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TRIESTE: la guerra del comune contro i suonatori di strada

Piccolo del 19/10/10

Concertino di protesta in via delle Torri

 

Dapprima un paio di timidi e dolci flauti, poi un tamburello, un contrabbasso, un fischietto. Alla fine è stata un’orchestra, improvvisata finché si vuole, ma numerosa, sorridente, soprattutto grintosa, che non ne vuole sapere di sottoporsi all’ordinanza con la quale il sindaco, Roberto Dipiazza, vorrebbe cancellare dal centro cittadino “suonatori ambulanti, cantanti, cantastorie e similari”, come recita il testo del provvedimento. Nata sul tam tam di internet, col passa parola, stimolato dalla nuova associazione Arci di Andrea Neami, ma capace di travalicare subito i confini di uno schema per diventare “spontanea, coinvolgente, libera”, la manifestazione che si è svolta ieri nel tardo pomeriggio, in via delle Torri, ha ottenuto l’effetto opposto a quello che auspicava il sindaco. La curiosità per una musica inedita e non annunciata ha spinto molti dei passanti a fermarsi, per informarsi, capire, valutare e, in molti casi, ad appoggiare la protesta, firmando la petizione «con la quale – hanno spiegato gli organizzatori dell’incontro – chiederemo a Dipiazza di ritirare l’ordinanza». E per confermare che sono decisi ad andare avanti, i musicisti di ieri hanno già fissato il prossimo appuntamento: sabato alle 18 in piazza Cavana, dove è probabile che la cinquantina di manifestanti di ieri si moltiplichino. Il più esplicito ieri è stato Fabio Zoratti, triestino, che si definisce un «quasi diplomato in fisarmonica». Rinunciando per qualche istante a soffiare nel flauto, ha spiegato così le ragioni del gruppo: «Siamo musicisti di vario tipo, alcuni diplomati, altri no, ma tutti sinceramente appassionati di musica, un’arte che ci piace vedere come elemento di contatto con la gente – ha detto – per questo andiamo per le strade, ma con dignità. Certo – ha aggiunto – abbiamo il cappello in mano, perché la musica ci serve per vivere. In qualche caso si riesce a tirar su una cinquantina di euro al giorno». I vigili urbani, intervenuti sul posto, sono rimasti a debita distanza, limitandosi a osservare. Del resto, quando l’orchestra ha intonato “Besame mucho”, l’imporre il “buonanotte ai suonatori” non sarebbe stato capito. Ugo Salvini

 

Comune, parte la caccia ai musicisti di strada

 

