Amianto: nuovo stop per il processo.

da Il Piccolo del 24 luglio 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Morti di amianto, udienza-lampo La sentenza slitta al 15 ottobre

La data subordinata al rigetto da parte della Cassazione del ricorso per “legittimo sospetto” Il procedimento sarà comunque concluso dal presidente Matteo Trotta, a breve trasferito a Trieste

MAXI-PROCESSO»SI ALLUNGANO I TEMPI

La sentenza del maxi-processo per le morti da amianto potrebbe essere emessa il prossimo 15 ottobre. È questa la data fissata dal giudice monocratico Matteo Trotta per riprendere il processo bloccatosi lo scorso 25 giugno per la richiesta di legittimo sospetto avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, ex dirigente dell’Italcantieri e uno dei principali imputati. Lo ha deciso ieri mattina il dottor Trotta nel corso di una breve udienza e dinanzi a una sala semivuota. Pochi gli avvocati presenti tra i quali Corrado Cassiani, Riccardo Cattarini, Francesco Donolato, Roberto Maniacco, Elisa Moratti e Mariarosa Platania; assente invece Cassiani. La data indicata dal giudice, per sua ammissione, è la più vicina possibile a quella del 24 settembre, giorno in cui la Corte di Cassazione deciderà sul legittimo sospetto. Trotta è stato chiarissimo e ha quasi tolto la parola all’avvocato Platania – tutela alcune famiglie di lavoratori morti e costituitesi parte civile – che chiedeva di anticipare l’udienza. «Lo dico chiaramente per tutti – ha detto Trotta quasi scandendo le parole – il 15 ottobre è la data più stretta possibile. Nell’ipotesi che il legittimo sospetto venisse accolto è necessario un determinato tempo per le le comunicazioni e le notifica della decisione alle parti, giudice compreso. In questo caso il processo sarebbe azzerato e riprendere daccapo in altra sede. Se la Suprema corte dovesse respingere invece la richiesta si procederà il 15 ottobre con le incombenze già fissate il 25 giugno scorso e cioè le repliche delle parti e la decisione del giudice». Come più volte detto un accoglimento del ricorso significherebbe azzerare tutto. È quasi certo – negli ambienti di Palazzo di giustizia lo danno per scontato – che nonostante il trasferimento a Trieste, il dottor Trotta sarà autorizzato a concludere il processo ormai giunto a un passo dal traguardo finale dopo ben 95 udienze. Anche sul legittimo impedimento, chiesto dall’avvocato Cassiani a nome del suo cliente, c’è un opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che la Suprema corte rigetti il ricorso anche perché non appaiono valide le motivazioni adottate dal legale di Tupini. Chi ha seguito l’intero processo, snodatosi per oltre tre anni, ha potuto cogliere nel dibattimento tra le parti un clima sereno e tranquillo anche perché la quasi totalità delle udienze sono state seguite da pochissime persone. Solamente nella prima udienza e nell’ultima la sala riservata al pubblico era affollata ma si è trattato di non più di 50 persone che non hanno certo creato problemi di ordine pubblico. Il maxiprocesso, iniziato nell’aprile di tre anni fa, vede imputate 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti. Tutti devono rispondere di omicidio colposo per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Procura della Repubblica ha chiesto la condanna per i soli dirigenti dell’Italcantieri e l’assoluzione per gli altri, compresi gli addetti alla sicurezza. Nell’udienza del 15 ottobre l’accusa sarà rappresentata in aula dal solo pm Valentina Bossi perché l’altro pm, Luigi Leghissa, il 7 ottobre prenderà servizio alla Procura di Caltanisetta.

 

