Monfalcone / Operai schiavi

da Il Piccolo

Operai schiavi a Monfalcone, 3 arresti

Ai dipendenti dell’impresa coinvolta nella vasta indagine condotta dai carabinieri, era un lusso perfino fare la doccia: i bengalesi, infatti, dovevano pagare 30 euro. Ma le circostanze “anomale” erano le più diverse: estorsioni nei confronti dei lavoratori, falsità e omissioni nell’ambito delle registrazioni e delle denunce obbligatorie, truffa allo Stato. Lavoratori, per lo più bengalesi, sottopagati, a fronte di trattamenti economici non corrispondenti alla contrattazione sindacale collettiva. Si parla di paghe globali, di monte-ore denunciate diverse da quelle effettivamente lavorate, di straordinari non riconosciuti, come le indennità. Il tutto in difformità rispetto alle previsioni contributive stabilite per il comparto. Per chi si ribellava arrivava inesorabilmente il licenziamento. Secondo le forze dell’ordine si tratta solo della punta dell’iceberg di un fenomeno molto vasto.

MONFALCONE Due imprenditori monfalconesi di origine campana, Pasquale e Giuseppe Commentale, 30 e 33 anni, e un’operaio bengalese, A.R., 46 anni: in qualità di amministratori e di dipendenti di una ditta impegnata all’interno dei cantieri navali di Panzano, hanno messo in piedi una vera e propria organizzazione criminale. Reati gravi: si va dall’estorsione all’omissione e falsità in registrazioni e denunce obbligatorie, alla truffa ai danni dello Stato. Compresa la violazione della normativa sul lavoro (legge Biagi), attraverso l’assunzione fittizia, previo pagamento in denaro. Il meccanismo si traduceva nella costituzione di imprese che si occupavano di carpenteria succedutesi nel tempo, e che, pur sotto denominazioni diverse, erano riconducibili alla stessa compagine societaria. I due imprenditori e il bengalese sono stati arrestati a Monfalcone, San Canzian d’Isonzo e Trieste. Sono ritenuti responsabili di questo sistema imprenditoriale illecito, che si avvaleva della manodopera di extracomunitari, per lo più provenienti dalla comunità asiatica presente in città, sottopagata e costretta a condizioni di lavoro deteriori. Un trattamento che chiama in causa anche la sicurezza, in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche. Uno dei due imprenditori, assieme all’operaio bengalese, è ora detenuto nel carcere di Gorizia, mentre l’altro campano è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Pasquale Commentale non è solo un nome noto nell’Isontino, ma anche un volto noto. Già calciatore del Fogliano, aveva partecipato al reality calcistico “Campioni” e poi, sempre in televisione, tronista a “Uomini e donne” con Maria de Filippi. Sono state, inoltre, denunciate a piede libero altre sei persone, cinque italiani e un bengalese che avevano partecipato, in circostanze e ruoli diversi, alla commissione dei reati contestati. Un’associazione a delinquere rodata e radicata, nell’ambito dell’appalto e subappalto in Fincantieri. Per i dipendenti era perfino un “lusso” fare la doccia, ai quali veniva chiesto il pagamento di 30 euro. Bengalesi tenuti in scacco con la paura di venire licenziati. Una comunità, quella asiatica in particolare, «aggredibile, facile preda di atteggiamenti intimidatori». Ma un fenomeno che non sembra isolato: la Procura ritiene che il “modus operandi” sistematico e consolidato, fatto di metodiche raffinate e ricorrenti, possa essere più esteso nel settore dell’appalto. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, Caterina Ajello, infatti, ieri mattina, durante la conferenza stampa, ha spiegato: «Contiamo di andare avanti con l’indagine. Verosimilmente si tratta di un fenomeno esteso, che si propaga anche al di là della società in questione». Ajello ha poi precisato: non c’è alcuna responsabilità da parte di Fincantieri. L’indagine è partita a febbraio, anche se non sono mancati segnali pregressi. L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Michele Martorelli, si è avvalsa della «preziosa e altamente professionale» attività condotta dal Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Gorizia, assieme al Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone e al Nucleo dei carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro goriziano. Il tutto è stato innescato da una discovery info investigativa, ha spiegato il procuratore Ajello, incentrata sulla comunità bengalese residente a Monfalcone. «Sono state acquisite fondate indicazioni – ha aggiunto il procuratore -, comprovate dalle numerose deposizioni testimoniali e denunce-querele, che indicavano l’esistenza sul territorio monfalconese di un’articolata organizzazione a delinquere non autoctona». Determinante è stato l’apporto della Bimas (Bangladesh Immigrants Association) di Monfalcone, che ha convinto i lavoratori in difficoltà a formalizzare le denunce.

