Umberto Tommasini non solo l’ho conosciuto, ma sono anche uno dei pochi rimasti a poter dire di aver condiviso con lui la miltanza anarchica (dal 1975 al 1979 circa). Umberto sarà pure anagraficamente nato a Trieste (da famiglia proletaria emigrata dal paese friulano di Vivaro), ma era friulano e non triestino. La questione può sembrare insignificante ed artificiosa, se si rileva che Umberto era anarchico, rivoluzionario ed internazionalista, ma diventa importante nel momento in cui, in particolare, si è scelto di dare al libro su di lui una caratterizzazione geo-politica che non era certo obbligatoria. Nessuno scandalo, per carità, che il libro sia stato scritto in triestino, la scelta è stata corretta, anzi questa sì inevitabile, in quanto riflesso di una realtà oggettiva. Il libro infatti è una testimonianza di storia orale ed Umberto, con le compagne ed i compagni di lotta, a Trieste, parlava triestino. Altrettanto ovviamente si deve rilevare che a Trieste si parla prevalentememte triestino mica italiano, questo è semplicememte un dato di fatto. Viceversa, per controesempio e per stimolo alla riflessione, si deve rilevare che ad Udine invece si parla prevalentemente italiano mica friulano; anche questo è semplicemente un dato di fatto. Tralasciate per ora le questioni linguistiche, che, per loro natura intrinseca, sono molto complesse e richiedono un’analisi approfondita che non si può svolgere in questa sede, veniamo alle motivazioni attuali che mi rendono impossibile partecipare ad una commemorazione sia pure prevista a Vivaro, dove, non casualmente, Umberto è stato sepolto nel 1980. Già molti anni fa (1983) mi sono (ci siamo) trovati a contestare la commemorazione di Giovanni Casali per il quale era stata deposta una lapide nell’atrio del Municipio di Prato Carnico. Ci si era chiesti, che senso ha che un anarchico venga commemorato in forma, anche solo parzialmente, istituzionalizzata? Non si tratta solo di una contraddizione, ma di un vero e proprio snaturamento della realtà delle cose. Più in generale ci si deve chiedere: chi si fa garante della continuazione del trattamento coerente delle spoglie e della memoria degli anarchici dopo la loro morte? Sarà senz’altro capitato anche in altre parti, ma è drammaticamente capitato anche a noi, dover scontrarci violentemente con la famiglia di un giovane compagno, Maurizio Faidutti di Mortegliano, morto in circostanze accidentali, del quale i genitori hanno inteso, violando l’identità del figlio, celebrare il funerale in chiesa. (E quando muoio io …). Così, vuoi per ragioni famigliari, vuoi per ragioni storico-culturali, vuoi perchè comunque è un riconoscimento, … in fin dei conti va spesso a finire che, ciò che non è stato possibile in vita, diventa invece possibile dopo la morte, vale a dire una qualche forma di recupero e snaturamento dell’identità e della storia di un anarchico. In realtà molti anarchici ci pensano già da soli a snaturare in vita il patrimonio di idee che in qualche modo hanno avuto l’occasione di acquisire, ma almeno quelli che hanno sviluppato fino in fondo il patrimonio ideale, politico e culturale dell’anarchismo, è giusto che siano trattati in maniera coerente con la loro identità professata. Quindi, nella fattispecie, mi chiedo, per esempio: cosa c’entra GianLuigi Bettoli, notoriamente marxista, con Umberto Tommasini e l’anarchismo? E poi, perchè ancora una volta “regalare” il nostro patrimonio a intellettuali, associazioni ed infine istituzioni, che con noi non c’entrano nulla? La commemorazione di un anarchico deve essere trattata come un capitolo dell’anarchismo e non come un evento da proporre nel baillame della rappresentazione culturale, magari con l’obiettivo, anche legittimo, di dargli maggiore respiro. Non vedo la necessità di trovare collaborazioni esterne per situazioni di questo genere. Personalmente avevo anche sollevato l’idea che la memoria di Umberto fosse collegata alla vicenda degli OGM, (vicenda che ha reso il Paese di Vivaro noto in ambito internazionale) e quindi ad un fronte di lotta territorialmente radicato e politicamente qualificante, ma il messaggio non è stato colto e si è proceduto ad una commemorazione rituale, non condivisa, e, per quanto mi riguarda, non accettabile.
Paolo De Toni – Cespuglio – 14 gennaio 2011