VAL SUSA: aggiornamenti su mobilitazioni e repressione

tutti i seguenti report (dal più recente in giù) sono presi da

anarresinfo.noblogs.org

 

No Tav. Altre denunce e obblighi di dimora

Martedì 31 luglio. Con puntualità e precisione sono stati recapitati 12 avvisi di garanzia con tanto di misure restrittive della libertà a 12 No Tav. Questa mattina all’alba la digos ha prelevato dal campeggio Max / Obelix e gli ha notificato l’obbligo di dimora a Torino, stessa sorte toccata a Giorgio cui, oltre al domicilio coatto a Bussoleno, è stato imposto il coprifuoco notturno. Ad altri cinque No Tav è stato notificato il divieto di ingresso a Chiomonte. Il pubblico ministero aveva chiesto che fossero arrestati, ma il Gip ha preferito misure restrittive più lievi.
Tutti e 12 sono accusati di resistenza, lesioni e violenza a pubblico ufficiale per la giornata di lotta alle reti dell’8 dicembre scorso. Una giornata durissima per i No Tav che scelsero di andare in Clarea.
Gli uomini in divisa ebbero ordine di colpire e fare male: ci furono numerosissimi feriti di cui tre molto gravi. Un No Tav padovano ci ha rimesso un occhio, uno di Venaus ha perso l’udito da un orecchio, dopo essere stato a lungo in prognosi riservata.
Oggi sono arrivati i nuovi pacchi dono della Procura. Non sono i primi, non saranno certo gli ultimi, poiché le veline dei giornali da tempo annunciano nuovi provvedimenti per le occupazioni dell’autostrada di quello stesso 8 dicembre e dello scorso fine febbraio.
La Procura torinese continua nel suo lavoro di cane da guardia del partito trasversale degli affari. Abbaiano e azzannano ma il movimento non si tira indietro. Anzi. La marcia di sabato scorso è stata la miglior risposta a chi pensa che denunce, restrizioni, fogli di via, botte possano spaventare i No Tav.
Sempre più gente sta imparando cosa sia la democrazia reale. Sempre più gente pratica la politica del basso, in autonomia dall’istituito, nella consapevolezza che la libertà non si mendica ma si conquista. Pezzo per pezzo.

 

No Tav. Isolati i violenti. In divisa

Prefetto e questore le avevano provate tutte pur di tenere a casa i No Tav. Zona rossa per tutta l’area del cantiere: divieto di passaggio su tutte le strade di accesso all’area del campeggio a Chiomonte e alla zona del campo sportivo a Giaglione. Vietati anche i sentieri e i boschi.
Vietata ovviamente anche la marcia.
Chi ci andava rischiava una denuncia.
Per un’intera settimana ci sono stati posti di blocco in ogni paese, fermi, espulsioni, un clima pesante per mettere paura, per cercare – ancora una volta – di spezzare il movimento in buoni e cattivi, in chi manifesta in modo pacifico e chi attacca le reti, rompe di muri, affronta lacrimogeni e manganelli.
Nonostante tutto l’apparato militare e la propaganda terrorista dei media migliaia di persone hanno partecipato alla marcia da Giaglione a Chiomonte di sabato 28.
C’erano i giovani, gli anziani, i bambini, c’erano quelli del posto e i solidali accampati a Gravela.
Molti sono stati costretti a lasciare l’auto sulla statale perché i carabinieri bloccavano gli accessi a Giaglione, l’area del campeggio è stata inaccessibile in auto per l’intera giornata.
Come se non bastasse i jersey bloccavano la strada delle Gorge prima del cantiere e la polizia impediva il passaggio dal ponte sul Clarea prima della Borgata limitrofa alla zona occupata.
Nessuno si è perso d’animo: il lungo serpente umano si è inerpicato in alto guadando il fiume a monte. I più agili aiutavano quelli meno capaci: anche i bambini piccoli sono passati tra salti d’acqua e rocce. Il cantiere si scorgeva dall’alto: un deserto di polvere e filo spinato pieno di uomini in armi contro tanta gente che marciava su per i boschi in barba a tutti i divieti.
Lentamente la gente è arrivata al campeggio, lo stesso campeggio da dove era partita la marcia notturna della settimana prima, perché – ancora una volta – siamo tutti black bloc.
Il giorno dopo il quotidiano La Stampa ha titolato. “Isolati i violenti in Val Susa”.
Sì, certo. Quelli in divisa.

