Umberto Tommasini: l’anarchico di Vivaro 30 anni fa, il 22 agosto 1980, moriva, all’età di 84 anni, l’anarchico Umberto Tommasini, friulano di nascita, triestino d’adozione e sepolto a Vivaro, il suo paese d’origine, il 24 agosto, con un corteo funebre anarchico e, ovviamente, anticlericale. |
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Strana coincidenza oggi che, proprio a Vivaro, si consumano due orribili vicende; una quella della semina del mais OGM e l’altra quella dell’affacciarsi sulla scena di uno squallido gruppetto di furbacchioni che si autodefinisce “movimento libertario”, ma che in realtà è al servizio delle multinazionali della manipolazione genetica e della logica di profitto del terzo millennio, sempre più cinica e devastante. A cura di Paolo De Toni. Continua… |
Anarchici si diventa, però qualche volta lo si è già così, naturalmente, o meglio perché la pressione gerarchica e competiva del mondo esterno ha avuto poco effetto sul tuo cervello che, presupponiamo, essere, in linea di principio, naturalmente anarchico, per tutti, all’atto della nascita.
Proprio l’autodefinizione, che in qualche modo Umberto Tommasini dava di se stesso, come “naturalmente anarchico” può essere lo spunto per farci riflettere sopra un groviglio di questioni che oggi si presentano prepotentemente davanti ai nostri occhi. Ho conosciuto Umberto per il periodo che ho trascorso a Trieste ai tempi dell’Università, quando sono diventato anarchico (1974), ed in effetti posso dire che il più nitido ricordo è quello di una persona che è anarchica per ragioni basilari, ontologiche, irriducibili e quindi rimane necessariamente anarchica per tutta la vita, dal momento in cui ha scoperto ed autoaffermato di esserlo. Persone così lasciano pochi strascichi negativi del loro comportamento, e testimoniano, fino alla morte, un anarchismo autentico, non contaminato da giochi politici, fideismi di organizzazione, degenerativi e patologici. Essere “naturalmente anarchici” oggi è molto più difficile perché viviamo in un ambiente molto più inquinato anche dal punto di vista morale e culturale. |
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Un tempo per l’emancipazione bisognava combattere l’ignoranza, ma ora il problema è molto più intricato. Fra le altre cose bisogna combattere anche gli inquinatori e i falsificatori che sono all’opera su ogni fronte. Quindi niente di meglio che ricordare Umberto in un contesto nel quale l’attualità richiede anche la riaffermazione perfino della correttezza ideologica e linguistica nella stessa terminologia politica. Va affermato infatti che non esiste nessun movimento libertario che non abbia le radici nella storia dell’anarchismo connaturata con il proletariato, la classe operaia e la lotta contro lo Stato, il Capitalismo, la proprietà privata, le religioni ed ogni forma di sfruttamento ed oppressione dell’uomo sull’uomo, sulla donna e sulla natura. Un tanto è stato sufficiente in passato, per esempio, per liquidare Marco Pannella e i Radicali. Un tanto è più che sufficiente oggi, per liquidare i servi delle multinazionali che si autodefiniscono libertari e difendono virilmente la proprietà privata, addirittura come “diritto naturale” e poi ci propinano gli OGM, con quale “diritto” non si è ben capito.
Ma non basterà una affermazione di principio per reagire contro queste degenerazioni veramente orribili ed inaccettabili. Occorrerà dare una risposta politica incisiva.
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Devo però anche dire che il ricordo di Umberto ha posto, all’uscita del libro (1984, ora è diponibile gratuitamente in pdf vedi sotto) e ripropone anche oggi, una questione apparentemente banale ma che invece ha più di un contenuto che non può essere rimosso, pena il disconoscimento di elementi oggettivi della realtà che ci circonda e ci riguarda.
Ho avuto in passato uno scontro, anche pesante, sulla scelta del titolo che Claudio Venza ha voluto dare al libro su Umberto Tommasini, cioè “L’Anarchico Triestino”.
E’ ovvio innazitutto, coerentemente con quanto detto sopra, che il desiderio di qualsiasi anarchico è quello di sentirsi universalista, cioè facente parte di un’unica comunità umana: senza confini, senza Stati, senza religioni, senza qualsiasi forma di autorità e di sfruttamento. D’altra parte è altrettanto ovvio che la storia ci consegna un groviglio di situazioni che qualche volta sembrano non ammettere una risposta neanche solamente sul piano teorico. Però con una buona dose di pazienza molti nodi culturali e teorici possono essere sciolti, purchè ci sia la predisposizione psicologica accompagnata inoltre dall’adozione delle corrette categorie di pensiero e di analisi. Umberto Tommasini era friulano, di madre lingua friulana e di fatto trasferitosi a Trieste, dove ha trascorso larga parte della sua vita. Infine è stato sepolto a Vivaro, nel suo paese di origine. Per inciso il caso ha voluto che al funerale, sopra la sua bara, prima della chiusura del loculo, venisse posta una bandiera anarchica del nostro gruppo anarchico di San Giorgio di Nogaro, presente numeroso al funerale.
Il Libro, peraltro pregevole, di Claudio Venza, essendo un esempio di storia orale, realizzato da uno storico anarchico militante, cittadino di Trieste (città multi-etnica per eccellenza) non poteva che svolgersi nella lingua/dialetto che si parla a Trieste, e che ha accompagnato l’interazione di anni di militanza comune fra l’intervistatore e l’intervistato. Detto questo l’extrapolazione, apparentemente innocua, consistente nel definire “Umberto Tommasini l’anarchico triestino” è in realtà non corretta sul piano antropologico in senso lato ed ancor di più non è corretta sul piano dell’antropologia anarchica che non può fare nessuna omissione nel momento in cui deve dare una descrizione veritiera della realtà nel suo complesso. Claudio Venza è uno storico del movimento anarchico, ma non un antropologo e non un linguista; il titolo di quel libro ha rappresentato e rappresenta una carenza in questo senso, un difetto che non poteva e non può essere tutt’oggi sottaciuto.
Infine devo rilevare che questo caso di trasposizione antropologica, gioca un ruolo paradigmatico se si vuole affrontare seriamente e dare uno sbocco politico corretto, al groviglio etnico-inguistico che caratterizza in particolare la nostra situazione “regionale”.
Al contrario è proprio la rimozione o la risposta superficiale a questo complesso e delicato tipo di problemi che poi lascia spazio alla proliferazione del leghismo, dell’ identitarismo neofascista, del nazionalismo e di altre porcherie del genere.
Paolo De Toni 17 agosto 2010
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