da Il Manifesto del 24 luglio 2013

Il processo sull’amianto rinviato a ottobre

La notizia è caduta come un macigno sui familiari delle vittime dell’amianto dei cantieri navali di Monfalcone. Lo scorso 24 giugno attendevano nel tribunale di Gorizia una sentenza che condannasse i vertici industriali per la morte di ottantacinque operai, ma l’avvocato Cassiani, difensore di un dirigente dell’ex Italcantieri, ha tentato una mossa d’arrocco in extremis presentando un’istanza di trasferimento del processo per legittima suspicione. Il giudice Matteo Trotta aveva fissato una nuova udienza per ieri, il 23 luglio, in attesa del parere della Cassazione, nella speranza di arrivare a sentenza visto il suo imminente trasferimento al tribunale di Trieste. Un nuovo colpo di scena è arrivato però pochi giorni fa, quando gli avvocati dei familiari degli operai hanno appreso che la Cassazione si esprimerà solo il prossimo 24 settembre. Nell’udienza di ieri al giudice non è rimasto altro che aggiornare al 15 ottobre, la prima data disponibile dopo il parere della Cassazione. Se la Corte Suprema dovesse spostare il processo, questo ripartirebbe da zero, con la possibilità che il reato cada in prescrizione. Una beffa, dopo novantuno udienze in tre anni, che si prenderebbe gioco della domanda di giustizia delle vedove e dei familiari degli operai uccisi dall’amianto, usato per coibentare le navi nei cantieri monfalconesi. Chiara Paternoster, portavoce dell’Associazione Esposti, non usa mezzi termini: «I familiari sono ormai sfiniti, in quindici anni hanno dovuto organizzare sit-in, chiedere l’intervento del Presidente Napolitano e dell’allora Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, dott. Beniamino Deidda, per riuscire a veder celebrato questo processo». Come le Madri di Plaza de Mayo, i familiari degli operai hanno dovuto sfilare per mille giovedì davanti alla procura di Gorizia. E adesso la mossa della difesa degli imputati rischia di far cadere una pietra tombale sulle loro pretese di giustizia: «Confidiamo che venga riconosciuta l’assoluta infondatezza dell’eccezione di controparte, che il processo si chiuda presto e che giustizia sia fatta», aggiunge Paternoster. Quello dei familiari dei coibentatori esposti all’amianto, come ha scritto Enrico Bullian nel saggio Il mal e che non scompare , è stato un vero «calvario». I processi aprono delle ferite e senza una sentenza è difficile arrivare a elaborare il lutto. La speranza è che il processo rimanga a Gorizia e che il Csm rinvii il trasferimento del giudice titolare del processo o ne disponga l’applicazione a Gorizia nel tempo necessario per arrivare a sentenza. Per sapere come finiranno le storie giudiziarie di ottantacinque metalmeccanici di Monfalcone, uccisi da tumori correlati all’amianto, bisognerà aspettare con paziente tenacia il prossimo 24 settembre, tenendo ben presente, come gridano le Madri di Plaza de Mayo, che «l’unica battaglia che si perde è quella che si abbandona».

 

da Il Piccolo del 23 luglio 2013 Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, udienza “apri e chiudi”

Garanzie affinchè il giudice Trotta, vicino al trasferimento a Trieste, possa concludere il maxi-processo

Un’udienza-lampo, apri e chiudi, limitandosi a fissare il rinvio dopo il 24 settembre. È quanto succederà questa mattina, al Tribunale di Gorizia, per il processo amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Risulta, infatti, ben difficile prevedere scenari diversi, considerata la rimessione degli atti da parte del presidente Matteo Trotta, alla Cassazione, in virtù dell’istanza per “legittima suspicione” sollevata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, e motivata dal fatto che il Tribunale di Gorizia non sarebbe in grado di esprimere un giudizio sereno ed equilibrato. La Suprema Corte ha già stabilito la data del 24 settembre per decidere in merito all’accoglimento o meno dell’istanza di rimessione, decretando pertanto se andare ad un nuovo procedimento con il trasferimento di sede e altri giudici, oppure invece permettere al processo goriziano di concludersi con l’attesa sentenza. È evidente, pertanto, che il rinvio dell’odierna udienza, al Tribunale di Gorizia, non potrà che essere fissato oltre la data del 24 settembre. Tenendo conto dei passaggi di rito, come le notifiche, si potrebbe ipotizzare che la successiva udienza possa essere stabilita tra fine settembre e il mese di ottobre. Intanto, sembra che il Consiglio superiore della magistratura potrà autorizzare l’applicazione del presidente Matteo Trotta a Gorizia, al fine di completare, in un modo o nell’altro, il procedimento. Si tratta di un aspetto molto importante, proprio in vista del prossimo trasferimento del magistrato a Trieste, evitanto pertanto comunque un eventuale azzeramento del processo. La richiesta di rimessione per “legittimo sospetto” era stata avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, durante l’ultima udienza del 24 giugno scorso, all’apertura del processo, per il quale veniva ormai dato per scontato il pronunciamento della sentenza. Il legale aveva quindi sostenuto che le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.