Guarda le foto di Luca Perino

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Prossimi appuntamenti:
Martedì 31 luglio ore 21
coordinamento comitati no tav / assemblea al campeggio di Chiomonte

Mercoledì 1 agosto ore 18
Appuntamento al campeggio per azioni di lotta contro le truppe di occupazione, le ditte che lucrano e i partiti che vogliono il tav

 

Il grembiule a quadretti

C’è chi pensa che la lotta No Tav attraverserà le prossime generazioni. Il No Tav ha già segnato le vite di tante persone. Oggi in piazza ci sono ragazzi che ieri erano bambini, tante volte ci è capitato di accompagnare nell’ultimo viaggio uno di noi.
Finora le botte, gli arresti, la violenza non sono bastate a piegarci. Anzi! Ogni volta che hanno colpito duro la nostra rivolta è dilagata ovunque mettendoli in difficoltà.
Ma.
Le lotte e i movimenti durano quando segnano punti all’avversario. Le sconfitte alla lunga logorano. La rassegnazione è una malattia insidiosa e mortale, è la malattia che attraversa da lunghi anni il nostro paese, la malattia di chi ha perso la speranza che questo non sia il solo mondo possibile.
È su questo che puntano i nostri avversari. Auspicano che un anno di occupazione militare riesca a fiaccare la nostra resistenza. Non sgomberano subito il campeggio, perché sanno che sapremmo reagire, ma provano a soffocarci con continui controlli, con i fogli di via, con l’esistenza stessa del cantiere militarizzato.
Non siamo più nel 2005. Allora si andò di slancio e il governo venne preso alla sprovvista: c’era in noi tutta la forza della prima volta, l’insurrezione si fece con la spontaneità con cui si impastano i sogni dei bambini. Prima che arrivi il buon senso, la disciplina che incarcera i corpi ed ingabbia le menti, prima del grembiule a quadretti, della campanella, del banco, del tempo rubato che dalla scuola porta alla servitù del lavoro.
In questi sette anni siamo stati in gamba. I giochi della politica, gli amministratori voltagabbana, la sottile illusione che il gioco delle istituzioni si potesse giocare con altre carte, tra liste civiche e “democrazia partecipativa” non ci hanno fatto smarrire la via.
Quando le armi della politica hanno ceduto il passo alla politica delle armi abbiamo saputo ancora una volta metterci di mezzo, nella chiara consapevolezza che solo la nostra azione diretta poteva impedire che l’arroganza e la violenza dispiegata dello Stato cantassero indisturbate la loro canzone.
Sapevamo che quando il potere non riesce a sedurre, quando il grande fratello non riesce a farsi amare, allora colpisce ed uccide.
Oggi ci serve forza ed intelligenza. I nostri avversari sono cattivi ma non sono stupidi, sanno usare l’inganno e la violenza, i giudici e i poliziotti, i giornalisti e l’illusione partecipativa.
Oggi la partita non è (più) solo sul Tav. In ballo c’è il disciplinamento di un movimento che ha saputo rimettere al centro la questione sociale, che ha saputo riprendersi la facoltà di decidere e di pensare un altro futuro, perché sa vivere un altro presente.
Questa volta, lo sappiamo bene, lo Stato intende andare sino in fondo per spezzare un movimento divenuto simbolo di rivolta un po’ ovunque.
Dobbiamo tenerne conto. Soprattutto dobbiamo decidere il senso di una lotta il cui esito resta comunque incerto. Abbiamo l’ambizione di vincere, perché abbiamo imparato che vincere fa bene. Conta anche vincere bene, senza deleghe a qualche cacciatore di poltrone, senza rinunciare mai alla propria dimensione di movimento popolare, senza affidarsi ai giochi della politica internazionale.
In quest’anno e più di lotta durissima abbiamo imparato tanto, ma non sempre l’abbiamo saputo mettere a frutto.
Lontani dal loro fortino/cantiere, lontani dalle recinzioni e dal filo spinato, siamo riusciti a metterli in difficoltà, rendendo visibile la violenza dispiegata dello Stato. Una violenza legale, che sempre meno persone considerano legittima.
Hanno scelto con cura il posto dove fare il tunnel geognostico. Un’area poco abitata, lontano dalle case e dagli occhi dei più, un posto perfetto per un’occupazione militare. Sperano che il movimento si estenui nell’assedio del cantiere militarizzato.
Gli ingranaggi dell’occupazione militare e della macchina che lucra e propaganda il Tav sono dappertutto. Anche noi possiamo essere dappertutto.
