Oggi si sono tenute a Monfalcone le esequie di Abdel Majid El Kodra il ragazzo marocchino morto lo scorso 30 aprile.
Protagonista delle rivolte all’interno del CIE dell’agosto dello scorso anno, non si è mai ripreso dalla caduta dal tetto del lager contro cui lottava e da cui ha cercato di fuggire.
La gestione del suo decesso è indegna di un paese civile. I suoi congiunti sono stati avvisati una settimana dopo la sua morte con una mancanza di attenzione e sensibilità che ferisce.
Oltre ai familiari, presenti circa un centinaio di persone tra migranti (la gran parte della multietnica comunità islamica monfalconese), attivisti antirazzisti e solidali, tra cui alcuni compagni anarchici.
Cordoglio, dolore e rabbia erano i sentimenti che si potevano percepire tra i presenti per la morte di questo ragazzo di neanche 35 anni.
Per quel cortocircuito della ragione che si chiama stato era Majid ad essere imputato e non coloro che lo hanno relegato fino alla morte in un lager per migranti. Lui è tragicamente scampato al procedimento giudiziario, chi ne ha indirettamente causato la morte temiamo ne uscirà con le mani pulite nonostante l’esposto depositato per i fatti accaduti al CIE da parte delle associzioni antirazziste.
Durante il funerale c’è stata una raccolta fondi per contribuire al rientro della salma in Marocco.
“Questo è il risultato! Questo è il risultato!” diceva un ragazzo magrebino piangendo e tenendosi la testa tra le mani.
Questo è il risultato di un sistema criminale di gestione dei migranti ridotti in cattività solo perché privi di un pezzo di carta.
Questo è il risultato di un sistema economico che lo stato lubrifica col sangue.
Quello che è successo a Gradisca non deve succedere più, né qui né altrove.
Oggi eravamo in tanti a salutare Majid.
Ce lo ricordiamo sul tetto del CIE con le braccia alzate reclamando libertà per sé e i suoi compagni di detenzione.
La sua lotta è la nostra lotta!
NO CIE! Né a Gradisca né altrove!
Un antirazzista bisiaco
da Il Friuli Venezia Giulia del 10 maggio 2014
Muore in ospedale a Monfalcone il 30 aprile ma la famiglia viene avvisata solo una settimana dopo
Gorizia – Abdel Majid, il giovane migrante di origini marocchine che era caduto dal tetto del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) durante una rivolta dello scorso 8 agosto, e che era in coma da quel giorno, è morto il 30 aprile all’ospedale di Monfalcone.
Lo comunica il 9 maggio l’associazione Tenda per la Pace e per i diritti, che denuncia come i familiari del giovane, 35 anni, siano stati avvisati del decesso solo una settimana più tardi. La stessa associazione presenta lunedì 12 maggio un esposto alle Procure di Gorizia e Roma.
“Totale assenza dei requisiti strutturali per il trattenimento di persone e la richiesta di accertamento per un possibile uso improprio della forza da parte della polizia — vedi l’utilizzo di gas lacrimogeni CS in ambienti scarsamente areati”: questa la denuncia dell’associazione.
Nella mattinata di lunedì 12 maggio, l’associazione Tenda dei Diritti e Melting Pot Europa, assieme alla campagna nazionale LasciateCIEntrare, depositeranno rispettivamente alla Procura della Repubblica di Gorizia e di Roma un esposto relativo alla rivolta e agli avvenimenti accaduti nell’agosto 2013 nel Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d’Isonzo.
Oltre ad associazioni e cittadini, l’esposto sarà depositato anche a firma di alcuni parlamentari della Repubblica Italiana.
Tutto ha inizio l’ 8 agosto 2013, in una notte afosa: scontri, pestaggi, lanci di lacrimogeni in una struttura senza aria durano diversi giorni. In circostanze ancora da chiarire, uno dei migranti cade dal tetto e finisce in coma. Majid muore il 30 aprile 2014 all’ospedale di Monfalcone, ma la famiglia è stata avvisata solo una settimana più tardi.
da Il Manifesto del 12 maggio 2014
Per Majid, morto per il CIE di Gradisca
Se ne facciano una ragione i politicanti di verde vestiti, che continuano al di là di ogni logica a propagandarli come hotel a 5 stelle. Se ne renda conto quella massa acritica che al muro di Gradisca e agli altri muri d’Italia si è rapidamente abituata, rigettando qualsiasi impulso a domandarsi cosa essi nascondono. Di CIE si muore, e il 30 aprile 2014 un ragazzo è morto.