di GABRIELLA ZIANI Vietato suonare in strada perché ne va di mezzo il decoro. Specie poi se uno suona male. E se i suonatori sono troppi, attirati dai tavolini di bar e ristoranti. Che ormai in verità sono più sulla pubblica via che tra quattro pareti. Dopo le panchine segate da un assessore per dissuadere i senzatetto, e le multe tremende per la pipì del cane, il Comune allontana i musici molesti. Ci sono fisarmoniche «che sembrano pneumatici», spiega l’assessore alla Vigilanza, Enrico Sbriglia, strimpellatori stonati che perseguitano i cittadini per spillare soldi. Ci sono «comportamenti che possono causare scadimento della qualità della vita e del decoro urbano», recita l’ordinanza che fa piazza pulita di violinisti improvvisati, chitarristi senza diploma e col cappello in mano. E che promette («prima che a qualche tavolo si arrivi a usare il coltello della pizza per azioni violente» dice Sbriglia) uno sgombero di legge per «mestieri di strada di suonatore ambulante, cantante, cantastorie e similari». Interdetti Canal grande, piazza Saant’Antonio e viale XX Settembre fino al Politeama Rossetti, via San Lazzaro tra le vie delle Torri e Mazzini incluse, via Dante, Corso Italia, piazza della Repubblica, via del Teatro Romano e del Forno, in Cavana (via e piazza), nelle piazze Hortis e Venezia e in via Torino, e sulle Rive. L’ordinanza è entrata in vigore il 15 ottobre, i primi sgomberi sono avvenuti ieri, ma senza scrittura di alcun verbale. La protesta è andata in scena subito dopo. Chi ieri ha organizzato il raduno orchestrale in via delle Torri reagisce malamente: «L’idea che siano gli artisti di strada a compromettere la qualità della vita nella città, e non speculatori e inquinatori vari, il proliferare di gazebo, ingorghi del traffico e bancarelle, che la sicurezza dei cittadini sia minacciata da uno strumento musicale e non dalla desertificazione degli spazi urbani provoca ripugnanza e rabbia verso questo provvedimento». Sbriglia dice che in Comune sono arrivate moltissime lamentele di persone «disturbate da suoni molesti, chi ha competenze musicali viene a chiedere il permesso per suonare in strada, e lo ottiene, e invece siamo bersagliati da pseudo-suonatori, da queste fisarmoniche che sembrano copertoni d’auto, costoro dopo aver maltrattato la tastiera non si schiodano dai tavolini senza aver intascato i soldi». Invece adesso al primo sgarro sono allontanati, al secondo avranno il sequestro dello strumento, al terzo una multa di 100 euro. I musicanti improvvisati potranno dirottarsi sulle zone senza ristoranti, nelle periferie dove l’ordinanza non arriva (ma se il fastidio si estende, arriverà). L’esercente al quale tuttavia «non dà fastidio la mazurca stonata – sottolinea l’assessore – semplicemente non chiamerà la polizia municipale, l’ordinanza serve per le zone e per le situazioni indicate, e anzi nessuno chiami in maniera impropria perché i vigili sono pochi e i problemi tanti». Il provvedimento è stato esteso proprio ieri anche ai raccoglitori di firme ai banchetti, 500 euro di multa nel caso si verifichi che «dietro quella richiesta di firma contro la droga si nascondono interessi diversi ed è un raggiro». E verrà presto allargato (l’ordinanza è approvata) ai giovani extracomunitari che vendono cose per strada: «Irragionevole vedere dei marcantoni che vendono libri illeggibili per via, perché non vanno a lavorare, a un’agenzia interinale, o alla Caritas?»

 

TRIESTE: si riapre il caso di Riccardo Rasman

da Il piccolo

 

NUOVI REPERTI DEPOSITATI DALLA FAMIGLIA DEL MORTO IN VISTA DEL PROCESSO D’APPELLO

Per l’intervento ”sbagliato” a Borgo San Sergio, condannati tre poliziotti a sei mesi con la condizionale

Caso Rasman, spunta il manico di un’ascia

di CLAUDIO ERNÈ

 

Un manico d’ascia e un filo di ferro sporchi di sangue.

Questi due tragici reperti potrebbero consentire ai giudici della Corte d’appello di appello di fare definitiva chiarezza sulla morte di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni stroncato nel suo monolocale di via Grego 38 nel corso di un intervento «sbagliato» della polizia. Era il 27 ottobre 2006 e nel processo di primo grado il giudice Enzo Truncellito ha condannato a sei mesi di carcere con la condizionale nel maggio del 2009 il capopattuglia Mauro Miraz e i suoi colleghi Maurizio Mis e Giuseppe De Biase. Assolta la poliziotta Francesca Gatti. Ora si apre il processo di secondo grado e la famiglia Rasman intende dare battaglia.

Gli avvocati Claudio De Filippi e Giovanni Di Lullo hanno depositato ieri nella cancelleria della Corte d’appello la richiesta di disporre una perizia sul manico dell’ascia sporco di sangue per individuare eventuali impronte digitali. Lo scopo è quello di capire chi ha usato quel bastone. Rasman o i poliziotti?