 

L’avvocato Cattarini: «Non ci sono elementi per paventare il legittimo sospetto»

L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore di alcuni imputati, non condivide lo scenario alla base della richiesta di spostamento del maxi-processo amianto per “legittimo sospetto”. «La situazione è grave – afferma – perché se la richiesta di rimessione della questione ad altro giudice fosse accolta il processo dovrebbe essere rifatto, questa volta a Bologna. A me non pare che di questi problemi ce ne siano. La civilissima popolazione del nostro territorio non usa disturbare le udienze ed è rispettosissima delle istituzioni. Anche nelle udienze più combattute in Tribunale non c’è mai stato nulla che potesse far pensare a pressioni del pubblico sul giudice. Dubitare della regolarità del processo sin qui, e dell’imparzialità del Tribunale, è davvero opinione che non si può condividere. C’è invece una forte domanda di giustizia, sia dagli ammalati che da coloro che hanno perduto i loro cari sia da coloro che sono stati trascinati in una vicenda processuale durissima ritenendosi innocenti. La Cassazione ha comunicato che solo il 24 settembre deciderà se il processo si sia svolto in modo regolare o se dovrà essere ricelebrato daccapo. Quindi nessuna sentenza oggi a Gorizia, tutti dovranno attendere».

 

 

da Il Piccolo del 20 luglio 2013

 

Maxi-processo amianto, si teme l’azzeramento

Forte preoccupazione a Monfalcone per lo slittamento al 24 settembre della pronuncia della Cassazione che ha già causato il rinvio della sentenza

 

MONFALCONE È forte la preoccupazione per il rischio di veder saltare il processo-amianto, procedimento-pilota per il quale sono imputate 35 persone dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Cassazione deciderà solo il 24 settembre sul “legittimo sospetto”. E a complicare tutto il prossimo trasferimento del presidente Matteo Trotta. C’è delusione nel Monfalconese e nell’Isontino. La vicenda è già stata paragonata ad un secondo “caso Ilva”. Non manca il grande senso di incertezza, espresso dagli amministratori del Comune di Monfalcone, dai sindacati e dall’Associazione esposti amianto, costituitisi parte civile al processo.

Perchè è evidente la paura di ritrovarsi con «un pugno di mosche», ora che la Suprema Corte ha fissato l’udienza al 24 settembre per decidere in merito alla rimessione del processo in virtù della “legittima suspicione” richiesta dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, nell’ultima udienza, il 24 giugno. Secondo il legale, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare un giudizio sereno ed equilibrato.

Intanto il presidente Matteo Trotta è in procinto di lasciare Gorizia. Si teme che, qualora non intervenga una sorta di “proroga” o un “distaccamento” del magistrato, si debba comunque ricominciare da capo, con un altro giudice. Cgil e Aea lanciano un appello alla magistratura, affinchè Trotta possa portare a termine il suo compito. Il segretario provinciale della Cgil, Paolo Liva, spiega: «Uno dei nostri legali che ci rappresenta ha prospettato scenari pesanti. Per come stanno le cose, tutte le prospettive sono aperte. Può succedere di tutto. Tra l’attesa del pronunciamento della Cassazione, che avverrà solo il 24 settembre, il trasferimento del presidente Trotta e le inevitabili dilazioni dei tempi, c’è da temere che diventi impossibile arrivare alla sentenza del procedimento. Sembra di assistere a un secondo “caso Ilva”. È inammissibile ritardare la giustizia – continua il sindacalista – su una questione così rilevante come le morti di amianto. Beniamino Deidda, nel 2008, in qualità di procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, avviò la “corsia preferenziale” costituendo un pool di magistrati. In gioco c’è il diritto alla giustizia per i famigliari delle vittime, ma anche la necessità di un riconoscimento delle responsabilità di fronte a un territorio duramente colpito. È una questione sociale, per la quale una giustizia lenta diventa pericolosa, poichè finisce per normalizzare responsabilità che invece sono molto gravi».

