Rassegna stampa del 18/11/12
Il Piccolo
Gli “ospiti” del Cie ingoiano vetri e pile per tentare la fuga
di Roberto Covaz GRADISCA Telecomandi della tv smontati per estrarre le pile e inghiottirle. Micidiali cocktail di psicofarmaci capaci di stendere anche un elefante. Pezzi di vetro ingeriti come se fossero una crostata. Cosa non si fa al Cie di Gradisca per cercare la fuga verso la libertà? Sono testimonianze che mettono i brividi quelle che filtrano dal Pronto soccorso di Gorizia, dove praticamente ogni giorno si fronteggiano emergenze sanitarie causate da clamorosi gesti di autolesionismo degli ospiti del centro identificazione ed espulsione. «Un carcere, peggio di un carcere», ha definito il Cie, recentemente, Valerio Spingarelli, presidente nazionale delle Camere penali, reduce dalla prima visita in un Cie concessa agli avvocati. A valicare il portone grigio del centro di Gradisca sono stati in pochi negli ultimi anni. Parlamentari, soprattutto. Le informazioni di quanto avviene nell’inferno del Cie sono indirette. Ecco allora che quanto emerge dal Pronto soccorso goriziano aiuta a delineare con maggior dettaglio l’orrore che quotidianamente si dive dentro a quelle quattro mura. Gli ospiti sono disposti a tutto pur di cercare di evadere. Lo strumento più ricorrente è farsi ricoverare d’urgenza al Pronto soccorso. Non si contano i casi di sparizione di extracomunitari finiti all’ospedale. Non per cure banali, ma per interventi disperati, da terapia intensiva. Ingerire la pila di un telecomando, nel caso fuoriesca il liquido corrosivo contenuto all’interno, può provocare una morte atroce. L’organismo può essere letteralmente consumato dall’acido. Si possono creare dei veri e propri fori come se il poveretto fosse stato attraversato da un grosso calibro. E il vetro? Proviamo solo a immaginare come si possa ingoiare un pezzo di vetro. Il viaggio che questo materiale percorre nella faringe, nell’esofago, nell’intestino provoca ferite paurose. Eppure lo fanno, i disperati del Cie. Perché la libertà non ha prezzo. Ora i telecomandi delle tv non sono più in dotazione agli ospiti. Che invece avrebbero – ma le informazioni non sono di prima mano – un accesso agli psicofarmaci meno semplice di quanto si possa supporre. Il taglio delle vene non fa più notizie nella drammatica contabilità del Cie. Nel centro di Gradisca sono tutti vittime. A cominciare dai dipendenti della Connecting People, la società trapanese che dal 2008 gestisce il Cie e il Cara dal 2009. Il tema della gestione è complesso e ha alimentato una lunga vicenda processuale. I dipendenti non percepiscono lo stipendio da tre mesi. La Prefettura di Gorizia si sarebbe impegnata a sbloccare entro fine mese parte della somma dovuta all’ente gestore per i servizi prestati all’interno dell’ex caserma Polonio. Tre mesi senza paga sono tanti. Una situazione del tutto nuova – sinora il differimento al massimo era stato di qualche settimana – che ha gettato nello sconforto i già esasperati dipendenti. Oltre alle difficoltà di un lavoro logorante e a volte estremamente pericoloso, gli operatori si sono spesso trovati a fare i conti con un’enorme incertezza sul proprio futuro. Connecting People aveva motivato la mancata erogazione degli stipendi con la mancanza di liquidità derivante dai ritardi nei trasferimenti del denaro dovuto dallo Stato (via Prefettura di Gorizia) per i servizi previsti dal contratto di appalto. A tentare di riportare il sereno è ora un comunicato aziendale della stessa Connecting People, che in queste ore ha informato i dipendenti dell’esito di un vertice tenutosi fra il Prefetto di Gorizia, Maria Augusta Marrosu, e il presidente del consorzio siciliano, Giuseppe Scozzari. Il periodo dei mancati pagamenti dovuti a Connecting People dall’Ufficio territoriale del governo sarebbe, secondo la nota, compreso fra l’aprile del 2011 e l’ottobre di quest’anno. Ciò avrebbe generato alla società «la sofferenza finanziaria e il conseguente ritardo nel pagamento a fornitori e dipendenti». Le parti avrebbero convenuto sull’indifferibilità della messa a dispisizione di almeno l’80% del credito maturato da Connecting People. (ha collaborato Luigi Murciano)
Messaggero Veneto
Immigrato in coma per un “cocktail” di psicofarmaci
Assume un cocktail di psicofarmaci e finisce in coma al pronto soccorso di Gorizia. Protagonista della vicenda un ospite del Cie, che ha ingurgitato in un colpo solo una miscela quasi letale, fra intere confezioni di pastiglie e due flaconi di Xanax. È rimasto in osservazione due giorni, poi, grazie alle cure prontamente prestate dall’équipe medica, è stato dimesso. I ricoveri di ospiti del Cie all’ospedale di Gorizia sono estremamente frequenti. Nell’ultimo periodo, però, si sono diradati, come precisa Giovanni Sammito del Siulp. «Al di là dei ricoveri per un’effettiva emergenza sanitaria – sottolinea Sammito – si sono verificati spesso episodi di autolesionismo, il più delle volte finalizzati a procurarsi un’eventuale via di fuga. Non succede solamente a Gradisca, ma in tutti i Cie d’Italia». Qualche mese fa, per esempio, quando c’erano i lavori in corso, gli ospiti del Cie ingollavano bulloni. Un’altra tecnica consiste invece nel rompere le strutture in plexiglass e strusciarle a lungo contro le sbarre o sul pavimento fino a limarle, in modo che non danneggino gli organi interni quando le ingeriscono. Quindi le ingoiano e poi chiedono di essere portati al pronto soccorso. «Dato che evadere dal Cie è molto difficile – prosegue Sammito – si procurano apposta un malessere per farsi portare in ospedale, dove fuggire invece è più semplice. In passato è capitato che la fuga riuscisse. Addirittura qualche anno fa un immigrato trattenuto al Cie ha tentato di lanciarsi fuori dall’ambulanza in corsa. Stando dentro la struttura a lungo, si ingegnano a trovare nuovi sistemi. Questo ci riporta, però, alla questione dei tempi di trattenimento. Quando nacquero i cpt, centri di permanenza temporanea, istituiti con la legge Turco e Napolitano, il tempo massimo di permanenza per l’identificazione era stato fissato in 15-30 giorni. Poi, con il susseguirsi delle normative, i tempi si sono via a via allungati, fino ad arrivare ora a un massimo di 18 mesi. Più tempo stanno all’interno dei Cie, più tempo hanno di organizzarsi, di conoscersi fra loro e quindi di mettere in atto tentativi di fuga collettivi. Ai tempi dei disordini, quando bruciavano i materassi, si erano create vere e proprie bande interne». (i.p.)