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Monfalcone/ solo carbone per la centrale A2a

da Il Piccolo del 27 agosto 2012 –Pagina 14 – Gorizia-Monfalcone

A2A studia un futuro legato al carbone Costerà 800 milioni

Si deciderà in autunno. Sopralluoghi per la nuova ferrovia Si punta anche ai rifiuti trattati. Tecnologie anti-inquinanti
CENTRALE»PROGETTI E INVESTIMENTI

 

di Giulio Garau Niente più gruppi ad olio, potrebbero essere dismessi definitivamente e il passaggio degli impianti, dopo una profonda e sofisticata ristrutturazione con nuove tecnologie, all’alimentazione al carbone “pulito” di tipo fossile e forse a una nuova tipologia di “scarti” che si ottengono con un trattamento sperimentale di certi rifiuti riciclabili. Tramonta del tutto, almeno per ora, la possibilità di alimentazione con il gas. Per ora si tratta soltanto di ipotesi per la centrale elettrica A2A di Monfalcone, ma la decisione per questo futuro è molto vicina, sarà presa in autunno e questo progetto di rilancio, o meglio di re-vamping della vecchia centrale vale almeno 800 milioni di euro di investimento. «Non è stato deciso ancora nulla, si tratta ancora di ipotesi, bisogna attendere l’approvazione dei vertici», fanno sapere da A2A anche se sul fronte monfalconese il gruppo energetico si è già mosso con valutazioni tecniche approfondite che riguardano l’approvvigionamento della centrale con il carbone. Lo conferma lo stesso Consorzio industriale di Monfalcone. «A2A sta valutando la possibilità di recuperare la vecchia ferrovia che collega la centrale e che in parte è stata dismessa togliendo alcuni binari – fa sapere il direttore, Gianpaolo Fontana -. I tecnici hanno eseguito un sopralluogo per recuperare il tratto che dalla centrale finisce al bivio di via Solvay per garantire l’approvvigionamento di carbone alla centrale sia via mare che via terra con carri merci dedicati». Si tratta di un binario lungo circa un chilometro e su cui dovranno essere fatti investimenti e bisognerà anche stringere accordi commerciali con le Ferrovie sui treni blocco, sempre che non scoppi la guerra tra i Consorzi e le Fs sulla gestione sempre più onerosa dei raccordi collegati alla rete ferroviaria nazionale. Dismissione completa dei vecchi gruppi a olio e passaggio, completo, al carbone fossile di vario tipo e soprattutto di diverse miscelature e diverso valore energetico. Questo a quanto si sa il futuro della centrale elettrica di Monfalcone che dovrebbe essere ristrutturata con un forte investimento (800 milioni appunto) per garantire all’impianto di poter avere un bassissimo impatto ambientale. È il famoso “carbone pulito” di cui si parla, una risorsa fossile presente in abbondanza nel mondo e che garantisce alle centrali di non sottostare alle politiche di “cartello” dei vari giganti del petrolio, ma anche del gas. Fin qui la parte tradizionale, ma c’è anche una seconda parte. Per Monfalcone si starebbe studiando di applicare una avanzatissima tecnologia, su cui sta lavorando con approfondite ricerche A2A, che prevede di utilizzare una particolarte tipologia di rifiuti già trattati che derivano dalla raccolta differenziata e che vengono tramutati in una materia che non più un rifiuto. Una ricerca che va sulla scia di quella che riguarda gli impianti sperimentali per trasformare in sale le ceneri dell’incenertitore che brucia i rifiuti. L’idea (riguarda per ora Buffalora nel Bresciano) è quella di tentare di trattare le ceneri in casa piuttosto che in Germania dove vengono mandate ma la cui trasformazione costa ben 130 euro a tonnellata.

TERRITORIO/ Fermare le speculazioni sul biogas e le bio-masse

Questi impianti vengono costruitii solo perchè ci sono i contributi statali, da soli economicamente non si reggerebbero mai.

