Dal Piccolo
23/08/13
Tensioni al Cie, la politica in campo
Resta accesa la polemica politica sulle leggi in materia di immigrazione e sulla possibile revisione della Bossi-Fini, invocata nelle ultime ore anche dal ministro Cecile Kyenge. «Per sconfiggere la piaga degli ingressi di clandestini in Italia la Bossi-Fini serve, eccome – afferma il deputato leghista Massimiliano Fedriga -, al pari della stipula di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza degli immigrati. Trovo scandaloso – conclude – che ci siano ministri che, anzichè occuparsi del malessere dei cittadini onesti che non trovano lavoro o non arrivano a fine mese, perdono tempo in propagandistici sopralluoghi ai Cie». Un’accusa rinfocolata anche dal leghista friulano Mario Pittoni. «La ministra Kyenge – afferma – passa il tempo a tenere comizi in mezza Italia, rifiutando il dialogo con chi non la pensa come lei, evidenziando così la sostanziale inutilità del suo incarico» di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Sul Cie di Gradisca la parola passa ora alla politica. Quella chiamata a raccolta per il vertice in programma in mattinata nel Municipio della cittadina isontina. Vertice che vedrà confrontarsi la governatrice Debora Serracchiani e la sua squadra di governo dapprima con l’amministrazione comunale retta dal sindaco Franco Tommasini e quindi con i parlamentari del territorio, i consiglieri regionali e gli esponenti della Provincia di Gorizia. Sul tavolo le gravi criticità emerse all’interno della struttura per immigrati nelle ultime due settimane, fra rivolte, evasioni e molteplici appelli alla revisione (o superamento) della Bossi-Fini, del concetto di reato di clandestinità, delle restrizioni ai diritti fondamentali degli “ospiti” e infine dei tempi di trattenimento nei Cie che oggi possono arrivare sino a 18 mesi. La stessa Serracchiani nei giorni scorsi si era espressa chiaramente a favore della chiusura della struttura di Gradisca. Intanto al Cie la situazione pare tornata sotto controllo. Prefettura e Questura hanno fatto rientrare gli ultimi allarmi smentendo la notizia del presunto caso di tubercolosi polmonare riscontrata ad un cittadino bosniaco. Cittadino che, appunto, non risulta ammalato anche se verrà precauzionalmente sottoposto ad ulteriori esami. È stato invece già espulso e rimpatriato il giovane tunisino arrestato l’altra notte per violenza e resistenze alle forze dell’ordine. Il nordafricano è stato processato per direttissima, condannato a 4 mesi e quindi espulso: trasportato all’areoporto di Bergamo, è stato poi imbarcato alla volta del suo Paese. Quanto agli altri immigrati trattenuti nel centro, resta in vigore l’obbligo di restare all’interno delle camerate per ragioni di sicurezza e per consentire i lavori di ripristino delle zone devastate nei giorni scorsi. Devastazioni sulle quale è tornata a farsi sentire la voce del sindacato di polizia Sap: «I Cie in realtà ospitano il più delle volte clandestini pregiudicati, scarcerati in attesa del rimpatrio, e non semplici disperati immigrati clandestini come quelli sbarcati in questi giorni sulle nostre coste». Il sindacato, nel prendere ancora una volta le distanze dalla manifestazione di sabato scorso che avrebbe incitato gli immigrati alla protesta, definisce senza mezze misure «atti criminali» i danni prodotti dagli immigrati stessi alla struttura. «E i danni, ingenti, li pagherà la comunità». Su posizioni opposte la Camera Penale di Gorizia che, attraverso i consiglieri Sottosanti e Marchiori, pone l’accento «sulla drammaticità delle condizioni in cui sono costretti a vivere i soggetti ristretti nei Cie per diversi mesi. Non è garantito alcun rispetto delle basilari condizioni di vivibilità e dei diritti umani che sono, invece, garantite ai detenuti nelle carceri». La Camera penale goriziana ritiene che la funzione dei Cie «vada preservata, vista la necessità di una forma effettiva di controllo dell’immigrazione nel nostro Paese», ma ritiene «assolutamente imprescindibile» un intervento legislativo volto a garantire «l’effettivo rispetto dei diritti umani».
