Ma uno si chiede: son quasi 5 anni che il CIE è stato aperto, dov’è stato il buon Antonaz in tutto questo tempo? Per non parlare di quel che è successo prima dell’apertura…
Dal Messaggero Veneto del 30/12/10
Antonaz: il Cie è inutile, ogni espulsione costa non meno di 15 mila euro
Gradisca GRADISCA. «La situazione al Cie è inaccettabile»: lo ha affermato il consigliere regionale Roberto Antonaz, recatosi ieri mattina in visita alla struttura di via Udine, accompagnato dal vicario prefetto Gloria Allegretto. Circa 130 detenuti, una tensione altissima, restrizioni per l’ora d’aria (due il giorno, meno che in un carcere), servizi mensa scadenti: questa la situazione denunciata da Antonaz, che coglie l’occasione per ribadire l’inutilità del Cie. «Prima era il Cpt, ore è il Cie: strutture che non servono a risolvere il problema di sicurezza e clandestinità. Sono solo spot elettorali del centro-destra, per i quali gli italiani pagano almeno un miliardo di euro. C’è un rapporto di due agenti per ciascun detenuto, con tutti i costi del caso: secondo i miei calcoli, ogni espulsione costa non meno di 15 mila euro».
Antonaz snocciola anche altre cifre sul fenomeno-Cie: «Nel 50% dei casi si tratta di persone che hanno smarrito il permesso di soggiorno o non l’hanno mai avuto, quindi non si tratta di delinquenti. L’altra metà è gente che viene dal circuito carcerario, ed è un’altra assurdità: primo perché gli viene inflitto un supplemento di pena, secondo perché si perde tempo per un’identificazione che andava fatta prima».
Il consigliere regionale lancia un messaggio a Tommasini e alla sua giunta: vada a Roma a chiedere la chiusura assieme a Gherghetta, gli ultimi a farlo fummo io e Illy. O si continua a tenere la barra dritta sulla chiusura, o si monetizza, ma occhio: chiedendo risarcimenti il segnale che viene offerto è di accettazione e rassegnazione. I Cie si possono chiudere, quello del Porto Vecchio di Trieste fu chiuso a furor di popolo». La Prefettura di Gorizia, intanto, ha reso noto che sui siti del ministero dell’Interno (www.interno.it) e della stessa Prefettura (www.prefettura.it/gorizia) è online l’avviso pubblico per l’affidamento della gestione del Cie e del Cara per il periodo dal 1º marzo 2011 al 28 febbraio 2014. Si tratta di un bando di gara con una base d’asta di poco superiore ai 15 milioni di euro per tre anni.
La commissione di valutazione, costituita con decreto del Prefetto, procederà all’apertura dei plichi estraendo le tre buste (“offerente-documentazione”, “offerta tecnica” e “offerta economica”) in seduta pubblica il 1º febbraio 2011. (gi.pi.)
Dal Piccolo del 30/12/10
«Ammassati al Cie in condizioni invivibili»
GRADISCA «Provincia e Comune devono creare subito una delegazione per chiedere al ministro Maroni la chiusura del Cie. Anche la Regione? Magari, ma non so come la pensi Tondo». Parole di Roberto Antonaz. Il consigliere regionale del Prc ieri ha visitato assieme ai vertici della Prefettura la struttura per immigrati di Gradisca, traendone – dice – un’impressione «quantomeno inquietante. Al Cie si respira una tensione altissima e la situazione è precipitata con il prolungamento del periodo di trattenimento sino a 6 mesi. Ho parlato con migranti che testimoniano come persino in carcere le condizioni di vita siano più dignitose. Questo è un penitenziario gestito da civili». Alcuni immigrati addirittura forzerebbero per abbreviare i tempi della propria espulsione: «Preferiscono essere rimpatriati piuttosto che stare lì, dove non ci sono diritti. Si dorme in dieci, ammassati in camerate da sei. L’assistenza legale è quella che è. La mediazione culturale non è sufficiente, la qualità del cibo pessima. Persino l’ora d’aria è stata ridotta. La gente deve capire – scandisce il consigliere – che questa struttura non risolve affatto nè il problema della clandestinità nè quello della criminalità. È solo uno spot per il centrodestra, uno spot pagato dai cittadini con milionate di euro». Secondo Antonaz il meccanismo dei Cie costa alla gente 15 miliardi di euro l’anno: spese per il trattenimento degli ospiti, rimpatri, il lavoro delle forze di polizia. «Tutto questo per togliere la libertà a persone che non hanno commesso alcun reato».
Antonaz rilancia la battaglia politica contro il Cie. E punge le istituzioni locali. «Questa struttura è una sofferenza per tutti: per gli immigrati, per i poliziotti, per Gradisca. Fra le righe, pare esserlo persino per la Prefettura. Allora bisognerebbe tenere la barra dritta sulla chiusura – ribadisce Antonaz – e non ipotizzare o accettare richieste di risarcimento come ho sentito affermare nella sede del Comune: questo significa accettare e legittimare questo scempio alla democrazia. Due centri immigrati in passato sono stati chiusi: quello di Ponte Galeria, a Roma, addirittura su impulso di un prefetto; e anni fa quello triestino di Porto Vecchio, grazie a una grande spinta popolare. Chiedo al presidente Gherghetta e al sindaco Tommasini di costituire subito una delegazione per manifestare a Roma l’insostenibilità del Cie per questo territorio. Non so come la pensi il governatore Tondo, ma bisogna farlo».
Anche il buon prete in tutti questi anni non si è mai distinto per prese di posizione contro il CIE, che invece fioccano dopo che in vari hanno fatto notare la scandalosa benedizione dei nuovi lampioni fuori dal lager su cui, ovviamente, il buon prete non dice nulla.
