Da Il Piccolo del 02/11/10
di CLAUDIO ERNÈ Sovversivi, comunisti, anarchici, socialisti repubblicani. Tutti schedati, diffidati, confinati, incarcerati, processati, costretti all’esilio o a una lunga detenzione. I nomi di 3395 triestini e triestine perseguitati dal regime fascista perché considerati «pericolosi» assieme ad altri 150mila altri italiani che si opponevano alla dittatura, sono stati estratti dal casellario della direzione generale della Pubblica sicurezza e pubblicati sul sito internet del Ministero dei Beni culturali. La lista non appare a un primo esame completa perché, ad esempio, risulta assente il nome di Pinko Tomazic, il giovane antifascista sloveno fucilato il 15 dicembre 1941 con altri quattro compagni all’interno del poligono di Opicina. Altri nomi al contrario sono registrati con grande precisione. Compare quello di Vittorio Vidali, alias Enea Sormenti, ragioniere nato a Muggia nel 1900 con svariati luoghi di «residenza»: Spagna, Parigi, Chicago, Mosca. Poi nel dopoguerra segretario del Partito comunista della Venezia Giulia nonché parlamentare della Repubblica. C’è il medico pediatra, poi consigliere comunale del Psiup Bruno Pincherle, e c’è il professor Eugenio Colorni, ebreo, per cinque anni al ”Carducci”, poi confinato a Ventotene. Alla sua figura di recente la ricercatrice Diana De Rosa ha dedicato un approfondito studio. Ci sono Eugenio Curiel, Luigi Frausin, ma anche Aurelia Gruber, parlamentare della Repubblica e fondatrice negli anni Settanta della Lista per Trieste. C’è Giusto Pietro Jacchia, ebreo e massone, fondatore nel 1919 dei fasci di combattimento triestini, camicia nera della Marcia su Roma, ma espulso dal Pnf nel 1927 per non aver voluto giurare fedeltà al Regime e morto nel 1937 nella guerra di Spagna sul fronte di Madrid dove combatteva nelle file dei repubblicani con Carlo Rosselli. Per ogni «sovversivo», la scheda offre anche qualche informazione estremamente sintetica sulla professione, sul «colore» politico, sull’età e sull’eventuale percorso giudiziario. Accanto a molti nomi compare infatti l’informazione «denunciato al Tribunale speciale» o «processato per offese al capo del Governo», ovvero a Benito Mussolini. Accanto alle schede di questi «sovversivi», passati comunque alla Storia non solo cittadini, compaiono nel sito anche quelle di persone di cui negli anni si è persa progressivamente la memoria. Tra essi Mario Berce, nato nel 1899, comunista. Aveva il torto agli occhi del Regime di essere un redattore del quotidiano ”Il lavoratore”, più volte devastato dagli squadristi e sequestrato dalle autorità del Regno. C’è Eugenio Parovel, nato a Muggia nel 1890, anche lui «comunista»: era un giornalaio e la polizia politica, come si legge nella scheda, lo aveva ”diffidato” più volte. Era stato anche ”radiato”, impedendogli di lavorare. Secondo il figlio Paolo la data di nascita è errata perché suo padre Eugenio era nato nel 1900. Gli altri dati sono verosimili, ma inesatti. «Mio padre era mazziniano e non comunista. Nel 1931, dopo aver lavorato alternativamente tra Trieste e Istanbul, ha acquisito l’agenzia di distribuzione di giornali e la libreria che per tanti anni hanno portato il nostro cognome. Di altri Parovel, giornalai a Muggia, non ho mai sentito parlare». Al contrario, non sembrano al momento consultabili via web le 120mila fotografie scattate ai ”sovversivi” al momento del fermo, dell’arresto, della perquisizione o ricavate da altre fonti. Ad esempio, da immagini di gruppi aziendali, album di famiglia, richieste di documenti come la carta di identità o il passaporto. In effetti l’istituzione di uno schedario biografico degli iscritti ai partiti ritenuti pericolosi, risale al lontano maggio del 1894. Il capo del Governo Giovanni Giolitti introdusse nelle questure poco dopo l’apparecchio messo a punto da Salvatore Ottolenghi e Umberto Ellero, oggi ancora presente negli uffici di polizia. La macchina si chiama ”Le gemelle di Ellero” e consente di ricavare nello stesso istante attraverso due fotocamere altrettante foto dell’arrestato: una di profilo, l’altra di fronte che finiscono entrambe nel fascicolo d’indagine. La svolta nell’ambito del fotosegnalamento avviene nel 1926 quando Mussolini vara le leggi ”fascistissime” che prevedono l’impiego massiccio del fotosegnalamento. L’avversario politico diventa un ”sovversivo” e gli inquirenti devono acquisire al fascicolo il maggior numero di ritratti possibile dell’antifascista. Tutte le fotografie, anche quelle non scattate dalla polizia, vengono prelevate dai cassetti delle anagrafi comunali, da enti, associazioni, studi. In sintesi ogni archivio, ogni album anche familiare perde per sempre la propria innocenza perché le immagini di chi si oppone al Regime, o manifesta idee diverse da quelle dominanti, finiscono inevitabilmente alla Sezione Prima Divisione Polizia della Direzione generale della Pubblica sicurezza del ministero degli Interni. Esemplari per dimostrare l’effetto della repressione sono le immagini dei leader politici antifascisti fotografati al momento dell’ingresso in questura o in carcere e poi ripresi qualche anno più tardi quando le loro schede segnaletiche devono essere aggiornate. I ritratti Antonio Gramsci, Camilla Ravera, Altiero Spinelli, Ferruccio Parri, rappresentanto altrettanti atti d’accusa perché dimostrano quali fossero le loro condizioni di detenzione. Dovevano incastrare i ”sovversivi”, sono diventate le prove dell’ingiustizia e della violenza.