Anche il filo di ferro continua a suscitare molti interrogativi. Il giovane che pesava 120 chili ed era alto un metro e 85, dopo aver ingaggiato una colluttazione con i poliziotti era stato ammanettato con le mani dietro la schiena e «gli agenti con l’ausilio dei Vigili del fuoco, avevano provveduto a legargli anche le caviglie con un filo di ferro». Successivamente Rasman era stato fatto stendere con la pancia a terra, in posizione prona. In tre gli erano saliti alternativamente sulla schiena per tenerlo fermo col loro peso. Rasman aveva iniziato a rantolare, tanto che le ultime fasi della sua vita erano state sentite distintamente da una vicina di casa.

Quando erano intervenuti gli uomini del «118» era troppo tardi. Il giovane non respirava più ed era cianotico. «Asfissia posizionale» l’ha definita nella perizia il medico legale Fulvio Costantinides. Fin qui, purtroppo, tutto è stato chiarito dalla sentenza di primo grado peraltro non appellata dalla Procura ma solo dai familiari del giovane deceduto. Al contrario non si sa nulla di chi abbia usato il manico d’ascia, trovato dai genitori della vittima sporco di sangue all’interno del monolocale. Nessuno aveva ritenuto di sottoporlo a perizia e i genitori al momento della restituzione dell’alloggio lo avevano trovato a terra.

Secondo gli avvocati della famiglia va approfondito quanto è accaduto nelle prime fasi della colluttazione. L’autopsia ha rivelato infatti che la vittima ha riportato molteplici lesioni in tutte le parti del corpo. Al contrario, i quattro agenti che avevano fatto irruzione nel monolocale, secondo gli avvocati, «non avevano riportato alcun tipo di lesione, nè ecchimosi, nè lacerazioni della divisa d’ordinanza. Si deve, preliminarmente osservare – scrive Claudio De Filippi – che il traumatismo cranico, nonostante non abbia prodotto delle lesioni interne significative, dall’altra doveva essere stato reiterato con particolare consistenza e violenza».

I legali ipotizzano che gli agenti potrebbero aver usato mezzi di offesa in maniera indiscriminata, anche verso parti del corpo delicate come il viso dove sono state rilevate nell’autopsia diverse ferite lacero contuse. Viene citato a questo proposito proprio il manico dell’ascia «rinvenuto sul luogo o il piede di porco usato dai vigili del fuoco per forzare la porta d’ingresso del monolocale». Da lì Riccardo Rasman, assistito dal Centro di salute mentale di Domio, aveva lanciato in strada alcuni petardi in libera vendita e gli scoppi avevano innescato l’intervento della polizia.

 

MONFALCONE / Indagini poco ortodosse carabinieri a giudizio

Il Piccolo, 15 luglio 2010

Indagini poco ortodosse, tre carabinieri a giudizio 
Nel mirino varie operazioni anti-droga. A processo anche il maresciallo Monagheddu

