Dal Messaggero Veneto del 20/07/10
La rivolta al Cie scatenata da un arresto
GRADISCA. Sarebbe stato l’arresto, per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, di un immigrato destinatario di un’ordinanza di rimpatrio la scintilla che, sabato notte, ha fatto scatenare la rivolta nel Cie di via Udine. Una notizia, seppur non confermata da Prefettura e Questura, arrivata a confermare le prime indiscrezioni, che volevano legata proprio alle operazioni di rimpatrio l’insofferenza dei circa 70 clandestini protagonisti della sommossa e responsabili dell’incendio appiccato nella struttura isontina. Ricostruzione dei fatti ancora ufficiosa, mentre è confermata l’apertura di un’indagine da parte della Digos sia per accertare eventuali collegamenti tra la rivolta scoppiata nel Cie di Gradisca e quello di via Corelli a Milano, avvenute praticamente in contemporanea, sia per individuare i responsabili della sommossa nella struttura isontina, che ha coinvolto una settantina di clandestini. La Questura di Gorizia, a quanto si è potuto apprendere, ha acquisito i filmati delle telecamere a circuito chiuso interne al Cie di via Udine, ma nessuna conferma è arrivata in merito a un procedimento analogo riguardante i tabulati telefonici delle utenze cellulari degli immigrati ospitati nella struttura. Un’azione, quest’ultima, promossa in più occasioni in passato, visto che la normativa interna al Cie non soltanto consente agli immigrati di possedere un cellulare (è vietato soltanto il possesso di apparecchi cellulari dotati di foto-videocamera), ma riconosce agli stessi anche una scheda telefonica, al pari delle sigarette prevista nella “diaria” degli ospiti. Potrebbe essere dimesso già in giornata e, di conseguenza, riportato nel Cie di Gradisca, invece, il 51enne immigrato algerino che, sabato notte, si era gettato per protesta sui materassi ai quali gli stessi immigrati, nel corso della sommossa, avevano dato fuoco. Ricoverato d’urgenza nell’ospedale di Udine, infatti, l’uomo aveva riportato ustioni di vario grado sul 20% del corpo. Dopo la rivolta di sabato notte la situazione nel Cie di via Udine è tornata sotto controllo, ma all’interno della struttura la tensione resta alta. Sull’accaduto è intervenuto anche il senatore del Pd Francesco Ferrante, che ha ricordato come «le fughe e i disordini scoppiati nei centri di identificazione ed espulsione di Milano e Gradisca d’Isonzo sono il risultato delle fallimentari politiche immigratorie del governo italiano, che fa suoi provvedimenti degni di passate dittature sudamericane. Sospendere i diritti civili dei cittadini stranieri, rinchiudendoli nei Cie per sei mesi, è indegno per uno Stato civile». (ma.ce.)
I Msf: «C è carenza di attività ricreative»
GRADISCA. La situazione «rischia di rivelarsi esplosiva». A lanciare l’allarme è Medici senza frontiere, (l’organizzazione umanitaria internazionale, indipendente, di soccorso medico), intervenuta in merito ai tentativi di fuga, verificatisi sabato notte, dai Centri di identificazione ed espulsione di Milano e Gradisca d’Isonzo. L’ennesimo campanello d’allarme, secondo Msf, che ricorda come la situazione nei Cie sia peggiorata dopo l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, che ha allungato da 2 a 6 mesi i tempi di trattenimento dei clandestini. Diversi i motivi per i quali, secondo l’organizzazione umanitaria, i Cie sarebbe a rischio di esplosione. «La mancanza di linee guida per la pianificazione e la gestione dei servizi, elevata presenza di di stranieri ex detenuti (40%), promiscuità tra trattenuti con condizioni sociali, legali e psicofisiche eterogenee» ma, soprattutto, l’allungamento a 6 mesi del limite massimo di trattenimento, che «sembra determinare uno stravolgimento definitivo della funzione originaria della detenzione amministrativa: non più una misura straordinaria e temporanea di limitazione della libertà per attuare l’allontanamento ma una sanzione, estranea tuttavia alle garanzie e ai luoghi del sistema penale». Una misura che «se attuata con rigore, rischia di rendere ancora più esplosivo il clima all’interno dei centri». La carenza di attività ricreative per occupare gli immigrati, obbligandoli a un’inattività forzata, inoltre, per Medici senza Frontiere è il punto su cui bisognerebbe intervenire con la massima attenzione. Nel Cie di Gradisca, stando al rapporto reso pubblico già a febbraio, spazi abitativi e bagni «sono molto spaziosi e in buone condizioni, ma le condizioni di trattenimento appaiono seriamente compromesse dall’assenza di attività ricreative». Al momento di stilare il rapporto, Msf annotava che «nessun ente gestore ipotizza di modificare le modalità di erogazione dei servizi», problema che si riscontra anche per quanto riguarda l’assistenza sanitaria degli immigrati, Se, tuttavia, «nel complesso il servizio sembra reattivo a fornire cure minime e a breve termine», diverso è il discorso se si prende come punto di riferimento i 180 giorni di trattenimento: ci si trova di fronte a un rapporto «che rischia di non essere più sostenibile». (ma.ce.)
