Da Il piccolo del 01/03/11
Gradisca, l’inferno del Cie: cento immigrati e appena otto letti
Sempre più difficile garantire la sicurezza nel centro dimenticato da tutti. Rivolte continue per tentare l’evasione, danni per milioni alle strutture. Il presidente della Provincia Enrico Gherghetta: “E’ un lager”
GORIZIA Il vento rivoluzionario che ha rovesciato i regimi dittatoriali del Nordafrica ha svelato una volta per tutte l’inefficienza del sistema para-carcerario che l’Italia ha adottato per la gestione dei clandestini: e mentre i riflettori sono puntati su Lampedusa, al Cie di Gradisca è scoppiato l’inferno.
Nell’indifferenza pressoché totale della politica e dei media nazionali, il centro è teatro di avvenimenti drammatici. Nei giorni scorsi i profughi tunisini, spediti in fretta e furia nell’Isontino, hanno generato un’escalation di rivolte che hanno quasi definitivamente distrutto la struttura. Domenica notte, dopo l’ennesima giornata di disordini, restava agibile soltanto una stanza con 8 posti letto, a fronte di oltre cento trattenuti, accampati nei corridoi con soluzioni di fortuna.
Un disastro che ha creato all’interno del centro una situazione esplosiva per tutte le persone coinvolte: per gli operatori di Connecting People, la società sicula incaricata della gestione, per le forze dell’ordine, afflitte da una drammatica carenza di effettivi, e soprattutto per gli “ospiti” (se vogliamo usare l’eufemismo che li identifica nel linguaggio ufficiale). Nel pieno dell’emergenza il Cie paga una volta di più i criteri poco ortodossi con cui vengono “scelti” i trattenuti: assiepati negli stessi spazi si accalcano famiglie di disperati in fuga dall’Asia centrale e dall’Africa, criminali appena scarcerati in attesa di espulsione, e ora anche i profughi delle rivolte nordafricane.
A questo si aggiunga il mosaico etnico e religioso, un mix esplosivo. Il questore di Gorizia Pier Riccardo Piovesana è in prima linea su questo fronte. Nei loro comunicati anche i sindacati di polizia hanno riconosciuto gli sforzi compiuti da Piovesana per impedire il degnerare definitivo della situazione, e accusano piuttosto Roma di aver ignorato le richieste di sostegno avanzate dalle forze dell’ordine locali. Ma Piovesana assicura che Roma non sta facendo mancare il suo supporto: «I rinforzi del Ministero sono arrivati su mia richiesta – dice il questore, che preferisce non rivelare il numero degli agenti schierati -. Inoltre i dispositivi integrati fanno sì che in caso di emergenza intervengano anche le pattuglie in servizio sul resto del territorio».
Piovesana preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: «Guardiamo alle cose veramente importanti – dice -: ci sono stati danni materiali, ma non ci sono stati feriti tra i trattenuti, gli operatori e gli agenti. E inoltre non ci sono state fughe». È già un risultato, se si pensa a come vanno le cose nel centro: «I trattenuti danno fuoco alle loro stesse stanze con l’intento di creare confusione – spiega Piovesana -. Vengono fatti uscire dalle camerate e in quel momento tentano l’evasione. Tentano di rendere impraticabile la struttura». Il presidente della Provincia Enrico Gherghetta è perentorio: «L’unica soluzione è chiudere il Cie. Quella struttura costa in media otto milioni di euro l’anno, al netto delle spese per il rimpatrio degli immigrati. Uno spreco colossale che serve soltanto a rabbonire l’opinione pubblica, perché il problema così non lo si risolve. Ho visto persone che dopo dieci anni di galera non erano ancora state identificate, e sono state mandate al Cie. Ci credo che scoppiano le rivolte. Quel posto va eliminato: è un lager».