di LAURA BORSANI

Sette rinvii a giudizio e tre condanne: è questo il pronunciamento del Giudice per le indagini preliminari Paola Santangelo del Tribunale di Gorizia in relazione all’inchiesta legata a metodi di indagine adottati in alcune operazioni anti-droga, e ritenuti ”poco ortodossi”, dai carabinieri del Nucleo operativo radiomobile. L’inchiesta nell’aprile dello scorso anno aveva quasi ”decapitato” il vertice della Compagnia di Monfalcone. Il rinvio a giudizio riguarda il comandante del Norm, maresciallo Domenico Monagheddu, attualmente sospeso dal servizio, e i suoi sottoposti Nicola Di Tria e Giuliano Giacobbi. Andranno a dibattimento anche quattro ”collaboratori” dei carabinieri, orbitanti nel mondo della droga, Mara Zambon, 37 anni nata a Monfalcone e residente a Turriaco, Ivano Tiburzi, 32, residente a Grado, e Roberto Paronitti, 29, di Monfalcone. A processo, inoltre, l’avvocato Alessandro Ceresi, in relazione ad un presunto episodio di favoreggiamento.
È stato invece condannato, con rito abbreviato, il 22enne operaio Bruno Esposito, il principale accusatore del maresciallo del Norm: la pena è di 2 anni e 9 mesi, oltre a 14mila euro di multa. Dieci mesi con la condizionale per la moglie Corrada Rossitto, 20 anni, incensurata. Il Gup ha altresì concesso a entrambi le attenuanti generiche escludendo, nei confronti di Esposito, l’aggravante della ”recidiva infraquinquennale”: il 22enne, infatti, è in carcere a Gorizia in relazione alla rapina ai danni del tassista monfalconese Daniele Pilutti. Ha infine patteggiato, martedì, Nadia Khribech, 43 anni, residente a Monfalcone: la pena è di due anni.
Sette imputati, dunque, all’avvio del processo che il giudice ha fissato per il 17 febbraio 2011. Rinvii a giudizio, ma anche capi di imputazione archiviati. Sei nei confronti del maresciallo Monagheddu, per i quali il Gup ha dichiarato il «non luogo a procedere». Dei 44 capi di accusa originari, si è scesi ai 28 attuali a carico del comandante del Norm, considerando il proscioglimento da una decina di ”accuse” già richieste dal Pubblico ministero. Restano le ipotesi di accusa per minacce e istigazione a commettere reato, calunnia, falso ideologico, e le accuse in ordine all’acquisto, vendita e cessione di stupefacenti, in relazione agli scambi di droga simulati da parte del maresciallo e dei suoi uomini del Norm, avvalendosi dell’intervento dei ”collaboratori”. Sostanzialmente, si tratta delle accuse espresse proprio da Bruno Esposito, oltre a quelle di Mara Zambon e di Claudio Boscarol. I carabinieri Nicola Di Tria e Giuliano Giacobbi sono stati invece prosciolti dal reato di minacce per non aver commesso il fatto.
Commenti chiaramente opposti, dai legali difensori dei due principali ”protagonisti” di questo procedimento, il capo del Norm e il suo principale accusatore.
«Dei 44 capi di imputazione originari, siamo scesi ai 28 attuali – ha dichiarato l’avvocato Gianni Morrone, che difende Monagheddu -. Sono di fatto rimaste in piedi accuse che è doveroso affrontare in sede dibattimentale, proprio al fine di dimostrarne l’infondatezza, ma anche di comprovare la stessa credibilità del mio assistito. Sono, comunque reati apparentemente numerosi poichè consequenzialmente collegati, ma sono relativi in realtà ad un unico episodio».
L’avvocato Ottavio Romano, che tutela Esposito e la moglie Rossitto, ha invece osservato: «Il giudice ha ritenuto credibili le dichiarazioni dei miei assistiti, l’impianto accusatorio è pertanto confermato in pieno. Accogliendo le attenuanti generiche e respingendo l’aggravante della ”recidiva” per Esposito, ha inoltre riconosciuto che la collaborazione dimostrata è stata importante e meritevole». Il legale che per i suoi assistiti aveva richiesto il proscioglimento preannuncia ricorso in Appello: «Intendo insistere sul fatto che i miei assistiti hanno agito indotti dallo stato di necessità legato alle minacce ricevute».

OMICIDIO RASMAN: confermate le condanne ai poliziotti

Il Piccolo

 

GIOVEDÌ, 01 LUGLIO 2010

SEI MESI A TESTA COME IN PRIMO GRADO PER OMICIDIO COLPOSO

LA STORIA

I poliziotti erano intervenuti perché il disabile lanciava alcuni petardi dal terrazzo

Avevano tenuto premuto a terra il giovane provocandone l’asfissia

Caso Rasman, pene confermate per i 3 agenti

di CLAUDIO ERNÈ

 

Hanno sbagliato e la loro azione ha provocato la morte di Riccardo Rasman.

