CIE DI GRADISCA: rassegna stampa del 06-7-8/11

Dal Piccolo del 08/11/13

 

Il Viminale “dimentica” il Cie di Gradisca

Nessuna comunicazione ufficiale sui lavori di ristrutturazione. Gli immigrati trasferiti in Sicilia innescano nuove proteste

di Luigi Murciano

GRADISCA. Non esiste una data per l’inizio dei lavori di ristrutturazione del Cie di Gradisca. E non è chiaro neppure se l’eventuale riapertura dell’ex Polonio sarà progressiva o bisognerà attendere che siano recuperate in blocco tutte e tre le sezioni rese inagibili dalle rivolte degli ospiti degli ultimi tre anni. L’impressione è che, dopo averne azzerato le presenze, sulla struttura di Gradisca il Viminale voglia quasi prendersi una pausa di riflessione. A confermare come da Roma non vi siano novità sostanziali è Giuseppe Donadio, capo di gabinetto della Prefettura di Gorizia. «Ad oggi non abbiamo comunicazioni ufficiali sull’inizio dei lavori e sulla loro durata – spiega – nè sappiamo se l’eventuale riapertura avverrà a blocchi o bisognerà attendere che tutte e tre le sezioni siano ripristinate». Una situazione di incertezza che ricorda da vicino quella di altri Cie italiani: nei mesi scorsi a chiudere temporaneamente i cancelli erano stati i centri di Brindisi, Bologna, Modena e Crotone, mentre le altre 8 strutture ancora operative registrano ogni giorno la chiusura di alcuni padiglioni a causa delle rivolte degli ospiti.

Un’altra certezza su Gradisca però c’è: ed è che per disposizione del Ministero dell’Interno i giornalisti non potranno visitare ciò che rimane dell’ex caserma. Disposizione che, però, non riguarda i consiglieri regionali. Oggi gli esponenti di Sel e Pd Giulio Lauri, Silvana Cremaschi, Diego Moretti e Stefano Pustetto visiteranno il Centro di identificazione ed espulsione.

Intanto dalla Sicilia rimbalza la notizia che i 36 immigrati trasferiti da Gradisca al Cie di Milo hanno dato vita a una veemente protesta non appena sistemati nel centro trapanese, salendo sui tetti e urlando la propria rabbia sino a sfiorare il contatto con le forze dell’ordine. In una situazione di stallo ed enorme incertezza, la dialettica politica non cessa di arroventarsi. Per il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, il provvedimento di chiusura temporanea «deve diventare presto una chiusura definitiva. Quegli spazi vengano utilizzati per ampliare il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara-Cda ndr) situato a pochi metri». Per la consigliere del M5S Ilaria Del Zovo le condizioni di trattenimento degli immigrati al Cie erano ormai «oscene». «Questo non per colpa degli operatori e delle forze dell’ordine – precisa – che anzi hanno operato in condizioni difficili e alle quali va la nostra solidarietà. Ma è giunto il tempo di una totale revisione della normativa sull’immigrazione». Il deputato della Lega Nord Massimiliano Fedriga punta l’indice sulle dichiarazioni rilasciate dal centrosinistra: «Le parole di Serracchiani, Gherghetta e del sindaco Tommasini lasciano esterrefatti. Chiudere la struttura significherebbe alzare le mani e ufficializzare la sconfitta dello Stato di fronte alla violenza di un manipolo di clandestini. Razzismo il nostro? No – conclude Fedriga – razzista è chi non tutela i cittadini di questa regione». Duro anche il Pdl: «La sinistra – attacca il Pdl Rodolfo Ziberna – non ha mai condannato l’inaudita violenza dei protagonisti e, anzi, ha solidarizzato con loro». Anche il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, infine, aderisce all’appello di Melting Pot per la chiusura del Cie di Gradisca che culminerà in una mobilitazione della galassia antirazzista sabato 16 novembre.