Dal Piccolo 28/12/10
«Il Cie è angosciante come un carcere»
di GIOVANNI TOMASIN
GRADISCA «Il Vangelo racconta che il Natale è stato anche dramma. Per questo dico che lo spirito di quel momento forse è più presente all’interno del Cara che nelle nostre liturgie». Questa è la sfida, che parroco don Maurizio Qualizza ha voluto proporre alla popolazione di Gradisca con l’omelia natalizia che ha proferito nella chiesa di San Valeriano.
Don Qualizza, cosa intendeva quando ha detto che la messa di Natale andava celebrata nel centro immigrati?
Il mio voleva essere un invito alla riflessione. La presenza così vicina alle nostre case di un luogo di sofferenza deve indurci a pensare che il Cristo si è incarnato tra gli ultimi. E quindi a chiederci dove sia il vero Natale, se tra noi o tra loro. Quanto agli ospiti del Cara, sono in buona parte musulmani, celebrare fisicamente la messa nel centro sarebbe stata quasi una provocazione.
Come parroco ha incontrato gli ospiti del centro. Che impressione ne ha tratto?
Ho trovato un’umanità immensa, portatrice di storie sofferte, crocifisse. Si tratta spesso di persone che hanno perso la famiglia, rinunciato alla loro vita, per i loro valori umani e religiosi. In questo ricalcano la storia di Gesù, ma anche del popolo ebraico, e hanno una dignità che noi non abbiamo più.
Cosa dice alla gente che è intimorita dagli immigrati?
È un peccato. Sono spesso persone molto istruite, una vera ricchezza potenziale per il nostro paese. Ciononostante i gradiscani a volte ne hanno paura, e capisco che sia difficile trovare il bandolo della matassa dell’integrazione. Il Comune secondo me ha fatto un buon primo passo con il volontariato: dando dignità a queste persone li si inserisce nella società.
In quanto religioso, quali sono i suoi rapporti con le diverse fedi degli immigrati?
Non ho mai avuto nessun problema. D’altra parte ci sono anche tanti cristiani. Gli ospiti del Cara che vengono dallo Sri Lanka sono cattolici, peraltro molto devoti a Sant’Antonio di Padova, nostro patrono. Ma anche gli evangelici hanno un’apertura mentale che a noi manca, vengono nella nostra chiesa.
E gli ospiti del Cie?
Sono entrato l’ultima volta 7 mesi fa, anche per noi non è facile. Ne sono stato angosciato. Ho visitato anche delle carceri, ma una situazione come quella del Cie non l’ho mai vista. Sono chiusi come animali nelle gabbie.
Si sente supportato dalla Diocesi?
La Caritas ci aiuta come può. Con don Paolo Zuttion coltiviamo la speranza di aprire un centro d’accoglienza a Gradisca. Dobbiamo fare i conti con il fatto che l’immigrazione non si fermerà, almeno fino a quando l’Occidente continuerà a consumare l’80% delle risorse mondiali.
«Dovevamo celebrare la messa al Cie»
GRADISCA «La messa stanotte sarebbe stato forse più giusto celebrarla non qui ma in via Udine, vicino al Cara, cioè al Centro immigrati: io però non me la sento di fare queste scelte ardite e forse voi di capirle».
È iniziata con queste parole l’omelia della messa natalizia di mezzanotte celebrata dal parroco di Gradisca, don Maurizio Qualizza, nella chiesa di San Valeriano. Due quest’anno le celebrazioni: quella inedita delle dieci nella chiesa madre del Duomo e per l’appunto quella al più tradizionale orario della mezzanotte: entrambe affollatissime.
Presente ad entrambe le celebrazioni una rappresentanza di ospiti del Cara, il centro per richiedenti asilo politico di via Udine. E alla loro situazione è stata idealmente rivolta parte della riflessione durante la messa di Natale in San Valeriano. Le parole forti di don Qualizza («Gesù era un extracomunitario») ancora una volta hanno saputo agganciare il messaggio evangelico all’attualità. Parlando di integrazione, immigrazione, accettazione dell’altro. «Il popolo ebraico, a cui Gesù era legato secondo la carne e il sangue, si autodefiniva nella Bibbia come una comunità di forestieri e pellegrini – così il sacerdote – tant’è vero che aveva codificato questa straordinaria normativa su cui dovrebbero riflettere anche molti legislatori sedicenti cristiani: ”vi sarà una sola legge sia per il nativo sia per lo straniero residente in mezzo a voi. Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli dovrete far torto, ma lo tratterete come colui che è nato fra voi; l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto”. La dolcezza del Natale – ha affermato don Qualizza – sparisce per lasciare intravedere una trama cupa: Gesù nasce in una grotta-stalla, è deposto non in una culla ma in una mangiatoia, si affaccia subito l’incubo di una repressione sanguinaria e la famiglia deve imboccare la via della clandestinità, riparando nel confinante Egitto, diventando così gente extracomunitaria. Come non pensare allora stasera a tante storie che ci sono vicine, allo sguardo di quei bambini che da un po’ di tempo frequentano anche il nostro oratorio e che hanno lineamenti e volti medio-orientali, da Gesù Bambino. Non possiamo non vedere oggi questa storia che si ripete, il Bimbo di Betlemme rifiutato e per il quale non c’era posto per loro nell’albergo. Siamo chiamati a tentare di costruire strade diverse da quelle di sofferenza che ogni giorno queste persone calpestano, perché solo così, forse, ri-troveremo quello stupore per la vita. C’è poco spazio per la poesia: Natale è un dramma, il Figlio che viene e l’umanità che lo rifiuta».