NUCLEARE/ Molto interessante: Francia i precari dell’atomo

 

28 maggio 2011

 

Stanchezza e paura: i precari dell'atomo

Da il Corriere della Sera

LA DENUNCIA

Stanchezza e paura: i precari dell’atomo

Un libro racconta la vita dei giovani con contratto interinale cui è affidata gran parte della manutenzione delle centrali nucleari francesi

MILANO – Li chiamano in tanti modi: «nomadi del nucleare», «carne da neutroni». Affidano la propria vita alla tenuta stagna di tute soprannominate — con amara ironia — «Mururoa», l’atollo polinesiano devastato dagli esperimenti nucleari francesi. Vivono nell’angoscia di superare «il limite», i famigerati 20 millisievert di tolleranza annua, perdendo così il treno del prossimo contratto. Convergono su coordinate precise, come stormi di uccelli migratori, «per le tre o cinque settimane che dura un arresto periodico di reattore, con la sua manutenzione e la ricarica di combustibile», scrive Elisabeth Filhol in La centrale, fenomeno letterario del 2010 in una Francia che — ancor prima di Fukushima — si trova a fare i conti con le ombre lunghe delle 19 centrali disseminate sul suo territorio: 58 reattori, a fornire il 76,2% del fabbisogno nazionale.

RISCHIO COSTANTE – All’ombra delle torri cilindriche, con i loro pennacchi di fumo bianco, le roulotte e i motel dove si rintanano a smaltire stanchezza e paura i precari dell’atomo. Oltre ventimila interinali delle radiazioni, che — racconta a Libération José Andrade, tra i veterani della viande à radiations — si beccano «l’80 per cento delle dosi» che toccano a chi lavora nei reattori. Per loro, nessun monitoraggio nei laboratori specializzati dell’Edf (Electricité de France), gestore delle centrali: solo «normali» controlli del medico del lavoro. Precarietà sanitaria, precarietà contrattuale. «Le agenzie interinali spuntano attorno alle centrali come funghi, dopo mesi di ristrettezze ci si lascia conquistare dalla facilità: si entra e si firma». Uno stipendio tra i 1.200 e i 1.500 euro al mese, e il rischio costante di «raggiungere la dose». Come Yann, il protagonista del romanzo della Filhol, uscito in Italia (Fazi) proprio nel 25° anniversario della catastrofe di Cernobyl, e a un mese e mezzo dal disastro di Fukushima.

Elisabeth Fillol (Web)
Elisabeth Fillol (Web)
CHOC – «Ma il progetto è nato nel 2007 da un articolo pubblicato su un giornale locale, sul suicidio di tre lavoratori della centrale nucleare di Chinon sur la Loire. Abito a 60 chilometri da lì. Fino a quel momento, l’immagine che ne avevo era quella di un’industria ad alta tecnologia: persone iperspecializzate, ottime condizioni di lavoro». Elisabeth Filhol, classe ’65, analista finanziaria, occhialini da intellettuale e capelli dalla scriminatura rigorosa, per la sua opera prima è partita da qui, «dallo choc che ho avuto quando ho realizzato che per Edf il guadagno era diventato una priorità a scapito della sicurezza di uomini e installazioni». La questione, dice, «in Francia è stata molto poco affrontata dai media, nonostante sociologi e medici facciano suonare un campanello d’allarme da almeno 15 anni». Finché, nell’arco di pochi mesi, ecco arrivare nei cinema d’Oltralpe il documentario «R.A.S. — Nucléaire. Rien à signaler» (Nucleare. Niente da segnalare) di Alain de Halleux, e sugli scaffali delle librerie, il suo romanzo. PRECISIONE CHIRURGICA – Il pubblico ha scoperto così quello che la Filhol definisce «un universo parallelo, la vita da nomadi di coloro che lavorano nelle centrali, i legami di solidarietà che li uniscono, i rischi ai quali si espongono». Che, nel suo libro, sono descritti con precisione chirurgica: i 310 gradi che sono «la temperatura dell’acqua nel circuito primario», i 75 metri dei piloni del gruppo turboalternatore, i 45 centimetri di diametro della botola per entrare nel generatore, i 2-3 minuti del tempo massimo d’intervento. «Dagli anni Sessanta in poi, la questione del nucleare ci è stata sottratta dagli specialisti. Ci presentano le centrali come scatole nere delle quali è impossibile comprendere il funzionamento. Perfino i politici ne sono intimiditi. E noi, cittadini comuni, accettiamo la politica energetica che ci viene imposta. Riappropriarsi della tecnologia, farne una materia letteraria, è un passo che permette di fare nostra una questione che ci riguarda tutti», sostiene la Filhol.

SUBAPPALTI E RESPONSABILITA‘ – Ma c’è un’altra questione pubblica, altrettanto invisibile, che attraversa in filigrana tutto il romanzo: il precariato. «La maggior parte dei precari non sono invisibili, nel servizio pubblico li incrociamo tutti i giorni». Nel nucleare, però, è — era — diverso. «E nel caso specifico della manutenzione delle centrali, è un dato certo che il sistema dei subappalti favorisce la precarietà». Yann e i suoi compagni portano sulle spalle «il peso dell’obbligo di fare il proprio lavoro il meglio possibile in condizioni via via più degradate. E una delle conseguenze del sistema del subappalto “a cascata”, il vero scandalo, è che perfino in un’industria come il nucleare c’è un continuo trasferimento di responsabilità dall’alto al basso della piramide». Dopo Fukushima, tutto questo fa ancora più paura. «Il rischio di un incidente nucleare provocato da una catastrofe naturale è senza dubbio meno elevato qui che in Giappone, ma esiste. Un sisma, o una tempesta seguita da un’inondazione come nel caso della centrale di Blayais, sull’estuario della Gironda, nel 1999. Quel giorno abbiamo sfiorato la catastrofe. Ma non dimentichiamo che una delle prime cause di incidente è l’errore umano. E il modo in cui si gestisce oggi la manutenzione delle centrali aumenta considerevolmente il rischio».

Gabriela Jacomella
27 maggio 2011(ultima modifica: 28 maggio 2011)