Inoltre,  per esempio, il bio-gas realizzato con il mais è semplicemente uno scandalo

Consigliamo anche di scaricare questo libro

The Biofuel Delusion

di Mario Giampietro and Kozo Mayumi

delusion

 

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Massaggero Veneto MARTEDÌ, 30 OTTOBRE 2012 Pagina 63 – Provincia

«Contro il biogas bastava ricorrere al Tar»

Torviscosa, gli ambientalisti replicano al Comune: macché mani legate, è già successo in Piemonte

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TORVISCOSA «Bastava ricorrere al Tar per bloccare le procedure per la centrale a biogas Torre Zuina di Torviscosa». L’ambientalista Paolo De Toni respinge le affermazioni dell’assessore Turco, il quale sosteneva che il Comune avesse le mani legate in merito e cita una sentenza del Tar del Piemonte del 21 dicembre 2011 che dava ragione al sindaco del comune di Luserba San Giovanni: l’ente aveva presentato ricorso nei confronti di un’Azienda agricola, chiedendo l’annullamento della determinazione con cui il Dirigente del Servizio qualità dell’aria e delle risorse energetiche della Provincia di Torino autorizzava l’Azienda agricola alla costruzione e all’esercizio di un impianto di cogenerazione alimentato da biomassa legnosa in quel comune. De Toni afferma infatti che «l’autorizzazione unica può variare la pianificazione urbanistica soltanto se c’è stata una ponderata valutazione della coerenza della valutazione con le esigenze della pianificazione, cioè che la realizzazione dell’impianto non può stravolgere le esigenze della pianificazione. Si dice inoltre che l’eventuale dissenso del Comune deve essere preso in adeguata considerazione, attentamente ponderato e eventualmente superato nella determinazione conclusiva, ma sempre sulla scorta di una motivazione adeguata che dia conto delle posizioni prevalenti emerse in seno alla conferenza e delle ragioni per cui l’insediamento è stato ritenuto, nel confronto tra i vari interessi pubblici, compatibile con le caratteristiche dell’area interessata». «l Tar del Piemonte – continua . concludeva la sentenza con alcune prescrizioni che riguardavano la riconvocazione della Conferenza di servizi e la conclusione della stessa con la determinazione conclusiva del responsabile del procedimento, dando conto delle posizioni prevalenti emerse in seno a tale conferenza. Quindi, con un ricorso al Tar, l’impianto di Torviscosa poteva essere bocciato e quanto meno il Tribunale amministrativo regionale avrebbe costretto a rifare la Conferenza dei servizi e quindi a prendere in considerazione il parere contrario della Soprintendenza arrivato in ritardo. È vero che l’articolo 12 del Dlgs 387/2003 prevede che l’autorizzazione unica “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico» conclude De Toni, « ma tale norma va letta secondo canoni di ragionevolezza e alla luce dei principi di (mera) semplificazione procedimentale che la ispirano». Francesca Artico

 

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Paolo De Toni http://www.slowfood.it/sloweb/1b6c09c96611d443294f9e96d92be31b/sloweb

Il rischio è la speculazione sulla produzione per godere degli incentivi e risparmiare sulla costruzione.

Allarme mega-impianti di biogas: anche l’energia pulita può inquinare

09/05/2012Il rischio è la speculazione sulla produzione per godere degli incentivi e risparmiare sulla costruzione.

Il biogas, tra le fonti energetiche rinnovabili, sta cominciando a creare più problemi che vantaggi. Soprattutto da quando è diventato la nuova gallina dalle uova d’oro per l’agroindustria. La questione è spinosa, un’altra bella opportunità si sta sprecando nel nome delle speculazioni permesse dalla legge e incentivate con i soldi pubblici, i nostri.

In due anni gli impianti si sono triplicati, e supereranno i mille a fine 2012. Sfruttano liquami e sottoprodotti agricoli, o anche prodotti appositamente coltivati, come il mais. Sono per lo più grandi, i più insostenibili, fatti per vendere energia. È in atto una vera e propria corsa al biogas agricolo, giustificata dall’inseguimento dei cosiddetti “certificati verdi”. Chi produce energia elettrica avrà diritto, se il suo impianto sarà messo a cantiere entro la fine del 2012 (nel 2013 si cambierà un poco), a vedersi riconosciuto un prezzo di 0,28 centesimi al kilowatt contro gli 0,07 del prezzo di mercato. Così i cittadini pagano due volte l’elettricità. Un impianto da 1 megawatt (il massimo ammissibile per ottenere i certificati verdi) è un investimento di circa 4 milioni di euro ammortizzabile in 3 o 4 anni, che poi darà una rendita netta di un milione di euro all’anno. Allettante per chi fa sempre più fatica a guadagnare con l’agricoltura o l’allevamento. Il nuovo decreto sulle rinnovabili, in vigore dal 2013, prevede tagli degli incentivi alle forme di energia “verde” per «allinearli a quelli europei», ma in realtà per il biogas non saranno consistenti, restando su una soglia variabile ma sempre molto conveniente. C’è dunque da presumere che la corsa non si fermerà dopo il 2012.

