MV 6 febbraio 2013
Entrò nell’ex macello ma non fu occupazione
Il portavoce del Csa, Paolo De Toni, è stato assolto per il blitz del 10 agosto 2011 La difesa: era stata soltanto un’azione dimostrativa in un’area degradata
Udine. La firma del Csa, come sempre provocatoria, parlava di “okkupazione”. Ma il blitz del suo portavoce, Paolo De Toni, almeno in quell’occasione, puntava a un risultato prettamente dimostrativo: attirare l’attenzione della pubblica amministrazione, per convincerla a recuperare un’area degradata e restituirla alla città con una funzione sociale. Ecco perchè, quando il pm Andrea Gondolo gli aveva fatto notificare un decreto di condanna a 500 euro di multa, aveva deciso di resistere e, attraverso il proprio difensore, avvocato Andrea Sandra, chiesto di andare a dibattimento. Il processo gli ha dato ragione.
Per il giudice monocratico del tribunale di Udine, Emanuele Lazzàro, quella del 10 agosto 2011 nell’ex macello di via Sabbadini non era stata un’occupazione abusiva. De Toni, quindi, non poteva essere accusato di invasione di terreni o edifici pubblici. Da qui, la formula piena (“perchè il fatto non sussiste”) scelta dal magistrato per motivare la sentenza di assoluzione. Al termine della discussione, il vpo aveva invece ribadito la tesi accusatoria e chiesto per lui una pena pecuniaria.
Iniziata e finita nel giro di 24 ore, l’“occupazione lampo” del portavoce del Centro sociale autogestito si era tradotta nell’affissione di due cartelli a un portone arrugginito su via della Roggia e nell’introduzione in due edifici dell’ex macello – la sala bovini e quella posta di fronte -, entrambi di proprietà del Comune e ricadenti in un’area dichiarata dismessa e inagibile. A farlo sloggiare, quella stessa sera, erano stati gli agenti della Digos. La mattina successiva, la Polizia municipale aveva completato l’opera, “blindando” l’area e sbarrando così la strada all’irriducibile anarchico. Soddisfatto per la riuscita del blitz – che di lì a poco avrebbe portato alla firma di una convenzione con il Comune per la concessione al Csa dell’utilizzo di una parte dell’ex caserma Osoppo -, De Toni aveva tuttavia aggiunto alla propria collezione una nuova denuncia. Per occupazione abusiva, appunto.
«L’accusa non è fondata – aveva spiegato l’avvocato Sandra -. Per poter parlare di invasione di edifici, occorre che vi sia una presa di possesso o che vi si realizzino delle opere. Il tutto, per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo. De Toni, invece, si era limitato a entrare in una delle tante aree del Comune in stato di totale abbandono, come avvenne anche per quella di via Scalo nuovo (il caso era finito a sua volta davanti al giudice dibattimentale e chiuso con l’assoluzione di De Toni e di altre 35 persone dall’ipotesi di reato di invasione arbitraria di proprietà altrui, ndr), per dare corso a una classica azione dimostrativa. Soltanto proclami, dunque, finalizzati a ribadire la richiesta al Comune di mettere a disposizione del Csa spazi altrimenti inutilizzati».
La sortita in via Sabbadini era nata proprio dallo sgombero imposto dai carabinieri dalla palazzina di proprietà di Trenitalia e Ferrovie dello Stato. Era il 10 dicembre 2009 e De Toni si era impegnato a individuare una nuova sede, entro la scadenza del secondo “esilio”. Una volta dentro l’ex macello, aveva definito i locali “occupati” «per nulla pericolanti, nè soggetti a infiltrazioni d’acqua, come la maggior parte degli altri edifici dell’area, ma pieni di rifiuti e bisognosi di una massiccia bonifica. Qui – aveva affermato – è facile entrare e questo ne ha fatto spesso i dormitori per i “senza tetto”. Io stesso mi sono limitato a passare attraverso una rete, senza bisogno di scavalcare».