CIE DI GRADISCA: “Siamo come schiavi”

Servizio del TG3 nazionale 13 Maggio 2012

 

 

Galleria fotografica del CIE (dal Messaggero Veneto)

 

 

Da Il Piccolo del 13/05/12

Ma al Cie di Gradisca non c’è nessuna allerta

 

di Luigi Murciano GORIZIA A partire da questa settimana il Cie di Gradisca vedrà aumentare la sua capienza di 136 posti. Ma almeno per ora non vi è alcuna evidenza che la struttura isontina possa rientrare in un piano d’emergenza per i temuti sbarchi di clandestini sulle coste siciliane, ipotizzati nelle ultime ore dai ministri Terzi e Cancellieri. Attualmente il centro immigrati isontino conta su una capienza di appena 68 posti, quelli della cosiddetta “zona rossa”, peraltro attualmente occupata per meno di un terzo. Ancora fuori gioco la “zona verde” da 44 posti, nei prossimi giorni arriverà invece l’agibilità della sezione più capiente, la “zona blu” da altri 136 posti letto. I funzionari della Prefettura e della Questura goriziane, che venerdì hanno guidato i giornalisti all’interno del centro immigrati, lo hanno lasciato intendere in maniera piuttosto chiara: il Cie tornerà a regime. Ma al momento non esiste alcuno stato di allerta legato ai previsti flussi di immigrati nordafricani. Il carcere per migranti di Gradisca tornerà semplicemente al suo ruolo di routine da macchina da espulsioni per gli irregolari intercettati nel Nord Italia, o per stranieri in attesa di rimpatrio dopo avere scontato una pena in carcere. Difficile che cambi tipologia di ospiti. A sostenerlo è Angelo Obit, responsabile provinciale del sindacato di polizia Sap. «Mi sembra difficile che il Cie possa essere interessato direttamente dalle emergenze – afferma – per il semplice fatto che si tratta di un centro di espulsione. I disperati che giungono sulle coste siciliane richiederanno in massima parte asilo politico». Migranti che vengono dunque ospitati nei Cara o in strutture residenziali in attesa dello status di rifugiati. «Questo a meno che il governo non addotti una politica decisamente diversa» specifica Obit. Ovvero: il Cie gradiscano rientrerebbe nell’emergenza sbarchi solo in due casi: se il governo Monti dovesse decidere di fronteggiare i flussi col pugno di ferro ed espulsioni sistematiche dei clandestini approdati sulle coste, oppure riformando temporaneamente i Cie come avvenne nel 2007, quando i centri vennero eccezionalmente sdoppiati in strutture di accoglienza oltre che d’ espulsione.

 

