usata come collegamento di servizio.