 

 

Dal Piccolo del 07/11/13

Cie di Gradisca chiuso per almeno 6 mesi

La struttura devastata, dopo la partenza degli ultimi nove ospiti, attende i lavori di bonifica. Bagarre politica sulla riapertura
Gli addetti del centro accusano Pellegrino: «Sposta il problema e ci lascia senza lavoro»

Monta la preoccupazione dei lavoratori di Connecting People. Già provati dalla vicenda dei ritardi nell’erogazione degli stipendi – dalle 4 alle 6 mensilità arretrate – per i lavoratori della coop siciliana lo stop al Cie rischia di rappresentare il colpo di grazia. Il loro timore è che, a causa della chiusura, arrivino i tagli di organico. La preoccupazione serpeggia su Facebook contro la parlamentare Serena Pellegrino (Sel). «Da anni senza essere ascoltati ma dipinti come aguzzini abbiamo tentato di migliorare le condizioni di vita degli ospiti e nostre – uno dei commenti – lei in soli tre mesi riesce non solo a far chiudere la struttura spostando soltanto il problema in altre regioni, ma ad aumentare il mare di disoccupati che la chiusura comporterà». E un altro: «Da domani resterò a casa. Non prendo la paga da luglio ma ho sempre continuato a lavorare senza protestare platealmente. Ho visto invece persone contrarie al Cie sfasciare tutto, ottenere la chiusura del centro e addirittura la solidarietà di parlamentari. Devo forse sfasciare ed incendiare qualcosa anch’io?». Pellegrino ha cercato il dialogo: «Tenere in cattività delle persone perché generano posti di lavoro non è giustificabile». (l.m.)
di Luigi Murciano wGRADISCA Almeno sei mesi. Secondo indiscrezioni sarebbe questa la durata della chiusura temporanea del Cie di Gradisca decisa dal Ministero dell’Interno. Da ieri, completamente svuotata, l’ex caserma Polonio è a disposizione del Viminale. Uno stop per ora meramente tecnico e necessario ai lavori di ripristino (definiti «urgenti») della completa agibilità della struttura: in particolare nella “zona rossa” messa a ferro e fuoco dagli “ospiti” nel corso degli ultimi due mesi. Il prefetto di Gorizia Maria Augusta Marrosu ha confermato come proseguiranno i lavori di ripristino in altre due sezioni, la “zona verde” e la “zona blu” (quella più capiente con i suoi 136 posti). Quest’ultima sarebbe in realtà la più prossima ad ottenere l’agibilità, essendo i lavori di restauro praticamente conclusi. Eppure, per molti a sorpresa, ciò non ha indotto il Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del Viminale a tenere aperta la struttura, neppure a basso regime. Anche da questo elemento si evince come la decisione proveniente da Roma sia stata più politica che tecnica, per usare un’espressione circolata fra i bene informati. Quello che è certo è che l’azzeramento del Cie da ieri è completato. Anche l’ultimo manipolo di clandestini ha lasciato la struttura di via Udine: erano in tutto 9, principalmente di nazionalità algerina. Sono stati in parte trasferiti nelle strutture “gemelle” di Milano e Trapani (qui anche due immigrati che avevano richiesto la protezione internazionale e per i quali è stata convocata d’urgenza l’apposita commissione) e in parte espulsi con accompagnamento alla frontiera. Chiuso un capitolo, ne resta aperto un altro. Quello del dibattito politico sul destino della struttura. Se dal centrodestra si è parlato esplicitamente di «sconfitta dello Stato e delle regole» e si auspica una riapertura in tempi ragionevoli, sul versante opposto il “punto” messo a segno con lo svuotamento e azzeramento del Cie apre nuove prospettive. C’è chi intravede lo spazio per fare in modo che la chiusura da temporanea diventi definitiva e chi si accontenterebbe se la struttura diventasse solo un centro per richiedenti asilo politico. «Non dava più alcuna garanzia di sicurezza e di civiltà. Siamo pronti a un confronto con il governo per trovare delle alternative, mi pare sensato di risistemare gli spazi del Cie e allargare il Cara» dice la governatrice Debora Serracchiani. Se la Regione e il Comune di Gradisca si erano impegnati a chiederne la chiusura o l’«umanizzazione», il presidente della Provincia di Gorizia Enrico Gherghetta rincara: «Questo è il momento giusto per mettersi assieme e dare una definitiva spallata al Cie – dice – Scriveremo al ministero dell’Interno per la chiusura della struttura di Gradisca e inviteremo i venticinque comuni e la Regione a fare altrettanto». Giulio Lauri, presidente del gruppo Sel in consiglio regionale, di «umanizzazione» non vuole sentire parlare, ma soltanto di chiusura. All’orizzonte, ad arroventare ulteriormente il caldo autunno del Cie, due manifestazioni di segno opposto: sabato 16 quella della galassia di associazioni antirazziste, appena 24 ore dopo quella della Lega Nord (erano stati annunciati Calderoli, Salvini e Fedriga) inizialmente destinata a “ripulire” il muro dell’ex Polonio dalle scritte pro-libertà e chiusura del Cie da parte degli attivisti no-Cie (il muro è stato precauzionalmente fatto imbiancare dalla Prefettura). «La sinistra vuol far credere che queste persone siano costrette a subire trattamenti inumani da parte degli operatori e delle forze dell’ordine – dice il deputato leghista Massimiliano Fedriga – Oltre a ledere l’immagine di chi svolge il proprio lavoro, fornisce il pretesto alle organizzazioni criminali per intensificare i cosiddetti viaggi della speranza». L’impressione è che la partita sul centro immigrati di Gradisca sia ancora tutta da scrivere. Daccapo.

