INNALZAMENTO DEI MARI/ Cosa succederà nell’ Alto Adriatico

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Repubblica 10 novembre 2012

CLIMA

Innalzamento del mare, andrà peggio “Le stime dell’IPCC sono ottimistiche”

Il livello continuerà ad alzarsi per almeno due secoli. Alcuni scienziati italiani pubblicano il loro studio (incremento minimo entro il secolo dfino a 95 centimetri) e avvertono: ne risentirà tutto il Mediterraneo, bisogna subito ridurre le emissioni di gas-serra e prepararsi. Altrimenti ecco cosa potrebbe succedere di JACOPO PASOTTI

VENTI centimetri guadagnati nel ventesimo secolo. Ed altri 20, ma in alcune parti del globo anche 60, saranno i centimetri di innalzamento del livello marino terrestre con cui le prossime generazioni faranno i conti entro la fine di questo secolo secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico. Ma secondo le ultime previsioni di alcuni scienziati italiani, queste cifre sono ottimiste. Loro stimano infatti un incremento minimo compreso tra 80 e 95 centimetri e, ripetono, all’origine di tutto ci sono le attività umane. L’unica opzione ora è una grossa frenata prima dell’impatto, ovvero rallentare il processo e non farsi cogliere impreparati.

LE FOTO: COSA SUCCEDE CON UN METRO DI MARE IN PIU’

Lo studio. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Global and Planetary Change, Antonio Zecca e Luca Chiari della Università di Trento, presentano un quadro ancora più preoccupante di quello proposto dall’IPCC: malgrado la riduzione dei combustibili fossili (dovuto sia ad un esaurimento naturale che ad un miglioramento della efficienza energetica) il livello del mare salirà di almeno 80-95 centimetri entro la fine del secolo e continuerà a farlo per almeno duecento anni. Lo studio è un ulteriore monito a ridurre, e immediatamente, le emissioni di gas-serra, al fine di rallentare la risalita del livello marino e cominciare a prendere misure per adattarsi ad un nuovo paesaggio costiero.

I fisici dell’atmosfera trentini hanno ripreso i modelli climatici dell’IPCC ed hanno incluso nuovi dati sull’attesa, seppur di incerta entità, diminuizione di combustibili fossili. Lo scopo era vedere in che modo questa diminuizione potrà influenzare la risalita del livello marino. “È importante sottolineare che le nostre stime rappresentano i valori minimi, perché i nostri scenari di emissione non tengono conto dei combustibili fossili non convenzionali e di futuri sviluppi tecnologici che potrebbero migliorare le attuali tecniche di estrazione”, chiarisce Luca Chiari. In poche parole: il livellio marino potrebbe salire ancora di più. I risultati dello studio mostrano, purtroppo, che il mare continuerà inesorabilmente a salire anche nel caso della riduzione più drastica delle reserve di combustibili fossili. Ma, secondo Zecca e Chiari, l’innalzamento del mare potrebbe essere se non altro “frenato” con un radicale taglio elle emissioni, e questo consentirebbe all’umanità di muovere qualche passo verso l’adattamento all’inevitabile.

Quali, allora, le aree a maggior rischio di finire sotto il pelo dell’acqua? I casi più noti sono i Paesi come il Bangladesh e le Maldive, o, negli Stati Uniti, la Florida. Più prossime all’Italia, Zecca indica a titolo d’esempio l’Egitto. Nel caso peggiore, cioè quello della risalita di ben un metro, la geografia del Delta del Nilo sarebbe completamente da ridisegnare. “Si tratta di una pianura fertile che dà da mangiare al 70% della popolazione egiziana, che sono 82 milioni oggi, e chissà quanti saranno nel 2100  –  spiega lo scienziato –  in altre parole almeno 55 milioni di egiziani dovrebbero andare a coltivare e vivere altrove.”

Il Mediterraneo: una “lente di ingrandimento” del riscaldamento globale. Secondo gli studiosi è inutile sognare: il Mare Nostrum non è una eccezione: “L’innalzamento durante l’ultimo secolo è stato simile a quello medio globale”, dice l’esperto trentino. Che precisa però: “Negli ultimi decenni l’incremento del livello del Mediterraneo è stato minore di quello globale”. Infatti il nostro è un bacino chiuso e l’accentuato riscaldamento “causerebbe un incremento dell’evaporazione nel bacino, che a sua volta provocherebbe un leggero rallentamento della crescita del livello marino”. Insomma, spiega l’esperto, difficile fare una previsione chiara sull’entità dell’innalzamento del Mediterraneo. Ma un aumento ci sarà ed i primi ad accorgersene saranno i comuni costieri delle aree pianeggianti a ridosso di Adriatico e Tirreno.

Zecca disegna allora una linea ideale: “La zona più vasta è naturalmente quella che va da Cesenatico, Cervia, Ravenna, quasi fino a Ferrara, e poi Rovigo, Piove di Sacco, Mestre, fino a Monfalcone”. Un’area vastissima: “Sono almeno 1500 km quadrati di pianura agricola fertile”. Ma attenzione, avverte Zecca: “I danni alla produzione agroalimentare si estenderebbero a una superficie maggiore perché l’acqua salata risalirebbe nei fiumi e nelle falde salinizzandole”.

Se è vero che gli scienziati non possono prevedere il futuro e dirci con esattezza quali cambiamenti ambientali vivranno le diverse regioni del nostro Paese o d’Europa, ciò su cui la maggioranza concorda è sul fatto che il Mediterraneo in particolare è una sorta di “lente di ingrandimento” del riscaldamento globale. Dice Zecca: “Il Mediterraneo sarà una specie di “lente di ingrandimento” del riscaldamento globale: se nella media globale ci sarà un innalzamento di temperatura di 1 grado, per il Mediterraneo sarà forse il doppio”.

Tagliare le emissioni. Adesso.  Molti i “se”, questo è certo, ma meglio di così non siamo ancora in grado di fare, spiegano gli esperti. E comunque l’avvertimento c’è. Allora non c’è nulla da fare per prepararsi alla geografia del futuro? Gli scienziati su questo non sono d’accordo e lor ripetono da anni: “La prima misura in ordine di tempo e di importanza è tagliare le emissioni di gas-serra cioè ridurre l’impiego di combustibili fossili”, dice Zecca. Efficienza energetica, questa la parola d’ordine. Proprio mentre state leggendo questo articolo, avverte Zecca, “la temperatura si sta alzando e il livello del mare anche. Continueranno a farlo per cento o duecento anni e non chiedono il permesso ai governi”.

(10 novembre 2012)