Da Il Piccolo del 12/05/2012

Il Cie tornerà a ospitare oltre duecento stranieri

di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Dopo un anno in cui è stato poco più che un presidio (oggi appena 24 presenze su 248 posti) il Cie di Gradisca rientrerà a regime. Se repentinamente o progressivamente, sarà il Viminale a deciderlo. É emerso nel corso del pluri-invocato sopralluogo degli organi di informazione alla struttura per migranti isontina. Dopo un black-out informativo durato quasi 4 anni, infatti, ieri grazie alla campagna LasciateCientrare le porte dell’ex Polonio si sono spalancate. «Questo posto non è degno di un Paese civile», «Liberateci», «Siamo trattati come cani per un documento scaduto», le grida con cui hanno accolto i visitatori e cercato di scavalcare idealmente il dedalo di sbarre e protezioni in plexiglass. Gli “ospiti” sono costretti a dormire in una stanza in 8 (e fino a poco tempo fa senza materassi per il timore venissero incendiati) e a vedere il sole solo due volte al giorno da una “gabbia” di 25 metri quadrati, perchè già l’accesso al campetto da calcio è ritenuto pericoloso per eventuali evasioni. La calma è apparente anche per l’annus horribilis vissuto dal Cie sotto il profilo gestionale, fatto di indagini della Procura su presunti falsi nelle fatturazioni e di sentenze del Tar che costringono la Prefettura a prorogare di 10 in 10 giorni l’appalto alla cooperativa siciliana Connecting People. In mezzo anche due casi di patologie sospette: una di Tbc e una di scabbia, ma dall’infermeria assicurano: «Le persone sono in isolamento soltanto a titolo precauzionale, le analisi hanno già dato esito rassicurante”. I sindacati di polizia sono pessimisti: con appena 8 uomini a turno il Cie a regime tornerà ad essere un inferno. La ristrutturazione delle due sezioni messe a ferro e fuoco dai migranti fra il 2007 e il febbraio dello scorso anno sono pressoché ultimate (la zona blu da ben 136 posti) o comunque in dirittura d’arrivo (altri 44). Giusto in tempo per fare fronte alle nuove ondate di sbarchi estivi sulle coste siciliane. Il Cie tornerà presto ad essere quella macchina da espulsioni (1.500 dal 2006 ad oggi) voluta da governi di centrosinistra – che queste strutture le ha istituite – e centrodestra, che i Cpt li ha trasformati in quello che sono oggi. Nè carne, nè pesce. Così Juri, malinconico operaio ucraino 49enne appena arrivato al Cie e ancora stranito dal ritrovarsi dietro le sbarre, si chiede a che serva Schengen e divide la cella con i marocchini Muhammed, ex spacciatore, e Afidh, pasticcere a Palermo fino a un mese fa. E ancora Fathi, 32enne libico che affida le proprie speranze alla richiesta di asilo politico, torna dietro le sbarre come un delinquente: «In Libia mi hanno ammazzato tutta la famiglia, tornare là mi fa male». Ma quanto è costato sino ad oggi il Cie? Oltre il centinaio di milioni di euro: 17 per realizzarlo, 90 per sei anni di gestione, 2 milioni per le ristrutturazioni, attorno a un milione per i rimpatri.

 

 

Dal Messaggero Veneto del 13/05/2012

Pronta per nuovi arrivi la zona blu: altri 136 posti

GRADISCA D’ISONZO La zona blu è pronta. Dalla prossima settimana potrà riaprire i cancelli a nuovi arrivi. Lo annuncia la Prefettura di Gorizia. Sarà il ministero, però, a decidere quanti immigrati trasferire. La capienza massima della zona blu è di 136 posti. Altri 44 saranno ricavati nella zona verde, dove a giorni partirà il cantiere per la ristrutturazione. I sindacati di polizia. In vista dell’aumento di trattenuti, i segretari provinciali del Sap Angelo Obit e del Siulp Giovanni Sammito chiedono un potenziamento del personale di vigilanza. Obit, inoltre, si augura «che l’operatore in servizio al Cie non venga più considerato come un jolly da giocare per altri servizi, visto che attualmente la Questura lo dirotta sulle volanti». I costi. Per ogni immigrato al Cie, lo Stato sborsa 42 euro al giorno. Che ci sia, o che non ci sia. Già, perché attualmente gli ospiti sono 24, ma lo Stato paga come se fossero 123. «In realtà anche se non siamo a pieno regime – svela l’arcano il generale Vittorio Isoldi della Connecting people, la cooperativa che gestisce la struttura – l’accordo prevede un pagamento a scaglioni. A meno del 50% della capienza il rimborso erogato è calcolato su 123 persone. Del resto dobbiamo pagare il personale (circa 70 addetti, una decina gli stranieri) e le spese vive». Facendo un rapido calcolo, al mese per ogni ospite al Cie si spendono 1.260 euro. Moltiplicato per 24 (gli immigrati che si trovano attualmente nella ex caserma Polonio) dà come risultato 30.240 euro. Invece, ogni mese lo Stato spende 154.980 euro al mese, ovvero 124.740 euro in più per i 99 immigrati-fantasma. Il Cara. Al Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) di Gradisca vivono nove donne e otto bambini (sei maschi e due femmine. Alcuni di loro vanno anche a scuola nella città della fortezza. In totale il Cara ospita 138 persone. Anche in questo caso l’appalto prevede un costo per lo Stato di 42 euro a persona. Al mese fa 173.880 euro. La vita al Cara è molto diversa; gli ospiti possono, infatti, uscire liberamente dalle 8 alle 20, lavorare all’esterno e così via. I rimpatri. «Dalla sua apertura, nel 2006, ad oggi – comunica l’Ufficio immigrazione della Questura – dal Cie sono stati rimpatriati circa 1.500 immigrati». Da quando è cambiata la legge, che allunga il periodo di permanenza nella struttura fino a 18 mesi – anche se solitamente ci vogliono dai 60 ai 90 giorni –, tutti chiedono il rimpatrio, pur di non rimanere rinchiusi nel Cie. Commissione Ue. Arriverà a sorpresa nei prossimi giorni la visita della Commissione Ue contro la tortura, che sta facendo il giro dei Cie di tutta Italia. Condizioni di vita. La Polizia specifica che i cellulari vengono sequestrati all’arrivo per evitare che i trattenuti coordinino azioni di rivolta. Connecting people e Prefettura sottolineano che i familiari degli ospiti possono entrare quando vogliono perché hanno un’autorizzazione permanente, che i contatti con l’esterno e con i legali di fiducia sono frequenti. «Cerchiamo – conclude il generale Vittorio Isoldi della Connecting people– di migliorare le loro condizioni di vita qui». Conferma anche un agente: «Con il dialogo si riesce a risolvere tutto. Noi parliamo moltocon loro. Certo, il lavoro qui è stressante». (i.p.)