 

 

Dal piccolo on line del 06/11/13

Via gli ultimi nove ospiti. Poi il Cie chiude

 

Stop provvisorio per ripristinare l’agibilità della struttura. Già in giornata il probabile completamento dello sgombero

di Luigi Murciano

 

GRADISCA. L’«azzeramento» del Cie di Gradisca non si ferma. E anzi, probabilmente già oggi, l’ex Polonio potrebbe chiudere fino a data da destinarsi. Lo sgombero avviata a sorpresa dal Viminale ieri mattina ha vissuto, come anticipato dal Piccolo, la sua prima puntata: 36 ospiti sono stati trasferiti nel Centro di identificazione ed espulsione di Milo (Trapani) con un volo targato Poste Italiane partito dall’areoporto di Ronchi. Per altri 13 stranieri irregolari, invece, sono state disposte,e accelerate, le operazioni di rimpatrio nei paesi d’origine. Due immigrati avrebbero nel frattempo formalizzato richiesta di protezione umanitaria. Secondo quanto appreso, sino al tardo pomeriggio di ieri dietro le sbarre dell’ex caserma Polonio rimanevano solo nove immigrati, a fronte di una capienza di 248 posti. E già oggi, secondo alcune indiscrezioni, anche loro dovrebbero lasciare Gradisca per essere smistati tra i Cie di Milano, Torino e Trapani.

Per tutta la giornata di ieri, mentre il filo diretto Roma-Gorizia era evidentemente tanto serrato quanto riservato, si sono rincorse voci ed ipotesi su quale sarà ora il destino della struttura. Il Cie isontino, appare a questo punto scontato, verrà presto interessato da lavori di ristrutturazione e ripristino della sicurezza. Ma è chiaro che sotto il cielo della politica c’è chi – fra gli schieramenti contrari alle attuali norme sull’immigrazione – spera che la chiusura da provvisoria possa diventare definitiva. O auspica, come obiettivo minimo, che si arrivi ad una “umanizzazione” del centro. In attesa di conferme ufficiali sullo stop, seppur provvisorio, all’operatività del centro che tardano ad arrivare, la Questura di Gorizia si è limitata a precisare che nel centro sono attualmente agibili ancora 18 posti letto e che «al momento non è contemplata l’ipotesi di uno sgombero totale». A quanto risulta però, come detto, anche per i nove ospiti rimasti stanno per scattare – a seconda dei casi – o il trasferimento in altri Cie (nella fattispecie Milano, Torino e Trapani), oppure del rimpatrio, o infine dell’intimazione a lasciare il territorio italiano entro una settimana.