Sinora però siamo stati quasi timidi. Siamo usciti dal catino solo per reagire alla loro violenza, non abbiamo saputo costruire una solida rete che metta in difficoltà tutti gli snodi dell’occupazione militare.
Quando le nostre barricate attraverseranno tutti i paesi, quando le truppe saranno obbligate a valicare dal Sestriere, perché questa valle gli si chiuderà ancora una volta davanti allora – come nel dicembre del 2005 e nel febbraio del 2010 – li vedremo fare marcia indietro.
Ridurre la nostra resistenza alla ripetizione rituale della pressione sul cantiere, sperando che il tempo sia dalla nostra, è il primo sintomo della rassegnazione. Si va perché si deve, si va perché non si vuole fare la fine di altri movimenti, ridotti ad un ruolo meramente testimoniale, si va perché quelle reti, quelle ruspe, quegli uomini in armi sono intollerabili. Si va perché è giusto andarci.
Ma.
Non basta e non può esaurire la nostra lotta. Sarebbe miope non vederlo.
Il fortino non è una via crucis da percorrere per celebrare il rito collettivo del taglio di qualche metro di filo spinato.
Il taglio delle reti è indubbiamente il segnale forte della volontà di rifiutare le regole di un gioco truccato. Ma se resta un esercizio, diviene inutile. Tanto inutile che tanti che lo praticavano oggi restano a casa. I militari fanno scavare le buche e poi le fanno riempire, perché i soldati non devono pensare ma ubbidire. Noi non siamo soldati, siamo gente che decide di testa propria senza farsi comandare da nessuno.
La Val Susa è un laboratorio vivo dove radicalità dell’agire e radicamento sociale si coniugano in una sintesi felice, mai data per sempre, ma costantemente rinnovantesi, nella sfida ai poteri forti.
Una sfida che può e deve tornare a coinvolgere tutti, che può e deve puntare al blocco della valle, allo sciopero generale, alla rivolta che li obblighi a mollare senza rimettere in moto i tavoli di mediazione, i giochi della politica come accadde nel dicembre del 2005, quando la vittoria ci sfuggì di mano per aver esitato a mantenere ferma la resistenza.
In questi lunghi mesi tanta gente di ogni dove è scesa in piazza al nostro fianco, perché le nostre ragioni sono quelle di tanti. Il governo ha fatto una macelleria sociale senza precedenti. Si sono presi quello che restava di libertà e tutele, si sono presi la nostra salute, l’accesso ai saperi, alle risorse indispensabili alla vita. Nonostante piovano pietre prevale la paura, l’io speriamo che me la cavo, la ricerca meschina di una salvezza individuale. Ma i sommersi sono ben più dei salvati. La lotta dei No Tav è stata l’unica scintilla che ha spezzato la paura che ha rotto la rassegnazione, che ha dato fiducia nella possibilità di invertire la rotta.
Questa scintilla, se riesce a mantenere forte la propria fiamma, se riesce a farsi pratica viva può accendere ovunque nuovi focolai di lotta.
Oggi occorre un nuovo patto di mutuo soccorso. Un patto vero che si costruisca spontaneamente tra chi lotta in ogni dove, non certo l’ennesima assise politica dell’ennesimo super movimento, l’ultima delle creature che uccidono in breve chi le ha partorite.
Presto ci saranno le elezioni, presto i giochi della politica istituzionale in chiave partecipativa reclameranno le loro vittime. È tempo di costruire una prospettiva diversa. È tempo che la capacità di fare politica senza deleghe sperimentata in questi anni tra una barricata e un pranzo condiviso, esca fuori dalla gabbia istituzionale.
Costruire assemblee popolari che in ogni contrada avochino a se la facoltà decisione, svuotando e delegittimando chi gioca il gioco del potere, è una prospettiva possibile un po’ ovunque. Tante Libere Repubbliche, tante Comuni contro il Comune, tanti spazi di libertà che allarghino il fronte, che mettano in gioco intelligenze e cuori, che ridisegnino la mappa del territorio in cui viviamo.
Solo se sapremo scandire con intelligenza e passione un tempo altro potremo mettere – ancora una volta – in difficoltà un avversario che non fa sconti a nessuno. Occorre estendere il conflitto, aprire sempre nuovi ambiti di autogestione, per spezzare l’accerchiamento e creare le condizioni per mandarli via. E non solo dalle reti di Clarea. Non c’è pace per chi viene a farci guerra.
Non siamo più bambini. Non permetteremo a nessuno di metterci il grembiule a quadretti per rubarci i sogni. (questo testo verrà distribuito alla marcia dal Giaglione a Chiomonte di sabato 28 luglio)