 

12/05/2012

«Siamo come schiavi» la vita dentro la gabbia”

di Ilaria Purassanta GRADISCA D’ISONZO Sessanta metri quadrati di cielo in una gabbia di ferro e cemento che la calura estiva rende ancora più soffocante. È tutto ciò che gli immigrati trattenuti nella struttura gradiscana riescono a vedere del mondo che sta fuori dal Cie, oltre le sbarre serrate con grossi lucchetti, i labirinti di inferriate e plexiglass e il pesante cancello automatico che ha chiuso la porta in faccia alla libertà e alle loro speranze. Quando, ieri mattina, dopo quattro anni, i giornalisti hanno potuto rimettere nuovamente piede dentro il Centro di identificazione ed espulsione, dagli immigrati si è levato un urlo: «Vogliamo libertà e diritti, aiutateci»! Hanno preso d’assalto le sbarre che dividono il cortile delle camerate dal corridoio dove passavano i visitatori, sporgendo le mani per attirare l’attenzione, un coro di grida sovrapposte e di tante lingue diverse, l’urgenza di denunciare le condizioni di vita dentro al Cie, la rabbia e lo sconcerto di ritrovarsi rinchiusi in gabbia. «Questo non è un paese civile se siamo qui» l’ira fa tremare la voce a un ragazzo. Nella zona rossa, attualmente l’unica agibile, vivono 24 uomini: persiani, senegalesi, marocchini, tunisini, libici, algerini. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, attendono il decreto di espulsione e il rimpatrio. Vengono rispediti nelle loro terre d’origine con un volo di linea o un charter. Fra loro c’è Omar, un muratore marocchino che ha lavorato prima per un’impresa edile poi come badante per una disabile. Peccato che la sua ultima datrice di lavoro non gli abbia versato i contributi: così, di punto in bianco, si è ritrovato senza la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno ed è finito al centro di Gradisca. Un altro marocchino, il 48enne Hassam si è ritrovato senza un impiego all’improvviso: l’azienda di Treviso per la quale lavorava si è trasferita a Ferrara: tutti i lavoratori sono finiti sulla strada. Lui, invece, al Cie. «Sono in Italia dal 1988 – Hassam mostra i documenti – e ho pagato sempre i contributi, mai commesso un reato. Ora sono clandestino». Altri, come il persiano Reza provengono invece dal circuito carcerario e scontano qui la fine della pena. «Qui si sta peggio che in galera – raccontano – almeno in prigione hai dei pasti buoni, lenzuola pulite, puoi comprare le sigarette, se stai male vai subito in infermeria, qui invece l’altra sera uno di noi stava male e per un’ora e mezza non è venuto nessuno, abbiamo dovuto chiedere aiuto ai militari, che hanno a loro volta avvisato l’infermeria». Il tempo scorre fra le camerate e il cortile, un acquario di plexiglass e grate metalliche che d’estate si trasforma in un forno. Ha le inferriate persino la televisione. Non possono nemmeno leggere libri: i materiali infiammabili, dopo gli incendi del febbraio dello scorso anno, che hanno devastato la zona blu, non sono ammessi al Cie. Le sigarette sono razionate: ogni “ospite” ha cinque buoni di colore rosa, ciascuno vale una bionda. Per chiamare la famiglia si fa la fila all’unico telefono disponibile. «Hai una scheda da 5 euro, ma dopo due minuti di una chiamata internazionale hai già esaurito il credito» racconta un immigrato. «C’è un solo rasoio elettrico per tutti noi» segnala un altro. Fino a due mesi fa in alcune camerate non avevano nemmeno i materassi: dormivano direttamente sul letto di metallo. Ora, gridano alcuni «non ci cambiano nemmeno le lenzuola, con tutto questo caldo abbiamo due coperte di lana» e trascinano fuori in cortile un materasso con le coperte per dimostrare che stanno dicendo il vero. In una camerata non si lavano da due settimane perché le docce sono state rotte da un precedente “inquilino”. «Per forza che ci viene la scabbia» tuona il trentenne marocchino Mohammed e mostra alcune eruzioni cutanee a suo dire sospette: «Queste non c’erano quando sono entrato, ma uno che dormiva con noi ha preso la scabbia e non hanno cambiato i materassi». «Nel Cie non c’è nessuna attività, non c’è niente – sospira Mohammad, laureato in legge, che in Senegal ha lasciato moglie e figlio per cercare fortuna in Italia – . Qui mi sento come uno schiavo, perché un cane è trattato meglio, se ha un padrone buono. L’effetto che mi fa questo posto? Mi fa venire voglia di suicidarmi o di prendermela con persone che non centrano niente. Viviamo in condizioni indecorose. Il mio unico sbaglio è stato quello di non rinnovare in tempo il mio permesso di soggiorno. Dopo 15 anni di contributi pagati allo stato italiano, sono finito qua. È una cosa vergognosa. Io voglio giustizia e più umanità: noi siamo esseri umani. Io sono orgoglioso di essere senegalese e vorrei ritornare a casa, riabbracciare mia moglie e mio figlio». Gli vengono i lucciconi agli occhi, ma riesce a trattenere le lacrime: «Una volta li sentivo ogni giorno, tramite facebook e internet, da un giorno all’altro, non ho più potuto farlo: qui a Gradisca ti tolgono il cellulare. Una volta ogni tanto ti danno una scheda»