Chi viaggia attraverso Piemonte, Lombardia ed Emilia probabilmente avrà già visto a margine di alcuni campi due grandi cupole affiancate, spesso colorate di verde. Sono i “digestori” degli impianti, in cui s’immettono le biomasse (liquami zootecnici, letame, sfalci agricoli, scarti di produzione, ma anche insilati e coltivazioni) affinché siano trasformate dai batteri. Questi rilasciano metano, il quale serve a generare energia elettrica con un motore (che produce anche calore), e intanto avanzano un “digestato” che può essere utilizzato come ammendante o concime nei campi. In teoria il ciclo è perfetto: si usano scarti per produrre energia che può servire all’azienda stessa ed essere venduta se in eccedenza. E ciò che avanza si può ancora utilizzare. Sarebbe ottimo se l’impianto fosse piccolo, confinato all’interno del ciclo produttivo aziendale, ma visti i prezzi che spunta l’energia è diventato molto conveniente fare impianti grandi, da parte di consorzi (non sempre riconducibili ad agricoltori), che hanno lo scopo principale di speculare sulla sua produzione.

Per le singole aziende sarebbero sufficienti impianti da 20 o 50 kw ma gli impianti più grandi, dai 250 kw in su, si stanno diffondendo a macchia d’olio, non più soltanto al Nord. Le procedure per l’autorizzazione sono semplificate, seguono un iter molto veloce che i cittadini apprendono quando è già stato approvato dalla conferenza dei servizi. Non gli rimane poi tanto tempo per far valere le proprie ragioni. Ma perché opporsi?

L’assenza di norme più definite e restrittive e la discrezionalità delle Regioni non abbastanza sfruttata, fanno sì che si autorizzino impianti a fini speculativi, costruiti troppo vicini alle abitazioni o in siti sbagliati, che pongono seri problemi di sostenibilità e mettono in discussione la buona produzione agricola.

Gli impianti sono rumorosi, maleodoranti e alcuni studi cominciano ad evidenziare come non siano privi di emissioni nocive. Averli a pochi metri da casa può diventare un incubo. Poi c’è il problema della sostenibilità: questi grandi impianti incentivano i trasporti di “materia prima” da digerire con relative emissioni e traffico. C’è un forte impatto sul paesaggio e sul consumo di suolo agricolo per quanto ne occupa l’impianto stesso, ma più di tutto perché il problema di dover produrre energia per venderla e ammortizzare i costi di costruzione induce gli agricoltori a coltivare cibo per metterlo direttamente nei digestori. Questa forse è la cosa più grave di tutte. I grandi impianti prevedono un utilizzo di un 75% di liquami e di un 25% di materia solida per funzionare in maniera accettabile, per fare soldi. Il mais rende tantissimo come solido e la tentazione di sforare la quota del 25% è forte: già oggi ci sono impianti che consumano in prevalenza mais. È sbagliato da un punto di vista etico, ma anche ecologico. Un mais che non si mangia può ricorrere a un uso dissennato di chimica, fertilizzanti e antiparassitari, inquina e mina la fertilità, consuma uno sproposito d’acqua. Per 1 megawatt si devono sacrificare almeno 300 ettari. Non è difficile immaginare che così si finirà con il compromettere l’agricoltura, non  solo di qualità.

E stanno venendo fuori nuovi problemi. Pare che in Germania, leader in Europa per il biogas, affiorino delle perplessità. C’è anche chi ha ipotizzato che le contaminazioni da e.coli che hanno paralizzato il mercato dell’ortofrutta continentale l’anno scorso fossero state causate dalla diffusione di digestati da biogas non proprio “puliti”. Se gli scarti non rimangono nelle aziende e cominciano a viaggiare, controllarli diventa molto difficile. Per ora nessuno ha smentito queste tesi, ma basti dire che la Svezia, altro Paese all’avanguardia da anni, obbliga a pastorizzare i liquami in ingresso e i concimi in uscita dalle aziende per evitare contaminazioni. Forse non è nemmeno un caso che la Regione Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano. È un pericolo che andrà approfondito, ma non osiamo pensare cosa potrebbe succedere se s’inizieranno – come alcuni detrattori prevedono – a utilizzare senza controlli i rifiuti urbani umidi.