 

Val Susa. Sequestri e rastrellamenti

La “nuova” strategia contro i No Tav è chiara. Strangolare il movimento in una morsa militare, estendendo l’occupazione a strade e paesi. Ieri, mentre a Torino si riuniva il comitato per l’ordine e la sicurezza, sei blindati carichi di poliziotti e carabinieri dell’antisommossa e alcune auto piene di digos che salivano in alta valle sui curvoni del Belvedere, sopra Susa, hanno invertito la marcia, si sono messi di traverso per fermare una decina di auto che procedeva nella direzione opposta.
La statale 24 che porta al valico del Monginevro è stata bloccata a lungo. È passata una buona mezz’ora prima che polizia permettesse la circolazione a senso unico alternato delle auto. Chi passava guardava esterrefatto la scena da tempi di guerra. Una sessantina di persone sequestrate per due ore e mezza con il pretesto di un controllo di documenti. Tutti fotografati in mezzo alla strada.
Una decina di energumeni intorno all’auto di due donne che avevano osato protestare.
Ieri era mercoledì. Il giorno – pubblicizzato su tutti i siti e le liste – per le azioni di contestazione No TAV verso le truppe di occupazione, le ditte collaborazioniste, i partiti che vogliono imporre con la violenza il Tav.
Per bloccare l’iniziativa sono arrivati al sequestro preventivo dei manifestanti.
Un assaggio di quello che ci aspetta nei prossimi mesi.
Alla riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza hanno partecipato il sindaco di Torino Fassino, il presidente della Provincia Saitta, il questore, i comandanti di carabinieri e guardia di finanza, oltre al capo della Procura Caselli e al suo vice Beconi. Questi due in veste di “esperti”. Alla faccia della separazione dei poteri e della neutralità della magistratura. L’incontro si è concluso senza alcun comunicato ufficiale, ma la linea decisa è chiara. Nessuno sgombero del campeggio No Tav, se non si ripeteranno le “violenze” della notte del 21 luglio durante l’assedio alle cantiere militarizzato di Clarea. In quell’occasione il capo della digos, Giuseppe Petronzi, venne lievemente ferito.
Nonostante i toni arroganti alla fine è prevalsa la cautela, poiché le forze del disordine sanno bene che lo sgombero del campeggio Gravela di Chiomonte potrebbe allargare il fronte a tutta la valle, rendendo molto più difficile tenere sotto controllo la protesta.
Invece di un’immediata azione di forza hanno deciso di costellare i paesi e le strade della Val Susa di check point.
Potrebbe essere un boomerang, perché la violenza dello Stato, invisibile in Clarea, diviene palpabile per le strade della valle. Ieri hanno sequestrato per ore 60 persone. Tutte colpevoli. Colpevoli di essere No Tav e di non rassegnarsi alla violenza di ha trasformato la Clarea in un campo militare.