 

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Appalti gestiti dai caporali attacco a Rsu e sindacati

Un tavolo permanente di monitoraggio sulla sicurezza. L’allargamento della rappresentanza sindacale ai lavoratori dell’appalto e agli stranieri. E un “forum-osservatorio” in grado di selezionare le priorità e le situazioni di rischio, seguendo passo a passo i casi fino alla fine, costruendo al contempo un vero e proprio “archivio” dell’organizzazione del lavoro. Lo propone Giovanni Iacono (Sel), che si sofferma sul metodo per affrontare la realtà dell’appalto. Prende spunto dall’istituzione della Rsu bengalese, un esempio positivo, per dire: «Le organizzazioni sindacali, a mio parere, dovrebbero, nei limiti del possibile, coordinare l’organizzazione della comunità-fabbrica. E avere più coraggio nel pretendere verifiche costanti sulle assunzioni e sulla sicurezza. L’ultimo infortunio mortale, nel quale è rimasto vittima un giovane bengalese, dev’essere un monito per non abbassare la guardia». di Laura Borsani C’è del marcio a Monfalcone. Il caporalato prosperato nel settore dell’indotto, in grado di decidere e pilotare le assunzioni, bypassando le procedure istituzionali, fino a esautorare di fatto l’Ufficio del Lavoro. Società che nascono e muoiono come scatole cinesi, funzionali allo sfruttamento dei lavoratori, alla logica del ribasso d’appalto, e, presumibilmente, all’arricchimento dei pochi sui molti. Meccanismi scientifici, lo ha osservato lo stesso procuratore Caterina Ajello, che si poggiano su prestanomi, ma anche omissioni e falsità nelle denunce contributive e amministrative. Il tutto si regge sulla minaccia, l’intimidazione, la paura e, fors’anche, l’omertà. L’indagine portata avanti dalla Procura goriziana è frutto delle denunce di cinquanta bengalesi che, attraverso la Bimas, hanno deciso di raccontare le loro storie di soprusi. Ma il risultato raggiunto, che ha portato all’arresto dei fratelli Pasquale e Giuseppe Commentale, assieme a un bengalese di 46 anni, e alla denuncia di altre 6 persone, ha tutta l’aria, e la portata, della punta di un iceberg. Gli interrogativi, a questo punto, sono molteplici. Perchè solo ora è scoppiato il bubbone? C’è voluta la magistratura per scoperchiare il pentolone? E ancora: l’associazione bengalese Bimas ha lanciato il sasso nello stagno. E i sindacati, che pure hanno da tempo sollecitato l’istituzione di un tavolo dedicato all’appalto? L’Usb, con il sindacalista Mario Ferrucci, ha messo il naso nell’appalto: circa 14 le denunce presentate, di cui 7 indirizzate alla Gdf. Ma l’Usb conta poco. Domande che risuonano in città e chiamano in causa compiti e ruoli. Il consigliere di Sel, Giovanni Iacono, chiede un Consiglio comunale urgente e la convocazione della Consulta immigrati: «Se si accetta l’idea – commenta – che solo operazioni giudiziarie risolvono le situazioni della legalità e delle condizioni di lavoro in una grande azienda pubblica, vuol dire che la politica non serve più a nulla». Iacono aggiunge: «Perchè vengono a galla solo ora situazioni note da tempo? Si impone la riflessione, considerata la crisi imperante, dove in un’azienda pubblica come Fincantieri non si sa chi e cosa decide, e dove l’appalto e l’intensificazione dei ritmi di lavoro sono diventati un sistema di massa rispetto al quale gli accordi separati fabbrica per fabbrica rischiano di non essere una risposta sufficiente. Non vorrei – osserva – che Monfalcone possa diventare un’altra Pomigliano non dichiarata». Il consigliere regionale della Lega Nord, Federico Razzini, non le manda a dire: «È almeno 10-15 anni che le cose vanno avanti in questo modo, noi da tempo le abbiamo denunciate. È il sistema-Monfalcone che è marcio. L’indagine aperta dalla Procura di Gorizia è solo la punta dell’iceberg, al di là delle posizioni individuali che saranno vagliate dalla magistratura. Il ruolo della politica, quella del centrosinistra, è moralmente corresponsabile. Le sigle sindacali, come gli amministratori, ci hanno sempre accusato di razzismo quando puntavamo il dito su certe imprese campane, o comunque non locali, su personaggi senza arte nè parte, che in città giravano con i Suv e che per anni hanno fatto affari nell’appalto. Io dico, invece, che c’è stato sempre un silenzio complice. Cos’ha fatto la Triplice? Ha dormito o ha preferito non vedere? Perchè la Failm-Cisal, che ha sempre denunciato le irregolarità, è stata emarginata? E cosa ha fatto la politica? Erroneamente – conclude Razzini – si è sempre guardato ai vertici nazionali di Fincantieri: sono, invece, i livelli locali che devono garantire sul territorio il controllo su un sistema sfuggito di mano.