CIE DI GRADISCA: rassegna stampa 11-23 agosto

da IlPiccolo

23/08

 

«Inchiesta Cie, vedute divergenti tra i pm»

Sono stati i pubblici ministeri Valentina Bossi e Luigi Luigi Leghissa di loro iniziativa, con due distinte istanze, a chiedere al Procuratore capo della Repubblica l’assegnazione ad altro collega dell’inchiesta sugli appalti al Cie, che vede indagata la vice prefetto vicario Allegretto assieme a due funzionari della Prefettura e due responsabili della cooperativa che gestisce il Cie. Una decisione scaturita da una non omogenea veduta dei due pubblici ministeri nella gestione del processo. Lo afferma il Procuratore della Repubblica Caterina Ajello in una nota, che è stata controfirmata anche dai cinque sostituti in servizio alla Procura goriziana. «Preso atto di ciò – afferma la Ajello – ho designato secondo i criteri tabellari gli unici due restanti sostituto facenti parte del Gruppo reati contro la pubblica amministrazione, cioè i dottori Enrico Pavone e Michele Martorelli». L’inchiesta sul Cie riguarda la gestione e gli appalti al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. In un primo momento l’accusa ipotizzata era di falso ideologico e negli ultimi mesi mesi era stata ventilata anche l’ipotesi della corruzione. Inoltre la Ajello, come avevamo anche scritto, ricorda che in autunno i pm Leghissa e Bossi saranno impegnati a sostenere l’accusa nelle ultime battute del maxi processo per le morti da amianto – la preparazione della requisitoria richiederà uno sforzo non indifferente per la necessità di effettuare la sintesi e la raccolta di tutti i dati processuali – e quindi «la riassegnazione dell’inchiesta Cie ad altri magistrati ben si concilia temporalmente e logicamente con lo sgravio di lavoro riguardante quest’ultimo procedimento». La Procuratrice coglie anche l’occasione nel sottolineare che grazie al suo interessamento «da un anno e mezzo quattro finanzieri e un esponente della Digos si dedicano quotidianamente ed esclusivamente a queste indagini, venendo supportati in alternanza da altri esponenti delle forze dell’ordine. Vale a dire che non sono mai stati risparmiati uomini e iniziative investigative dell’Ufficio della Procura per approdare alla reale verità dei fatti, e alla scoperta di illeciti di rilievo penale».

 

22/08

Ospite del Cie fugge dall’ospedale

È durata poco la fuga di un immigrato ospite del Cie di Gradisca. È stato fermato dai carabinieri dopo essere fuggito dall’ospedale San Giovanni di Dio di Gorizia. Un giovane tunisino di 27 anni, ospite del centro immigrati di via Udine, era stato ricoverato all’ospedale civile di Gorizia per accertamenti. Ieri mattina, eludendo l’attenzione del personale sanitario, il giovane nordafricano si era arbitrariamente allontanato dal nosocomio del capoluogo isontino. La sua assenza è stata notata subito dai medici, che contattavano il “112”. In breve una pattuglia del Nucleo radiomobile in servizio perlustrativo in città rintracciava il giovane magrebino che, in fase di accertamento dell’identità, declinava ai militari operanti generalità false. Accompagnato al Comando Carabinieri di corso Verdi per espletare le formalità di rito, il giovane veniva denunciato a piede libero alla locale Procura della Repubblica per false dichiarazioni sulla identità personale e riaccompagnato al Centro di identificazione ed espulsione della città della fortezza. Non è la prima volta che extracomunitari che si trovano al Cie si fanno ricoverare all’ospedale, magari dopo gesti di autolesionismo, per cercare poi di fuggire eludendo la sorveglianza del personale. Un sistema che in qualche occasione ha anche funzionato.

 

12/08

Appalti al Cie, escono di scena i pm “storici”

GORIZIA Da falso ideologico a corruzione: l’inchiesta sui due centri migranti di Gradisca, il Cie e il Cara, imbocca una nuova strada. Indagata con l’ipotesi di corruzione è il viceprefetto vicario di Gorizia Gloria Allegretto, implicata nella vicenda già dal marzo scorso ma con l’ipotesi meno grave di falso ideologico. Ma su questa linea dura, intrapresa dal pm Valentina Bossi, non tutti sono d’accordo in Procura a cominciare dal capo dell’ufficio, la dottoressa Caterina Ajello, che conferma l’indagine per corruzione, ma non è convinta ed esprime qualche dubbio che questa accusa possa reggere. E forse questa identità di vedute diverse che ha spinto Bossi, dopo un’indagine condotta per un anno e mezzo, ad abbandonare l’inchiesta. Ajello sostiene che l’avvicendamento è dovuto per Bossi e per il collega Leghissa, che pure indaga sul Cie, perché impegnati in altri processi. I due pm infatti seguono le inchieste sulle morti da amianto: sono impegnati nel maxiprocesso che è alle battute conclusive, ma stanno arrivando a giudizio altri quattro filoni legati sempre ai decessi per asbestosi. Così Ajello ha affidato l’inchiesta sul Cie ad altri due pm che seguono i reati contro la pubblica amministrazione. Ma gli spifferi che giungono dal secondo piano del Palazzo di giustizia danno una versione diversa dei motivi che hanno portato alla rinuncia da parte della Bossi, convinta invece nel portare avanti con decisione l’ipotesi di corruzione nel giro di soldi, 1,5 milioni, avvenuto per la gestione del Cie e del Cara. Il pm ha ipotizzato che parte dei soldi che dal ministero dell’Interno giunge alla Prefettura per la gestione dei centri immigrati sia finito in tasca a qualche privato. Un’indagine, che tocca la Prefettura, e quindi scomoda. Da prendere con le pinze. Non è solo Gloria Allegretto ad essere indagata, ci sono anche tre dipendenti della stessa prefettura ma con ipotesi diverse che vanno dal falso ideologico al favoreggiamento. A questi vanno aggiunti due esponenti della Connecting people, il consorzio di Trapani che gestisce da 4 anni Cie e Cara di Gradisca. Sono accusati di falso e truffa per aver dichiarato più presenze di immigrati di quelle effettive intascando così più soldi di quanti dovuti con il visto della Prefettura. Secondo l’appalto il gestore riceve 42 euro al giorno per ogni immigrati al quale deve fornire pasti, medicinali, vestiario e quanto di altro necessario. (fra. Fem.)