Uno scenario che porterebbe dunque al definitivo svuotamento della struttura. E che sarebbe avvalorato anche da un secondo retroscena: sarebbe infatti già pronta una disposizione della Questura destinata ad azzerare nei giorni a venire anche i dispositivi di vigilanza. «Provvedimento che avrebbe del clamoroso, se si pensa che la struttura è stata sorvegliata persino negli anni della sua costruzione quando non aveva neppure ospitato il primo clandestino», riflettono i sindacati di polizia, che continuano a parlare di «uno Stato che si è arreso» e respingono sdegnati al mittente le accuse di violenze e pestaggi sugli immigrati.

Sul destino della struttura sembra non avere dubbi invece il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi. «Il Cie di Gradisca è stato svuotato e temporaneamente chiuso come ripetutamente chiesto al ministro Alfano negli ultimi mesi, anche da parte di parlamentari e amministratori del territorio. A questo punsto, propongo che si arrivi alla chiusura definitiva e che la struttura venga utilizzata, una volta ristrutturata, per ampliare il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara-Cda) situato a pochi metri».

Intanto, in una situazione a dir poco fumosa, la polizia ha individuato una parte dei responsabili dei disordini scoppiati all’interno del Cie tra mercoledì e sabato scorsi. Alcuni immigrati sono stati denunciati per danneggiamento; un cittadino nordafricano è accusato di lesioni per aver aggredito un altro ospite del centro, che si sarebbe rifiutato di gettare addosso agli operatori una bottiglia riempita con escrementi.

 

 

La giunta accelera sull’addio definitivo

Torrenti: «Il governo sposi la nostra linea». Pdl critico: «Lo Stato non ceda». Fedriga scrive ad Alfano

TRIESTE Gli sviluppi inattesi del caso Gradisca, hanno riacceso lo scontro politico sul destino del Cie. Se nel centrosinistra fiutano che il momento è propizio come non mai per insistere sulla chiusura dell’ex Polonio, nello schieramento opposto si parla senza mezze misure di «sconfitta del diritto». «Auspichiamo che le posizioni espresse da tempo dalla giunta regionale sul Cie di Gradisca siano fatte rapidamente proprie anche dal governo nazionale – afferma l’assessore Gianni Torrenti -. Il Cie era una struttura sorta con criticità intrinseche e ormai insostenibile già da tempo, da prima che cominciassero i recenti ed eclatanti episodi di rivolta». «Lo svuotamento della struttura in atto in queste ore – rincarano la dose Serena Pellegrino e Giulio Lauri di Sel – non rappresenta il punto d’arrivo, ma di partenza. Vorremmo il Cie chiuso per sempre, anche questo risultati oggi appare irrealistico». Pellegrino propone quindi che il Cie sia destinato – come i Cara – ad accogliere persone per tempi molto brevi, in condizioni abitative ed igieniche più adeguate e capaci di tutelare anche operatori e forze dell’ordine. Di altro tenore le argomentazioni di Rodolfo Ziberna. Pur ammettendo che la chiusura del Cie «non può essere messa in discussione a seguito dell’ormai totale inagibilità», il consigliere Pdl auspica che la struttura, una volta ristrutturata e riparata, venga riaperta. «È necessario – rileva – che i responsabili delle devastazioni di questi giorni, degli atti di inciviltà e dei danneggiamenti ad una struttura pagata con i soldi dei contribuenti, siano individuati e per questo perseguiti. A differenza di altri immigrati bisognosi di accoglienza, questi stranieri irregolari hanno deciso di far valere la loro ragione con la forza. La chiusura – è una sconfitta del diritto, delle regole democratiche ed assistenziali e della corretta accoglienza». Sulla stessa lunghezza d’onda il collega Roberto Novelli: «Che i detenuti al Cie siano trasferiti è una buona notizia per Gradisca, trattandosi nel 97% dei casi di persone con precedenti penali – riflette – Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: non è ammissibile che lo Stato abbia ceduto alle pretese di alcuni immigrati che negli ultimi mesi non hanno fatto altro che alzare il livello dello scontro per scampare all’espulsione». Critico anche il deputato leghista Massimiliano Fedriga, che ha presentato un’interrogazione al Viminale: «È la stessa direttiva comunitaria sui rimpatri a prevedere la presenza sul suolo nazionale dei Cie, in quanto funzionali all’identificazione e all’espulsione dei clandestini – afferma -. Pertanto il ministero deve chiarire la propria posizione sul futuro del Centro di Gradisca, indicando con trasparenza le tempistiche dei lavori di ripristino al fine di riportarlo a una piena operatività, e rende noto il bilancio dei danni provocati durante le proteste». (l.m.)