Oggi in Italia ci sono tantissimi comitati locali che si oppongono al biogas, o almeno lo chiedono fatto in maniera ragionata. Un fenomeno importante: si stanno riunendo in coordinamenti regionali e ne sta nascendo anche uno nazionale. Pretendono nuove regole, certe e più restrittive; incentivi soltanto laddove il biogas rappresenta una vera energia pulita che utilizza scarti veri (non cibo o rifiuti urbani); lo vogliono lontano dalle zone residenziali e fatto senza compromettere un’agricoltura che, occorre ricordarlo, prima di tutto serve a vendere cibo e non energia.

Di Carlo Petrini, da La Repubblica del 9 maggio 2012

Monfalcone / Traffico di rifiuti alla centrale A2a?

da Il Piccolo del 8 novembre 2011

 

Monfalcone, 50mila tonnellate di rifiuti smaltite illegalmente

Otto persone in manette. Sono accusate di truffa e traffico illecito di rifiuti nell’ambito della gestione dell’impianto termoelettrico di Monfalcone

 

Otto persone, tra cui gli imprenditori titolari di due società che operano nel settore dei rifiuti (la Friul pellet di Capriva del Friuli e la Comagri di Treviglio-Bergamo), sono state arrestate oggi dai carabinieri del nucleo operativo ecologico di Udine in quanto accusati di far parte di un duplice gruppo criminale dedito alla truffa e al traffico illecito di rifiuti nell’ambito della gestione dell’impianto termoelettrico di Monfalcone, in provincia di Gorizia. Sono state 50.000 le tonnellate di rifiuti di biomasse (sansa di olive esausta e segatura), in alcuni casi anche pericolose, prive delle caratteristiche chimico-fisiche necessarie alla combustione, smaltite nell’ impianto termoelettrico.
Oltre ai due imprenditori, in manette sono finiti il titolare del laboratorio di analisi Tiss di Trieste, un collaboratore esterno dello stesso laboratorio, un dipendente quadro della A2a (la società milanese che gestisce l’impianto di Monfalcone), altri due dipendenti della società Tecnim srl che lavoravano nell’impianto di Monfalcone.
Le otto ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip del tribunale di Trieste Guido Patriarchi, su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Trieste.
L’indagine, che ha preso avvio nel marzo 2011 e si è conclusa nell’ottobre 2011, ha coinvolto in totale 14 persone. Nel corso dell’operazione sono state anche sequestrati ingenti quantitativi di rifiuti presso le società coinvolte nell’attività illecita.

 

 

da bora.la 8 novembre 2011

Truffa ai danni della centrale di Monfalcone: smaltite tonnellate di rifiuti illeciti

Cinquantamila tonnellate di rifiuti di biomasse, in alcuni casi pericolose e comunque prive di peculiarità indispensabili alla combustione, sono state smaltite nella centrale termoelettrica di Monfalcone. Il dato emerge dall’indagine dei carabinieri per la Tutela dell’Ambiente che hanno arrestato otto persone per truffa ai danni della A2A di Milano.

Secondo i carabinieri l’affare era gestito dai dipendenti della società milanese che hanno incassato illecitamente milioni di euro e che avrebbero omesso dei controlli per permettere lo smaltimento illecito dei rifiuti.

 

 

da Carta est-nord 9 novembre 2011

Monfalcone: la truffa dei rifiuti e il futuro della centrale

Quello che sta emergendo [vedi qui] dall’indagine sulla truffa relativa alla centrale termoelettrica di Monfalcone è molto preoccupante, sia dal punto di vista del possibile danno all’ambiente e alla salute della popolazione, sia in relazione al meccanismo del traffico di rifiuti.

Da sempre questo reato compare tra i primi posti nei periodici dossier sulle ecomafie di Legambiente fra i reati ambientali.  Pur non conoscendone nel dettaglio i contorni, questa vicenda va portata a termine con la massima trasparenza, individuando non solo le responsabilità, ma anche mettendo in discussione il futuro assetto produttivo dell’impianto.