22/08/13
Minaccia un agente a Gradisca, arrestato
di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Resta incandescente il clima al Cie di Gradisca. Un ospite trattenuto all’ex caserma Polonio è stato arrestato l’altra notte con l’accusa di violenza e resistenze a pubblico ufficiale. Si tratta di un tunisino di 22 anni, Haichel Garouachi, che ha minacciato gli agenti in servizio con un pezzo di vetro. Il giovane, che ha opposto una strenua resistenza, è stato bloccato a fatica dalle forze dell’ordine, che successivamente ne hanno disposto l’arresto, il trasferimento al carcere di via Barzellini e, in seguito, il rientro all’ex Polonio. Struttura che, probabilmente, lascerà presto: per lui si profila un’espulsione in tempi rapidi. La situazione rimane dunque tesa. A surriscaldare ulteriormente gli animi, ieri, è stata anche la notizia, per ora non confermata, di un possibile caso di tubercolosi polmonare. Il malato sarebbe un giovane bosniaco, invitato a sottoporsi ad ulteriori analisi. Ma è bastato il semplice sospetto per allarmare gli altri ospiti, da 48 ore rientrati nelle camerate. Una misura che secondo le autorità si è resa necessaria sia per ripristinare la sicurezza dopo i dieci giorni di proteste culminate con l’occupazione del tetto e l’evasione di sei nordafricani, sia per consentire i lavori di riparazione delle barriere e delle vetrate divelte dagli ospiti negli ultimi giorni. Rimane comunque loro consentito l’utilizzo dei telefoni cellulari. Altre richieste basilari dei trattenuti riguardavano la possibilità di usufruire della mensa, degli spazi comuni, del campo di calcio. Migliorie che, tuttavia, non dovrebbero arrivare tanto presto visto il clima di strisciante tensione: le ultime perquisizioni e bonifiche svolte dagli agenti avevano portato al ritrovamento nelle camerate di spranghe e pugnali rudimentali. Fra gli ospiti (in tutto circa una sessantina) i più risoluti nella protesta avrebbero nel contempo deciso di astenersi dal cibo proclamando lo sciopero della fame. Intanto dei sei evasi – cinque nordafricani e un siriano – non vi è più alcuna traccia e le loro ricerche possono dirsi concluse. Del resto l’allontanamento volontario dal Cie di fatto non è un reato, per il semplice motivo che – perlomeno sulla carta, visto il dibattito in atto su gabbie e misure coercitive in atto -, non è un carcere ma un luogo deputato alla “detenzione amministrativa”. Ovvero non fa i conti con le disposizioni giurisdizionali della normativa penitenziaria.