Non si è mossa foglia attorno a lui per mesi. Una parvenza di movimento suscitò la notizia della sua caduta dal tetto del mostro di Gradisca, ad agosto. Quell’agosto in cui una pioggia di lacrimogeni cadde sui migranti “colpevoli” di voler festeggiare la fine del Ramadan all’aperto. Notti di agosto in cui i detenuti salirono sul tetto del CIE per vedere il cielo, sfuggire all’aria impestata dai CS e gridare ad una cittadina indifferente che non ne potevano più di quell’isolamento. Per un attimo sembrava che le vite dei reclusi senza nome del CIE potessero avere un valore mediatico, perché una notte di agosto Majid è caduto dal tetto, ed ha battuto la testa. Per un attimo solo i riflettori si sono accesi sul CIE di Gradisca mostrandolo per quello che è, un luogo di negazione, non solo di diritti ma della vita stessa. Poi però il sipario è velocemente calato. Calato su quei successivi giorni di caldo e ansia, in cui i compagni di sventura di Majid hanno cercato in ogni modo di rintracciare la sua famiglia in Marocco, perché sembrava che le autorità avessero altro a cui pensare, o forse non era così importante dire ad una madre che suo figlio giaceva in coma in un paese straniero.
Calato sull’ospedale di Cattinara, a Trieste, dove i finalmente rintracciati cugini di Majid, residenti in Italia, hanno cercato di fare visita al loro congiunto e si sono trovati di fronte un muro fatto di burocrazia e negligenza. Perché, disse loro una solerte dottoressa, “dall’ispettore del CIE” arrivava l’ordine di non fare entrare nessuno in quella stanza. Perché i cugini andavano identificati, non fosse mai che due finti cugini cercassero di vedere un ragazzo in coma per chissà quali loschi fini.
Nessuno si curò di renderlo noto, come se fosse normale che la longa manus del CIE arrivasse addirittura fin dentro ad un ospedale, come se Majid fosse un sorvegliato speciale, come se ci fosse un interesse superiore da tutelare nel tenerlo isolato. Nessuno si curò neanche di facilitare la venuta del fratello di Majid dal Marocco. Perché si sa, quella frontiera che l’Europa difende a costo di migliaia di vite è invalicabile, se non si possiede un visto. E quel visto, ai familiari di Majid in Marocco, nessuno ha pensato di concederlo. I mesi sono passati, e il silenzio è stato il fedele compagno della lotta di Majid in un letto d’ospedale. Luci spente, perché gli ultimi non saranno mai i primi, non in questa vita.
Sei giorni prima della sua morte, abbiamo chiesto al nuovo Prefetto di Gorizia se un’indagine fosse mai stata aperta su quanto accadde la sera della caduta dal tetto. “Non mi risulta”, detto con la stessa partecipazione emotiva che si potrebbe avere dicendo che no, stasera in centro non c’era traffico. Chissà se al Prefetto risulta che questo ragazzo è morto, e se si rende conto che il CIE, diretta emanazione di uno stato segregazionista, lo ha ucciso. Chissà se ora il Prefetto sa spiegare perché la famiglia di Majid è stata avvisata della sua morte con una settimana di ritardo. Chissà se sa spiegare perché è stata disposta un’autopsia senza interpellare la famiglia. Abbiamo visto Majid qualche giorno prima che morisse, i suoi occhi guardavano un punto intangibile di uno spazio a noi sconosciuto. Quel ragazzo descritto dai cugini come una forza della natura stava ancora lottando, e sicuramente non ha smesso di farlo fino all’ultimo. Noi sommessamente abbiamo lottato per lui in questi mesi, ma non è servito a tenerlo in vita. Ora lottare significa fare in modo che di Majid ci si ricordi.