A2A infatti, oltre alla dismissione delle due sezioni ad olio combustibile, ha ipotizzato di continuare ad investire sul carbone, sostituendo i due gruppi attuali con uno ad alta efficienza.

Può essere maturo invece rivedere questa ipotesi, con la dismissione totale del carbone e la contemporanea realizzazione di un impianto alimentato con gas naturale ed una rete di teleriscaldamento che potrebbe sfruttare il canale De Dottori che attraversa l’intera città, quale sede naturale per collocare le tubazioni e raggiungere utenze significative come ad esempio l’ospedale di S. Polo.

 

 

da Il Piccolo del 10 novembre 2011

«Continueremo a investire per la sicurezza»

Monfalcone: dietro la truffa della centrale un accordo segreto

da Il Piccolo del 11 novembre 2011

Il rione: «Diteci cosa si respira in città»

 

da Il Piccolo del 12 novembre 2011

A2a: «Una sola mela marcia in centrale»

 

da Il Piccolo del 30 novembre 2011

Truffa ad A2A, in libertà quattro imputati

Scarcerati i due analisti di San Dorligo

ENERGIA/ The Biofuel delusion

Mario Giampietro, Kozo Mayumi,
“The Biofuel Delusion: The Fallacy of Large Scale Agro-Biofuel Production”
Earthscan Publications Ltd. | 2009-09 | ISBN: 1844076814 | 337 pages | PDF | 4,1 MB

biofuel

 

Faced with the twin threats of peak oil and climate change, many governments have turned for an answer to the apparent panacea of biofuels. Yet, increasingly, the progressive implementation of this solution demonstrates that the promise of biofuels as a replacement to fossil fuels is in fact a mirage that, if followed, risks leaving us short of power, short of food, destroying biodiversity and doing as much damage to the climate as ever. Worse still, these risks are being ignored.

Di fronte alle minacce gemelle del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici, molti governi hanno svoltato  per una risposta dalla apparente panacea dei biocarburanti. Eppure, sempre più, la progressiva attuazione di questa soluzione dimostra che la promessa dei biocarburanti in sostituzione ai combustibili fossili è in realtà un miraggio che, se seguita, rischia di lasciarci a corto di energia, a corto di cibo, distruggendo la biodiversità e facendo al clima, più danni di sempre. Peggio ancora, questi rischi sono stati ignorati.

In this definitive exposé, Mario Giampietro and Kozo Mayumi present exhaustive evidence for the case against large scale biofuel production from agricultural crops. The book begins by showing that the characteristics of agro-biofuels make them neither a viable nor a desirable alternative to fossil fuels. It then moves on to discuss a possibly more worrying issue. Even though agro-biofuels are well known, in the field of energy analysis, to be very low quality “energy sources”, the biofuel bandwagon rolls on relentlessly in Western governments. This apparent mystery can be explained by a lack of sound scientific analysis going beyond a simplistic economic reading, a (fatal) political attraction to the idea of biofuels as a ‘silver bullet’, and the continuing allure of a buoyed agricultural industry. In sum, this book will be vital, sobering reading for anyone concerned with energy or agricultural policy, or bioenergy as a complex system.

In questa esposizione definitiva, Mario Giampietro e Kozo Mayumi presentano esaustive evidenze del caso contro la produzione di biocarburanti da colture agricole di scala. Il libro inizia mostrando che le caratteristiche del settore agro-biocarburanti non lo fanno né una praticabile né una desiderabile alternativa ai combustibili fossili. Si passa poi a discutere di una questione forse più preoccupante. Anche se gli agro-biocarburanti sono ben conosciuti, in materia di analisi energetica,  come una “fonti di energia” di bassissima qualità, il carrozzone dei biocarburanti avanza inesorabilmente nei governi occidentali. Questo  apparente mistero può essere spiegato dalla mancanza di solide analisi scientifiche che vadano oltre una  semplicistica lettura economica, una (fatale) attrazione politica per l’idea dei biocarburanti come  ‘miracolosa, e la continua illusione di una sostenuta industria agricola. In sintesi, questo libro sarà di vitale importanza, una lettura che farà pensare chiunque si occupi di energia o di politica agricola, o di  bioenergia come un sistema complesso.