22/08/13
Sei maghrebini evadono dal Cie di Gradisca
Un’interpellanza urgente per sollecitare il rapido intervento del governo Letta sulla situazione esplosiva del Cie di Gradisca. A depositarla ieri alla riapertura della Camera dei deputati, è stata la deputata di Sel Serena Pellegrino. «L’esecutivo – si legge nel testo – deve spiegare quali politiche intende attuare per affrontare concretamente le continue crisi al centro isontino». Pellegrino, oltre a ribadire la necessità di una revisione della legge italiana in materia di immigrazione, chiede un controllo regolare sulle condizioni relative al «rispetto della dignità umana e delle norme igienico sanitarie all’interno della struttura di Gradisca». Con l’interpellanza, in particolare, si rivolge al Viminale affinchè «le istituzioni competenti alle pratiche di identificazione dei trattenuti – in primis ambasciate e consolati – svolgano con maggior sollecitudine gli adempimenti necessari». Richieste per nulla condivise dal leghista friulano Mario Pittoni. «Se, come dice anche Serracchiani, i Cie sono strutture inadeguate a contenere violenti e facinorosi, il problema si risolve rafforzandoli, non certo smantellandoli come chiede invece la sinistra che, con i sui messaggi “buonisti” è la prima causa dell’emergenza». di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Fuga dall’ex Polonio. Non si allenta la tensione al Cie di Gradisca: l’altra notte sei immigrati trattenuti nel centro isontino sono riusciti a evadere approfittando, secondo le prime ricostruzioni, del cambio turno nel servizio di vigilanza svolto dagli agenti di polizia e dai militari del Genova Cavalleria. La fuga A tentare la fuga sono stati in venti, sostanzialmente lo “zoccolo duro” di ospiti che protesta ormai da dieci giorni contro le condizioni di vita all’interno del centro e i tempi giudicati eccessivi (al momento fino a 18 mesi) di permanenza nella struttura. Per sorprendere le forze dell’ordine e calarsi all’improvviso dal tetto, “occupato” ad oltranza da sabato scorso, avrebbero utilizzato una rudimentale corda realizzata con degli asciugamani. Solamente in sei, però, sono riusciti a mettere a segno il piano, raggiungendo l’area del vicino Cara-Cda (il centro per richiedenti asilo recentemente ampliato per fare fronte all’emergenza-sbarchi in Sicilia). Da lì sono riusciti a scavalcare più agevolmente la recinzione, facendo perdere le proprie tracce nella campagna circostante. Immediatamente sono scattate ricerche a tappeto per rintracciare i fuggiaschi ma, stando alle ultime informazioni, i sei immigrati, tutti di etnia maghrebina, risultano ancora uccel di bosco. Nel primo pomeriggio aveva iniziato a girare la voce dell’individuazione di tre evasi, ma fonti della Polizia successivamente l’hanno smentita. Sicurezza Nel frattempo, dopo dieci giorni di sostanziale anarchia, il Cie è stato “rimesso in sicurezza”. Gli ospiti infatti sono stati tutti riportati all’interno delle camerate e delle relative vasche esterne di “contenimento”. Gli immigrati possono tra l’altro utilizzare di nuovo i telefoni cellulari, prima sequestrati e ora appunto riconsegnati nella speranza di riuscire così, almeno in parte, a placare gli animi e far rientrare la protesta. Sempre nelle ultime ore, poi, gli agenti hanno condotto delle operazioni di bonifica delle camerate, dove sono state ritrovate armi rudimentali come spranghe e pugnali artigianali. Iniziati anche i lavori di ripristino delle barriere divelte sabato scorso. Emergenza sbarchi in Sicilia Sul fronte Cda a giorni, se non a ore, sono attesi nuovi arrivi di immigrati sbarcati sulle coste siciliane e non interessati – come noto – a richiedere asilo in Italia. Sinora almeno 75 dei 90 eritrei condotti a Gradisca non hanno fatto rientro al Cda dirigendosi verso il Nord Europa. Operatori esasperati Da registrare anche la rabbia dei dipendenti della Connecting People, il consorzio siciliano che gestisce il Cie di Gradisca dal 2008. Ieri un operatore, che ha chiesto l’anonimato, si è sfogato a nome dei colleghi. «Chi non ci lavora, non può capire cosa accade qui dentro – afferma -. Rischiamo la vita e non vediamo lo stipendio da tre mesi. Il centro è totalmente in mano agli immigrati e la decisione di restituire loro i telefonini non aiuta di certo: gli ospiti si raccordano con i loro