MONFALCONE/ Come si respirava l’amianto nelle navi nei Cantieri

Il Piccolo MARTEDÌ, 15 GIUGNO 2010


«Ecco come si respirava l’amianto sulle navi»

Il drammatico racconto dei testimoni nel maxi-processo per la morte di 85 lavoratori del cantiere

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C’è chi, tra la decina di testi chiamati ieri a deporre al maxi-processo ripreso ieri al Tribunale di Gorizia, ha raccontato che tagliava l’amianto ma ne aveva scoperto solo dopo la pericolosità. Chi, ancora, lavorando sulle navi in costruzione, dovendo intervenire sulle tubazioni, staccava i rivestimenti in eternit. Altri, ancora, hanno raccontato che, a fine turno, spazzolavano le tute, per poi portarle a casa a lavare. E respiravano la fibra a pieni polmoni. È stata una lunga giornata quella di ieri, all’udienza del processo che vede imputati 41 tra vertici dell’ex Italcantieri, responsabili dei servizi di sicurezza e rappresentanti delle ditte che operavano in subappalto all’interno del cantiere navale. Le parti offese rappresentano 85 vittime, a causa dell’esposizione all’amianto nello stabilimento di Monfalcone. L’udienza, alla fine, è stata riaggiornata al 29 giugno.
Ieri, dunque, la parola è passata agli ex lavoratori, anche ex colleghi a vario titolo delle vittime. Una decina, da tempo in pensione. Avevano iniziato per lo più a lavorare negli anni Sessanta, fino agli anni Ottanta, qualcuno anche fino agli anni Novanta. Un ex lavoratore si è presentato in aula con un respiratore, per le precarie condizioni di  salute. I testi sono stati sottoposti ad una lunga trafila di domande, sia da parte della pubblica accusa, rappresentata dai pubblici ministeri Valentina Bossi e Luigi Leghissa, sia dai legali delle parti civili. Quindi, è seguito il controinterrogatorio dei difensori degli imputati. Interrogativi, dunque, per scandagliare la realtà del cantiere dell’epoca. Non tutti i testimoni sono stati in grado di ricostruire con esattezza le circostanze, rispondendo con un «non ricordo».
Non sono mancate le obiezioni procedurali, avanzate dalle difese. Gli interrogativi erano sostanzialmente volti a comprendere le condizioni di lavoro nelle quali operavano le maestranze. È stato chiesto quali fossero le misure di sicurezza adottate in cantiere. S’è posta l’attenzione anche sull’aspetto legato alla prevenzione. E, ancora, è stato chiesto se c’erano impianti localizzati di aspirazione. Si è discusso altresì sui tempi di esposizione ai materiali, come pure sulla tempistica in ordine ai controlli sanitari. Le parti civili hanno insistito molto, tra l’altro, sull’aspetto informativo inerente le caratteristiche e la pericolosità dell’amianto. «Il quadro che si è tratteggiato – ha spiegato l’avvocato Paolo Bevilacqua, che rappresenta una delle parti civili – è che, in qualche modo, c’era consapevolezza di uno stato di disagio, di condizioni di lavoro per le quali non c’era però un’informazione specifica. Quindi, la pericolosità dell’amianto non era chiara. Ciò che è emerso è il fatto che le garanzie di sicurezza erano pochissime». Il controinterrogatorio delle difese ha spaziato dai controlli in azienda e sanitari, alla presenza in cantiere dei responsabili della sicurezza. (la.bo,)