Tenda per la Pace e i Diritti, Staranzano (GO)
da Il Fatto quotidiano del 14 maggio 2014
Cie Gorizia, denuncia delle associazioni. “Lacrimogeni al chiuso contro migranti”
Esposto sui fatti avvenuti nel centro di Gradisca nell’agosto 2013. Denunciato l’uso di gas urticanti per sedare una protesta in cui morì un cittadino marocchino – dopo 9 mesi di coma – e il generale abuso di psicofarmaci
Si sentono le urla dei migranti e i colpi di tosse. Si vedono i bossoli dei lacrimogeni Cs, gas altamente urticanti, vietati in operazioni militari ma non per ristabilire l’ordine pubblico. I loro effetti al chiuso sono raddoppiati. La polizia li ha sparati all’interno del Centro d’identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo, Gorizia, per sedare una rivolta. È l’agosto del 2013. La sommossa dei migranti ha devastato la struttura tanto che, a novembre, il Cie è stato chiuso (e lo è tuttora, anche se sono terminati, a quanto risulta alle associazioni, i lavori di restauro). Scampoli di quella ribellione sono stati registrati dal telefonino di un trattenuto. Immagini rubate: secondo un’ordinanza in vigore dal 2011 (poi revocata il 16 agosto, proprio a seguito delle rivolte) a Gradisca, e solo qui, nessuno può avere un telefonino. Da questi documenti le associazioni la Tenda per la pace e i diritti, insieme a Melting Pot Europa e ai promotori della campagna LasciateCientrare sono partiti per scrivere un esposto, depositato il 12 maggio alla procura di Gorizia e a quella di Roma e il 13 maggio anche a Napoli, Genova e Palermo. “Chiediamo che la magistratura apra un’inchiesta per accertare quanto è accaduto”, dichiara Gabriella Guido, portavoce di LasciateCientrare.
Durante quegli scontri, Majid El Kobra, marocchino, fece un volo dal tetto del Cie, occupato dai migranti in segno di protesta dopo l’inizio degli scontri, l’8 agosto 2013. Ancora non è chiara la dinamica dell’incidente, fatto sta che El Kodra è stato in coma dal giorno della caduta fino alla sua morte, il 30 aprile 2014. L’ultimo, finora, dei migranti morti in un Cie. “Majid è morto per legittima difesa o per abuso di potere?”, si chiede la portavoce di LasciateCientrare. Una sentenza del Tribunale di Crotone del dicembre ha infatti assolto tre migranti dall’accusa di danneggiamento del Cie in quanto il loro comportamento era da definirsi “di legittima difesa”. Il timore delle associazioni è che Gradisca possa riaprire e che tutto questo possa ricominciare.
La dinamica degli scontri è stata ricostruita attraverso le immagini raccolte dalle associazioni e le testimonianze di Serena Pellegrino (Deputato alla Camera, Sel), Matteo Negrari (Assessore del Comune di Staranzano) e di due attivisti dell’associazione la Tenda per la pace e i diritti. “La notte dell’8 agosto alcuni trattenuti mostravano vistose fasciature sulle mani, denunciando di aver subito violenze da parte delle forze dell’ordine – si legge nell’esposto – altri raccontavano di esser stati costretti a infrangere uno dei plexiglass di contenimento della ‘vasca’ (il cortile interno del Cie, ndr) per consentire a uno dei trattenuti, affetto da asma, di riprendere conoscenza dopo esser svenuto a causa dell’aria divenuta irrespirabile a causa dei gas”.
Tutto è partito la notte dell’8 agosto. I migranti volevano festeggiare il Bairam, la festa della rottura del digiuno durante il Ramadan. La polizia aveva loro accordato di restare in cortile, salvo poi intimare ai trattenuti di entrare nelle celle. È la miccia che innesca gli scontri: la polizia comincia a lanciare i lacrimogeni, i migranti salgono sul tetto per cercare di comunicare con l’esterno. “Puntualmente interpellati – continua l’esposto – i rappresentanti della Questura e della Prefettura di Gorizia non negavano i fatti avvenuti ma ne minimizzavano la gravità, qualificando quanto occorso come una “banale colluttazione”; nessuna parola veniva spesa sul lancio di lacrimogeni Cs, nonostante l’On. Pellegrino avesse con sé i bossoli che ne testimoniavano incontrovertibilmente l’utilizzo”.
Le associazioni hanno anche denunciato l’abuso di psicofarmaci somministrati ai trattenuti all’interno del Cie e Gianni Cavallini, dirigente del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda sanitaria Isontina, in una relazione del 14 agosto 2013 scrive che il Cie “non possiede al momento i requisiti strutturali e funzionali per accogliere ospiti; considerato, peraltro, il rischio di malattie infettive e/o contagiose, si ritiene che proprio il mancato efficiente ricambio d’aria rappresenti un importante fattore di rischio di contaminazione e propagazione di tali patologie”.