Liva chiede quantomeno che il presidente Trotta «prenda in mano la situazione anche in qualità di presidente del Tribunale di Trieste». Il segretario della Cgil aggiunge: «Con i nostri uffici vertenze, anticipando i tempi avevamo intrapreso il percorso extragiudiziale per il riconoscimento del danno differenziale, un percorso più rapido, utile anche a raccogliere elementi probanti e spendibili per il processo penale. A questo punto, rischia di diventare l’unica forma di giustizia per i famigliari delle vittime e per il territorio». Chiara Paternoster, dell’Associazione esposti amianto, da parte sua osserva: «Esprimiamo forte preoccupazione per la decisione della Cassazione di fissare l’udienza in merito al “legittimo sospetto” solo il 24 settembre. Lo riteniamo molto grave, anche perchè ora il problema è che il presidente Trotta verrà trasferito. Qualora la Cassazione, come ci auguriamo, non accoglierà la rimessione del processo, resta il rischio, vista la dilatazione dei tempi, di un azzeramento del procedimento, dovendo nominare un altro giudice». Quindi aggiunge: «C’è da sperare che il Csm, o l’organismo preposto, comprenda la necessità di chiudere questo processo, per garantire la certezza del diritto alla giustizia». Paternoster confida, inoltre, che la Suprema Corte «dichiari infondata la paradossale eccezione sollevata in ordine al “legittimo sospetto”, avvenuta alla 91.a udienza, in un contesto di assoluta serenità, a fronte solo di una richiesta di giustizia da parte dei famigliari delle vittime. Famigliari che hanno sempre manifestato grande dignità e pazienza, considerati i meccanismi del sistema giudiziario».

Il vicesindaco Omar Greco esprime stupore e sgomento: «Il legittimo sospetto a mio avviso è palesemente infondato, è solo un modo per dilatare i tempi. È piuttosto squallido lo spettacolo al quale stiamo assistendo, di fronte alla portata della questione-amianto nel nostro territorio. Mi auguro che la Suprema Corte rigetti la richiesta di rimessione, poichè è impensabile il trasferimento del processo in altra sede. C’è poi il trasferimento del presidente Trotta ed il rischio che la sentenza possa slittare oltremodo, altro aspetto che mi irrita molto. Voglio sperare che venga, invece, data al più presto una risposta di giustizia».

 

 

da Il Piccolo del 19 luglio 2013

Amianto, nuovo stop per il processo

La Cassazione deciderà sul legittimo sospetto il 24 settembre. L’udienza fissata a Gorizia per martedì slitterà all’autunno

Nuovo rinvio per il processo-amianto. Imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Ieri la Cassazione ha fissato nella giornata del 24 settembre l’udienza per decidere in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che aveva richiesto la rimessione del procedimento. La Suprema Corte dovrà stabilire se il processo potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. La data del 24 settembre stabilita dalla Cassazione costringerà giocoforza a rinviare anche l’udienza fissata dal giudice Matteo Trotta per martedì. Il tutto in attesa di conoscere l’esito della Suprema Corte sulle sorti del procedimento che lo scorso 24 giugno sembrava ormai avviato alla sentenza. A questo punto, i tempi si dilatano. Quantomeno la successiva udienza al Tribunale isontino dovrà essere calendarizzata dopo il 24 settembre. Tenendo conto delle relative notifiche, tutto potrebbe slittare tra fine settembre e ottobre, se non oltre. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” dal legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. Intanto il giudice Trotta si prepara al trasferimento, previsto a fine mese. È possibile, tuttavia, che sortisca una “proroga” permettendo al magistrato di concludere il procedimento al momento ancora sub judice.

Intanto resta la spada di Damocle del rifacimento del processo qualora la Cassazione decida di accogliere l’istanza sollevata dall’avvocato Cassiani. Novantun udienze e oltre 500 testimonianze finite nel nulla, con il rischio-prescrizione. La richiesta di rimessione del processo era stata annunciata a inizio udienza, il 24 giugno, dal legale che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro l’istanza s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Trotta s’era limitato a trasmettere gli atti alla Cassazione, come da prassi procedurale.

 

 

Alberto Prunetti su Il Manifesto del 17 luglio 2013

 

AMIANTO – Per gli avvocati di Fincantieri il processo va spostato: i giudici non sono sereni

Nuovo rinvio per la fibra killer

Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore

Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.