connazionali di altri centri italiani per coordinare le rivolte. Lavoriamo sotto continue minacce di ritorsioni fisiche – si sfoga ancora l’operatore -. In poco tempo ho contato 27 aggressioni nei confronti dei colleghi. Prima o poi accadrà qualcosa di grave e anche gli episodi di autolesionismo sono all’ordine del giorno (uno anche ieri ndr). I politici – conclude – devono smetterla di strumentalizzare i Cie per interessi di bandiera. Decidano una volta per tutte cosa intendono farne». La possibile visita del ministro In attesa dell’arrivo a Gradisca della giunta Serracchiani, nti locali, trapela la notizia che la prossima settimana il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge potrebbe giungere in visita al Cie di Gradisca. Frattanto si fa sentire anche la Provincia di Gorizia che «rivendica la necessità di una profonda riforma delle politiche relative all’immigrazione, di cui i Cie sono una vera e propria degenerazione. Bisogna prendere atto del fallimento totale di questo sistema»
21/08/13
«Nei Cie gli uomini sono chiusi in gabbia»
di Annalisa D’Aprile ROMA I Cie sono un «fallimento» perché sono delle «carceri» dove mancano «persino le garanzie minime di tutela dei diritti umani». È chiara la posizione di Luigi Manconi, presidente della commissione dei Diritti umani del Senato, che ieri ha chiesto un’ispezione al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), teatro giorni fa di una protesta dei migranti. Senatore, cosa non ha funzionato in questi centri? «Il sistema dei Cie è inadeguato anche rispetto al suo fine principale, dal momento che poco più del 40% dei trattenuti vengono effettivamente rimpatriati. Dunque un enorme investimento di energie e denaro, uno scialo di sofferenza il cui risultato non è adeguato al suo intento». Cosa dovevano essere i Cie e, invece, cosa sono diventati? «Sono nati per consentire l’espulsione delle persone che non avevano diritto di circolare liberamente nell’area Schengen. All’inizio prevedevano una permanenza di 30 giorni, poi arrivata a 18 mesi: segno di una struttura che si è trasformata in un carcere per giunta privo di quel tanto di garanzie che il carcere offre. Inoltre, per ragioni economiche, si è passati ad una fase di riduzione estrema delle risorse, con la gestione dei Cie assegnata attraverso bandi al ribasso. Il centro di Capo Rizzuto ad esempio, prevedeva una spesa pro capite e pro die di 21 euro al giorno: una cifra ridicola che rende il servizio carente e le condizioni di vita disumane». Lei ne ha visitati molti, cosa ha visto? «Ho visto persone in condizioni di profonda alienazione, causa di frustrazione e risentimento alla base delle rivolte. Il Cie non è un carcere da un punto di vista giuridico, quindi la comunicazione con l’esterno dovrebbe essere consentita. Così non era in quello di Gradisca, dove avevano proibito l’uso dei cellulari, una decisione totalmente arbitraria. Anche il disegno architettonico dei Cie suggerisce l’idea della cattività, con quelle sbarre alte due-tre metri e quella dimensione di gabbia». Chi c’è in quelle “gabbie”? «Questa è l’incongruenza più atroce dei centri: non possono essere sottoposte allo stesso regime persone appena uscite dal carcere, che per giunta scoprono di dover subire la pena accessoria dell’espulsione, persone che devono ancora chiedere la protezione internazionale, altre che sono scappate dalle guerre, insieme ad altre ancora che hanno perso il lavoro e con esso il permesso di soggiorno. Tutti loro vivono nell’incertezza e si chiedono: perché sono qui? Quanto ci dovrò restare? E dove andrò dopo? Ecco il contesto di insensatezza dei Cie dove domina su tutto l’incertezza». Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa? «Tutti i discorsi sull’accoglienza vanno ricondotti all’interno della Comunità europea. La posizione geografica dell’Italia non può diventare un handicap che deve affrontare da sola. Le politiche sull’immigrazione devono essere europee». Si parla di rivedere la Bossi-Fini, come? «Bisogna rovesciare l’ideologia di una legge nata col fine principale di escludere e respingere i flussi migratori. L’immigrazione va considerata un’opportunità di sviluppo. Ad esempio, si stima che 2 milioni di stranieri in Italia siano impiegati nella cura di minori e anziani. Ci siamo chiesti come potremmo fare senza di loro?»