UN CIMITERO CHIAMATO MEDITERRANEO
In questi ultimi giorni sono balzate ai dubbi onori della cronaca nostrana la notizia della morte in mare di centinaia di persone alle porte della Sicilia. “Tragedia”, “cordoglio”, “lutto nazionale”, “ecatombe”…forse è il numero, forse la vicinanza alle coste a rendere visibile questa strage. Certo è che purtroppo non c’è nulla di nuovo in quanto accaduto: dal 1988 sono quasi 25mila i decessi di cui si ha notizia – non è possibile ricostruire il dato reale – lungo le frontiere della Fortezza Europa.
Ora sono “poverini”, “disgraziati”, “disperati”, se fossero giunti a terra fuori da un sacco nero sarebbero stati probabilmente chiamati “clandestini”, “delinquenti”, “criminali”, “puttane”.
Ma chi sono?
Non lo sappiamo: delle storie e dei percorsi individuali è inutile parlare se non li si conosce. Due cose sole di certo possiamo sapere. La prima è che erano esseri umani: né disgraziati né criminali né donne incinte né puttane. Esseri umani.
La seconda quali erano i luoghi da cui questi esseri umani provenivano: nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di profughi da luoghi di conflitto (delle circa 30mila persone che si calcola siano arrivate in Italia via mare nel corso del 2013, quasi 2/3 provengono dalla Siria, dalla Somalia o dall’Eritrea). E non è un caso che una grossa fetta di quelli che arrivano, se non muoiono nel frattempo, faccia richiesta di asilo politico. Perchè davvero, chi ha una qualunque alternativa, difficilmente affronta un viaggio simile.
L’Italia e l’Europa formalmente garantiscono la possibilità di fare richiesta d’asilo, ma di fatto viene impedito con ogni mezzo alle persone di accedere a questo diritto. Salvo poi scaricare tutta la responsabilità sullo scafista di turno, che se di certo rappresenta degnamente la banalità del male, di fatto non è che la logica conseguenza delle leggi e delle regole vigenti. Perchè, di nuovo, chi ha un’alternativa difficilmente si rivolge agli scafisti. E’ banale dirlo, ma non viene detto mai.
La stampa e il ceto politico tutto, al di là delle facili lacrime del momento, proseguono imperterriti da anni a battere sulle retoriche dell’invasione. Eppure a guardarla bene, la situazione è completamente diversa dagli anni passati: lo dicono i numeri. Da un paio d’anni gli sbarchi sono in forte diminuzione in Spagna e anche in Grecia, le altre due frontiere calde dell’Europa sul Mediterraneo. E mentre calano gli arrivi, aumentano a dismisura le partenze. Mezzo milione di latinoamericani hanno lasciato nel 2011 la Spagna. Il 15% degli albanesi che lavoravano in Grecia è tornato a Tirana. E dall’Italia, secondo l’Istat, lo scorso anno almeno 800mila emigrati hanno lasciato il nostro paese in fuga dalla crisi e in cerca di lavoro altrove (con buona pace delle esternazioni leghiste sul paese di Bengodi). Sono cifre da capogiro, altro che rotta libica o siriana. Eccola la nuova rotta. È la via del ritorno, della fuga dall’Europa in crisi.
Ma l’Europa, ancora una volta, non è capace di cogliere in tempo i segnali della storia.
Affinchè non avvegano più queste stragi basterebbe quindi permettere a quelle poche decine di migliaia di persone, che ogni anno rischiano la vita nelle traversate, di viaggiare comodamente in aereo, con un regolare passaporto.
Ma sarebbe logico, pratico, umano e non servirebbe ad alimentare le retoriche della paura.
Per quanto semplice non viene fatto perchè significherebbe mettere in discussione le leggi in vigore in Italia (Turco-Napolitano e Bossi-Fini) e gli accordi europei a partire da quello di Schengen che sono l’architrave di tutta la politica migratoria vigente.
Sono queste leggi e trattati, chi li ha sostenuti e votati, i diretti responsabili di questi massacri.
Antirazzisti e antirazziste per una società senza confini