 

11/08

I posti disponibili scendono a 70 per colpa dei danni

I Cie di Gradisca continua a rimanere a basso regime. Nella struttura per migranti le presenze si attestano appena sulle 70 unità, a fronte di una capienza reale (mai toccata) di 248 posti. “Colpa” degli infiniti lavori di ristrutturazione delle sezioni danneggiate in questi anni. All’appello manca la zona verde e una parte della zona blu, quella danneggiata nel giugno scorso dopo che era stata appena resa nuovamente agibile. Lavori attesi anche nella zona rossa e nell’area esterna: a settembre sarà dotata di teloni per impedire agli immigrati d’issarsi sui tetti e saltare fuori fuggendo.

 

11/08

Lo chiudono al Cie, ingoia pezzi di vetro

di Luigi Murciano GORIZIA Ha ingoiato uno dopo l’altro 15 pezzi di vetro infrangibile per protestare contro il proprio trattenimento al Cie di Gradisca. Oggi è ricoverato in Chirurgia del nosocomio di Cattinara dopo un delicato intervento al ventre. Quella di Hatem (il nome è di fantasia) è una storia come tante nascoste dietro al muro dell’ex Caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo. Ma è una storia che per una volta riesce a scavalcare quell’invalicabile recinzione ed arrivare all’opinione pubblica. Hatem, 43 anni, è un cittadino tunisino. Lavorava nel nostro Paese ormai da anni – «perfettamente in regola», avrebbe assicurato – ma il suo permesso di soggiorno è scaduto. E non è più stato possibile rinnovarlo. E così, da un giorno all’altro, la vita di Hatem è cambiata. È stato disposto il suo fermo amministrativo e la sua traduzione nel Cie di Gradisca d’Isonzo in attesa di espulsione. Si è trovato a dividere la camerata con altri immigrati maghrebini: alcuni con alle spalle storie molto simili alla sua, altri invece provenienti dal circuito carcerario e in attesa di rimpatrio dopo avere scontato la pena. Proprio questo, pare, ha fatto perdere la testa ad Hatem. «Io non ho fatto nulla, non ho reati alle spalle, perchè mi trovo rinchiuso con queste persone? Non sono un delinquente» si sarebbe sfogato prima di passare alle vie di fatto. Qualche compagno gli deve avere suggerito di fare come tanti altri: ingoiare qualche bullone o qualche pezzo di vetro per tentare la strada del ricovero in ospedale. Per molti, l’unica vera possibilità di fuga: una volta al nosocomio, infatti, gli immigrati vengono piantonati solo in caso di esami di routine; in caso di ricovero le forze dell’ordine non sono tenute a sorvegliarli. Chissà se Hatem voleva davvero tentare la corsa verso la libertà o solamente inscenare una protesta: fatto sta che i dolori lancinanti hanno indotto il personale sanitario del Cie a decidere per il ricovero all’ospedale di Gorizia, dove la situazione è sembrata grave al punto da disporre il trasferimento dell’uomo a Cattinara per l’intervento chirurgico di rimozione dei frammenti ingoiati. Una storia come quella di Hatem, assicurano i sindacati di polizia, è ormai all’ordine del giorno. Prova ne sia che è stato disposto un servizio, garantito da Carabinieri e Guardia di finanza, per il trasporto all’ospedale degli immigrati. Prassi ormai quasi quotidiana. «Praticare atti di autolesionismo per ottenere il ricovero in ospedale è un comportamento sempre più diffuso fra i trattenuti al Cie – riflette Angelo Obit, segretario provinciale Sap -. Senza volere generalizzare su questo caso, la pratica d’ingerire vetri e bulloni è l’unica reale possibilità di fuga a disposizione di queste persone. Spesso funziona pure». L’ultimo caso qualche settimana fa, quando un ospite del Centro è riuscito a darsi alla macchia dopo avere ottenuto il trasferimento al nosocomio di Gorizia. «Alcuni arrotondano i pezzi di plexiglass in modo che non s’infilzino sugli organi interni – svela Obit -. Insomma, esistono anche tecniche piuttosto affinate. Ma quello che bisogna chiedersi è come sia possibile che le persone trattenute riescano a procurarsi questo genere di materiali da ingerire». Un aspetto del Cie che continua a fare discutere, comunque, è la pericolosa promiscuità fra tipologie di immigrato troppo diverse fra loro per convivere sino a sei mesi. Nella stessa cella convivono migranti come Hatem, che si sono ritrovati clandestini da un giorno all’altro per un documento scaduto o per essere stati pizzicati dopo anni di sfruttamento sul mercato nero del lavoro; e soggetti pericolosi che hanno sì saldato il loro debito con la giustizia, ma ai quali viene affibbiato un supplemento di pena (il trattenimento al Cie, appunto) in attesa che il Paese d’origine li riprenda indietro. Un mix esplosivo.