Appena abbiamo un po’ di tempo organizziamo un’altra assemblea pubblica
Coordinamento Antifascista Friulano
Rassegna stampa
Messaggero Veneto 12 NOVEMBRE 2013 «Su Citossi troppa confusione storica» |
San Giorgio, lo scrittore Monte interviene sulla polemica dell’intitolazione di una via al capo partigiano |
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SAN GIORGIO DI NOGARO «Perchè gli abitanti di un paese come San Giorgio hanno delle opinioni così stridenti su fatti e vicissitudini accaduti 70 anni fa? Perchè una parte del paese nega le virtù di un capo partigiano, Gelindo Citossi, chiamato “il Mancino”, autore di una delle più audaci, se non la più audace, impresa che la storia della Resistenza ricordi: la liberazione dei prigionieri dalle carceri di Udine avvenuta in maniera rocambolesca la sera del 7 febbraio 1945, lo stesso giorno della strage di Porzus? Perchè una parte del paese nega il valore di chi, per oltre un anno, con pochi ragazzini male armati e male addestrati ha tenuto in scacco le truppe tedesche d’occupazione e i fedeli repubblichini fascisti italiani, autori di inenarrabili crimini nei confronti di civili inermi? A queste domande non so darmi una risposta precisa ma, di fronte a fatti inconfutabili come quelli appena descritti, il tentativo di delegittimare la figura del Mancino deve avere delle origini non solo di fazione, ma anche soprattutto personali e familiari». Monta la polemica nella Bassa friulana, e non solo, sulla figura di Gelindo Citossi. Oggi lo scrittore sangiorgino, Marco Monte, risponde ai detrattori del “Mancino”: «Se il Mancino viene descritto da coloro che diffidano il Comune dall’intitolargli una via come un “esecutore spietato”, mi chiedo esecutore di chi e perchè – dice -. Non so se abbia ucciso, non risulta in nessun atto ufficiale, ma se lo ha fatto non lo ha fatto certo nei confronti dei senza colpa: per le spie e i delatori ogni guerra ha sempre negato il tempo e lo spazio per un processo. Non scordiamoci che le celle della caserma Piave di Palmanova erano colme di prigionieri antifascisti, torturati e assassinati, catturati grazie alla delazione di compiacenti collaborazionisti, come i vari Rebez, Arrotini, Munaretto e i loro feroci sgherri. Le diatribe di paese nascono alimentate dalla confusione storica divisa tra studiosi “ortodossi” e “revisionisti”. La polemica non trova origine nella ricerca della verità storica, ma nell’appartenenza politica. Non abbiamo bisogno né di storici ortodossi né di revisionisti, ma solamente di verità: se le dicerie che dipingono il Mancino come un esecutore spietato trovassero un fondamento di verità, sarei il primo a rinnegare colui che al momento riconosco come un baluardo della libertà». (f.a.) |
Messaggero Veneto 11 novembre 2013 Una via al comandante Romano, infuria la polemica SAN GIORGIO. La Bassa, ma non solo, si spacca sulle vicenda del partigiano Gelindo Citossi-“Romano il Manzin”: l’eroe al quale dedicare una via a piazza a San Giorgio di Nogaro; o lo “spietato…
SAN GIORGIO. La Bassa, ma non solo, si spacca sulle vicenda del partigiano Gelindo Citossi-“Romano il Manzin”: l’eroe al quale dedicare una via a piazza a San Giorgio di Nogaro; o lo “spietato esecutore” per il quale il neonato comitato diffida il sindaco Pietro Del Frate dal fare questo passo? La polemica divampa sia su facebook, che col tam-tam telefonico, tanto da indurre il Coordinamento Antifascista Friulano a organizzare, a breve, un incontro pubblico con l’intento, mettendo a confronto le varie posizioni, di fare definitivamente chiarezza in merito. Intanto, dopo la diffida del neonato comitato a dedicargli una strada o piazza a San Giorgio, paese natale del “Manzin”, scende in campo Giorgio Coianiz, lo storiografo amico di Gelindo Citossi, uno dei pochi che lo andava a trovare nell’esilio di Pisino, dove ritorna ogni anno dal 1976 (anno della morte) per commemorare il “comandante Romano”. «Durante la lotta di liberazione dal nazifascismo del 1943-45 le formazioni partigiane da noi, in pianura, avevano due compiti – spiega Coianiz -: il primo rifornire le truppe in montagna ed eliminare le spie e i torturatori come quelli della caserma Piave di Palmanova. Il secondo lavoro veniva svolto dagli uomini più audaci e più coraggiosi: Gelindo Citossi era uno di loro. Per un intero anno, giorno dopo giorno, mise la sua vita in pericolo nelle sue azioni contro i fascisti in tutta la Bassa, tanto che i tedeschi dissero a suo padre: “Vedi questa scatoletta di carne? Quando lo prendiamo te lo mandiamo dentro queste”. Infatti questi eroi, quando venivano catturati, subivano le torture più crudeli e poi fucilati. Quando il 7 febbraio del 1945 Romano il Mancino riusciva a liberare le carceri di Udine, Radio Londra la indicò come la più audace azione di tutta la guerra di Liberazione. Finite le ostilità – racconta – si scatenava una canea persecutrice politica contro questi combattenti che furono, molte volte, costretti a riparare all’estero. Nel 1990, assieme alla figlia Natalina, sono stato al casellario giudiziario del Tribunale di Udine che mi rilasciò il certificato di Gelindo Citossi in cui si legge molto bene “Nulla”. Nessun processo, nessuna denuncia, appunto nulla. Figurarsi negli anni ’50 se ci fosse stato a suo carico un qualsiasiappiglio penale se non l’avessero processato. Quindi consiglio attenzione a una critica legittima ma che non deve scadere nella diffamazione». Francesca Artico |