 

LA PROTESTA

Operatori senza paga Pressing sul Viminale

pazienza al limite Scatteranno nuove forme di lotta se Roma non darà risposte

TRIESTE Un giovane algerino, da 12 anni regolarmente in Italia, che si vede sospendere il figlio dall’asilo perchè la famiglia non riusciva più a permettersi la retta. Una signora della zona che si vede offrire aiuto da una profuga: «Se ti servono soldi per mangiare, te li presto io». Forse bastano queste due istantanee per fotografare in maniera cruda ma reale la situazione dei dipendenti di Cie e Cara di Gradisca. Proprio nelle ore in cui il primo dei due centri immigrati di via Udine sta per chiudere, i lavoratori – che a questo punto temono anche seriamente di restare senza impiego – si sono riuniti in assemblea per denunciare i continui ritardi nell’erogazione degli stipendi. Non ce la fanno più. Non solo il loro lavoro è rischioso e usurante, ma molti dei dipendenti della Connecting People – il consorzio trapanese che gestisce le due strutture – non ricevono la paga da 4 mesi. E i liberi professionisti che prestano servizio a Cie e Cara (compresi medici e infermieri) sono fermi alla mensilità di aprile e in qualche situazione persino a gennaio. «Forse anche nel nostro caso i diritti umani vengono calpestati, ma i politici che ora fanno passerella ci hanno completamente dimenticato». In tutto i lavoratori del centro sono una settantina. E ora, ricucito lo strappo con i sindacati (all’assemblea di ieri erano presenti Luca Manià, Cgil Funzione Pubblica, e Michele Lampe per la Uil-Fpl di Gorizia) fanno sul serio. Presenteranno un documento ufficiale al Viminale e alla Prefettura di Gorizia per chiedere non solo quanto dovuto, ma che d’ora in poi sia proprio quest’ultimo ente ad erogare direttamente gli stipendi. «La procedura per arrivare a questo parta con effetto immediato. Questi lavoratori stanno servendo lo Stato e sono alla fame». Se il documento non sortirà effetti, altre iniziative sono allo studio per dare voce alla protesta. L’origine del problema è il palleggio di responsabilità fra la Prefettura di Gorizia, ente appaltante, e la Connecting People come ente gestore. Stando alle ricostruzioni di Manià e Lampe, la coop siciliana lamenta infatti che la carenza di liquidità sia dovuta alla Prefettura, che sbloccherebbe a rilento le risorse provenienti dal Viminale per la gestione del Cie. L’organo prefettizio scarica invece la responsabilità sul consorzio, posizione che convince maggiormente i sindacati. «Un accordo risalente a settembre – è stato spiegato – prevedeva che il denaro per i salari arretrati sarebbe stato “scongelato” solo se Connecting People avesse presentato i cedolini dimostrando il pagamento dei salari di giugno. Cosa che ad oggi non è avvenuta. Connecting è inadempiente. E il fatto che vi sia un processo in corso (quello per presunta truffa ai danni dello Stato, ndr) in cui sono rinviati a giudizio sia i vertici della coop sia i funzionari prefettizi, sicuramente non ha agevolato gli operatori». La presentazione dei cedolini consentirebbe se non altro ai dipendenti di avviare un decreto ingiuntivo nei confronti del datore di lavoro. In loro assenza, invece, l’unica strada è chiedere che sia la Prefettura ad erogare direttamente gli stipendi. Operazione, però, più complessa. (l.m.)