 

 

dal Messaggero Veneto del 11/05/2012

Viaggio nel Cie di Gradisca
Le foto in esclusiva

Dopo quattro anni i cancelli del Cie di Gradisca d’Isonzo si aprono nuovamente ai giornalisti. “Vogliamo libertà, questo non è un paese civile, aiutateci!”: è il grido con il quale gli immigrati trattenuti dentro alla struttura di identificazione ed esplusione accolgono la stampa e le troupe televisive

di Ilaria Purassanta

GRADISCA. Dopo quattro anni i cancelli del Cie di Gradisca d’Isonzo si aprono nuovamente ai giornalisti. “Vogliamo libertà, questo non è un paese civile, aiutateci!”: è il grido con il quale gli immigrati trattenuti dentro alla struttura di identificazione ed esplusione accolgono la stampa e le troupe televisive. In ventiquattro condividono le camerate nella zona rossa. Vengono dalla Persia, dal Marocco, dal Senegal e dalla Libia. C’è chi ha pagato i contributi per quindici anni allo Stato e poi ha perso il lavoro perché la ditta è fallita, ritrovandosi nella condizione di non poter più rinnovare il permesso di soggiorno.

C’è un laureato in legge del Senegal che vorrebbe leggersi un libro per passare il tempo, ma i libri sono materiale infiammabile, non possono entrare nel Cie. C’è anche chi proviene dal circuito carcerario e sconta qui la fine della pena: “In galera, però, si sta meglio”.La vita scorre in venticinque metri quadrati di cemento circondati dalle sbarre e negli stanzoni.

Dalla prossima settimana, la zona blu è pronta a riaprire i battenti e ad accogliere i nuovi arrivi dagli altri centri d’Italia, che sono sovraccarichi. La sua capienza è di altri 236 posti. Per ogni trattenuto Connecting people riceve dallo Stato 42 euro al giorno. In realtà, però, il conteggio va a scaglioni. Anche se ora gli immigrati al Cie sono solo 24, la Cooperativa che ha in gestione il Cie e il Cara viene pagata come se nella struttura ci fossero 123 trattenuti. Stessa cifra a persona anche per gli ospiti del Cara, rifugiati e richiedenti asilo: attualmente sono 138. Fra questi, nove donne e otto bambini.