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Da Il Piccolo del 20/07/10
«Sommosse di Gradisca e di Milano, unica regia»
di STEFANO BIZZI GRADISCA «Niente di nuovo, sono cose che sono successe anche in passato». È la reazione del ministro dell’Interno Roberto Maroni riguardo le rivolte scoppiate in contemporanea nei Cie di Gradisca e di Milano. La polizia sta indagando su eventuali collegamenti tra i due episodi, ma la situazione non sembra destare particolare preoccupazione nel mondo politico. Ieri, intanto è emerso da fonti non ufficiali, che a scatenare la furia dei rivoltosi del Cie isontino sarebbe stato l’arresto di un nordafricano che si era opposto al rimpatrio. Da Desenzano del Garda il ministro Maroni si è limitato a ribadire indirettamente la posizione del governo sul tema della lotta all’immigrazione clandestina. Lo ha fatto riferendosi in modo implicito ai termini di trattenimento previsti dal pacchetto sicurezza. Il provvedimento estende il periodo utile per il riconoscimento degli immigrati da due a sei mesi. Se prima dell’entrata in vigore della norma attuale il termine massimo di 60 giorni veniva tollerato dagli immigrati, successivamente i 180 giorni sono stati letti dagli stessi come una condanna detentiva ingiusta e le rivolte sono state sempre più violente. «Sono cose che noi contrastiamo perché chi sta nei Cie ci sta perché ha titolo per starci prima di essere espulso», ha detto il titolare del Viminale alle agenzie. L’assessore regionale alla Sicurezza Federica Seganti ricorda che nei Cie le misure di sicurezza sono di molto attenuate rispetto al ruolo realmente svolto dalle strutture stesse. «Basta pensare che per definire le persone trattenute si usa il termine ospite», ricorda l’assessore prima di sottolineare la sospetta coincidenza delle rivolte concomitanti di Gradisca e di Milano. A dicembre la cittadina isontina e il capoluogo lombardo erano stati gli obiettivi degli attentati con bombe carta rivendicati dal Fronte anarchico informale. «Il collegamento c’è, anche se potrebbe non essere strutturale – osserva l’assessore Seganti -. È probabile che ad agire ci possa essere un’organizzazione esterna. Non dimentichiamo che, una volta, chi fuggiva finiva con il vagabondare per il territorio e, in genere, veniva ripreso dagli agenti. Oggi i fuggitivi spariscono velocemente. La situazione è complessa e va tenuta sotto controllo. Al Cie non è il singolo delinquente che deve preoccupare, è piuttosto l’immigrato che entra in contatto con una rete malavitosa. Credo sia questo il passaggio che deve richiedere particolare attenzione». Il senatore Pdl Ferruccio Saro ha intanto preparato un’interrogazione affinché le forze dell’ordine possano operare in sicurezza all’interno dei Cie e sia organizzato un servizio di prevenzione adeguato in occasione dei rimpatri.
«Un grido inascoltato da quelle mura»
GRADISCA «È un grido che ci interpella, ma che resta soffocato da quelle mura alte di via Udine». Così il parroco di Gradisca, don Maurizio Qualizza, commenta i fatti all’interno del Centro di identificazione ed espulsione. «Molti non sanno quello che sta accadendo all’interno del Cie – afferma il sacerdote – ma la situazione a quanto è dato da sapere sembra molto precaria. Troppi sono infatti gli episodi di violenza che si ripetono, come le manifestazioni come quella dell’altro giorno. Ma i tentativi di fuga – denuncia don Qualizza – sono solo la punta dell’iceberg di una realtà sommersa, di un’immane sofferenza umana». A Gradisca d’Isonzo tutto è cominciato, ancora una volta, con un tentativo di espulsione di alcuni tunisini. «Per resistere, i reclusi dell’area rossa salgono sui tetti delle celle, e la polizia sembra aver risposto con un lancio di lacrimogeni. In solidarietà con i loro compagni, i reclusi dell’area blu trascinano i materassi in cortile e li incendiano, mentre un recluso – è la ricostruzione dei fatti secondo il parroco – viene colpito da un candelotto lacrimogeno. Altri sono feriti per atti di autolesionismo, le strutture fortemente danneggiate, sporche e inagibili I reclusi sembra abbiano rifiutato i pasti. Potrebbe rimanere un fatto di cronaca di mezza estate, e invece è un grido che ci interpella – denuncia il sacerdote – ma che resta soffocato da quelle mura alte di via Udine. Certo i miracoli non si possono fare, ma quando penso alle chiacchiere di tanti, anche in seno alla comunità, e a certi suoi organismi la delusione è tanta. Nessuno ha chiamato in parrocchia per chiedere se si potesse fare qualcosa, dare una mano, cercare un dialogo. Solo con una sinergia si potrebbero ottenere dei risultati, ma l’impressione è che ormai abbiamo fatto il callo a tutto e che la comunità gradiscana viva il Cie con assoluta indifferenza». Ma c’è anche chi, come i sindacati di polizia, sottolinea l’assoluta necessità di ripristinare la sicurezza nel centro. Nella struttura dell’ex caserma Polonio si attende da oltre un anno l’intervento chiamato a rendere il centro di identificazione ed espulsione una struttura finalmente a prova di fughe e rivolte interne. (l.m.)