Dal Messaggero veneto del 16/10/11
Cie, l’urlo ai politici «Meglio la galera»
GRADISCA «Ho visto tanti Cie, ma questo è in assoluto il più simile a un carcere, se non peggio. Ho sentito gente dire che preferirebbe tornare in galera piuttosto che restare qui». Con queste parole la struttura governativa di via Udine viene sonoramente bocciata da Andrea Sarubbi, deputato romano in quota Pd recatosi ieri in visita al Centro di identificazione ed espulsione insieme a Carlo Monai, esponente di Idv alla Camera e a numerosi amministratori locali, fra cui i consiglieri regionali Antonaz, Codega e Kocijancic, l’assessore provinciale alle Politiche sull’immigrazione Della Pietra, il consigliere provinciale Zanella, i sindaci di Sagrado Pian e Mariano Visintin, l’assessore alle Politiche sociali di Cervignano, Gratton e i consiglieri di Romans, Godeas e Guadagnini. Presenti nella folta delegazione anche Corazza del Centro salute mentale di Gorizia e alcuni rappresentanti di Tenda per la Pace, Asgi – studi giuridici sull’immigrazione – e Consiglio italiano per i rifugiati. Sarubbi, che di Cie ne ha visitati parecchi lungo lo Stivale, critica aspramente quello di Gradisca e argomenta con esempi concreti. A Trapani si può entrare con un iPhone, a Roma il cellulare è consentito ma senza fare foto, in riva all’Isonzo il telefonino è vietato del tutto. Oppure la mensa: «Perché a Gradisca è considerata pericolosa e a Roma invece no?» È l’interrogativo del parlamentare capitolino, che auspica nuove leggi sull’immigrazione, ricorda i costi eccessivi di queste strutture e la discrezionalità delle Prefetture. In chiusura Sarubbi sottolinea che dentro il Cie «non ci sono vittime e carnefici, ma solo vittime, perché poliziotti e operatori lavorano in condizioni poco agevoli» e conferma l’indiscrezione secondo cui gli operatori di Connecting people siano senza stipendio da quasi due mesi. L’ingresso al Cie gradiscano non è stata una novità per il deputato cividalese Carlo Monai. «Eppure ogni volta devo constatarne l’inutilità. Da un paio d’anni gli impianti sportivi e ricreativi sono inaccessibili, eppure sembra sempre che il ripristino sia imminente. Resta il fatto che i cosiddetti “ospiti” vivono condizioni di segregazione tali da essere trattati peggio dei detenuti delle patrie galere: c’è chi mi ha chiesto di poter tornare in carcere perché lì stava meglio». Prima volta al Cie, invece, per l’assessore provinciale Bianca Della Pietra, apparsa quasi sotto choc: «E’ un Centro dove i diritti sono sospesi, se non negati. La persona andrebbe messa al primo posto, invece ho visto un’istituzione negante l’identità personale». Il consigliere regionale Roberto Antonaz si dice pronto a lanciare una proposta: «Una sorta di staffetta per entrare al Cie anche una o due volte a settimana». Giuseppe Pisano
Dal Piccolo
MARTEDÌ, 16 OTTOBRE 2012
«Il Cie di Gradisca è peggio di un carcere»
Visita dei parlamentari Sarubbi e Monai: «Segregazione oltre il buon
senso, diritti negati agli ospiti»
GRADISCA «Quello di Gradisca d’Isonzo è in assoluto il Cie italiano più
simile a un carcere. E per molti versi è pure peggio di molti
penitenziari». Quella di Andrea Sarubbi è un’istantanea impietosa. Il
deputato Pd ha visitato ieri il Centro di identificazione ed espulsione
della cittadina isontina assieme al collega Carlo Monai (Idv)
nell’ambito della campagna di informazione “LasciateCientrare”. Assieme
a loro amministratori locali, operatori della stampa, esperti di ambito
legale ed esponenti del mondo dell’associazionismo. Una visita durata
quasi 3 ore, servita a confermare molte delle perplessità che da sempre
circondano i Cie italiani e quello di Gradisca in particolare. «Dico che
è un carcere perchè qui non esistono percorsi di integrazione,
assistenza o recupero per le persone trattenute – commentano Sarubbi e
Monai -. La promiscuità crea poi una miscela esplosiva. Si va
dall’immigrato che si becca un supplemento di pena dopo essere stato in
carcere, allo straniero rinchiuso per un documento scaduto. Non può
funzionare. E poi – sottolineano – a differenza di altri Cie certi
diritti sono del tutto sospesi. Non si può pranzare in mensa. Non si può
utilizzare il campo da calcio. Tenere le proprie cose in un armadietto.
È vietato l’uso del cellulare, cosa che a Roma o Trapani è consentita.
La verità – è il parere di Sarubbi – è che la discrezionalità delle
diverse Prefetture è troppa, e forse è condizionata dalle maggioranze
politiche. Mi chiedo a chi convenga un sistema nel quale un immigrato ci
costa 1.300 euro al mese, spese di gestione esclusi, per essere
confinato in una stanza senza magari venire neanche rimpatriato».
Sarubbi auspica «una revisione delle leggi sull’immigrazione, anche se
queste in passato sono state scritte solo per interessi elettorali. Cosa
serve? Tempi più brevi di trattenimento e più certi per
l’identificazione». E sottolinea come «in questo sistema perverso non vi
sono nè vittime nè carnefici», confermando l’indiscrezione del Piccolo
secondo cui gli stipendi degli operatori della coop Connecting People
stanno per sfiorare le due mensilità di ritardo. Scontenti anche gli
operatori di polizia. «Non so quanto questa problematica sia in cima
all’agenda del governo Monti – allarga le braccia Sarubbi – e che esito
stia avendo il monitoraggio dei Cie italiani voluto dal ministro
Severino». Monai rincara la dose: «Ogni volta che faccio ritorno a
Gradisca registro un depauperamento. Le condizioni di segregazione vanno
oltre il buonsenso. Continuo a ritenere che non sia questa la risposta
di un Paese civile al fenomeno migratorio, ma nel frattempo perlomeno si
ripristino da subito condizioni di dignità». Assieme ai due parlamentari
hanno visitato il Cie anche i consiglieri regionali Antonaz, Codega e
Kocijancic. (l.m.)