La Corte d’appello ha confermato ieri la responsabilità di Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biase nel decesso del giovane handicappato stroncato da un collasso cardiocircolatorio nel suo monolocale di via Grego. I giudici hanno ribadito al termine di una camera di consiglio protrattasi per un paio d’ore, la condanna a sei mesi di carcere con la condizionale inflitta ai tre agenti di polizia dal giudice di primo grado. E’ stata ribadita anche l’assoluzione, com’era accaduto nel gennaio del 2009, del quarto agente di polizia che era entrato di slancio nel monolocale di via Grego. Si chiama Francesca Gatti e Giovanni Di Lullo, legale della famiglia Rasman, riteneva dovesse almeno versare una quota del risarcimento. La Corte d’appello ha detto «no» esattamente a questa richiesta, come ha detto «no» al proscioglimento degli altri tre agenti sostenuto dal loro difensore, l’avvocato Paolo Pacileo. «E’ inevitabile il ricorso in Cassazione» ha confermato l’avvocato che anche ieri ha affermato che i poliziotti – imputati di omicidio colposo hanno agito rispettando i manuali di intervento e quanto è stato loro insegnato durante l’addestramento. Secondo il difensore si è trattato di una terribile disgrazia, del tutto imprevedibile.

Era il 27 ottobre 2006 e i quattro agenti assieme a due pompieri erano entrati di slancio nell’alloggio dopo aver tentato invano per una ventina di minuti di farsi aprire la porta. Dal terrazzo del monolocale di Riccardo Rasman, secondo l’allarmata indicazione dei vicini, erano stati lanciati pericolosamente in strada alcuni petardi. Da qui la richiesta di intervento, l’arrivo di due pattuglie della volante e dei vigili del fuoco.

«Per più di 20 minuti ho cercato di farmi aprire la porta. Ho parlato con Riccardo Rasman, ho trattato con lui» ha spiegato ieri in una pausa del processo Mauro Miraz. Era il capopattuglia e non ha disertato nemmeno un’udienza. Nè in primo grado, nè in appello. E’ stato guardato di sottecchi, ha sopportato atteggiamenti tutt’altro che amichevoli e frasi sibilate tra i denti il cui significato anche se poco percepibile, era chiarissimo.

«La porta dell’alloggio è stata aperta dai pompieri. Io sono entrato per primo con le mani alzate. Mi seguiva Francesca Gatti, una ragazza piccolina. Se avessimo voluto fare una irruzione vera e propria, non l’avrei mai schierata in quel ruolo quasi di punta. In precedenza Riccardo Rasman aveva profferito astruse minacce di morte. Speravo si fosse calmato. Invece si è avventato contro di noi con grande violenza e ne è scaturita una mischia a cui hanno partecipato anche due pompieri. Siamo riusciti a fatica ad ammanettarlo con i polsi dietro la schiena, mentre i vigili del fuoco gli hanno bloccato le caviglie con del filo di ferro».

Fin qui il racconto del capopattuglia che il giudice di primo grado ha ritenuto del tutto legittimo. Il tragico errore viene compiuto dai tre agenti quando Riccardo Rasman è già disteso a terra bloccata dalle manette e dal filo di ferro. «Si deve contestare ai poliziotti – si legge nella sentenza di primo grado -il comportamento tenuto quando Rasman era stato messo nelle condizioni di non nuocere. La colpa dei tre consiste nell’aver protratto la contenzione al suolo, esercitando per tanto tempo una pressione che si è rivelata fatale. Questo comportamento non è imposto e tantomeno previsto da alcuna norma, regolamento o manuale di addestramento delle forze di polizia. Ciò che è accaduto è inutile e ingiustificato».

Nella sentenza di primo grado il giudice Enzo Truncellito aveva scritto anche che «di fronte a un giovane che aveva compiuto uno sforzo enorme lottando come un leone e che dimostrava di essere in fortissimo debito di ossigeno, respirando con affanno, una qualunque persona – e per maggiore ragione dei poliziotti – doveva prevedere che tenere premuto il corpo a terra per diversi minuti, avrebbe significato comprometterne la respirazione e la vita».

 

TRIESTE: contestazione in comune contro i vigili armati

Da Il  piccolo del 20/04/10

 

Caos in Consiglio tra finti cow-boy e centri sociali

Maggioranza ”frastagliata” ma con i numeri per farcela. Manifestanti messi alla porta dalla Municipale

di MADDALENA REBECCA

 

 

Consiglieri entrati in aula con cappello da cow-boy e cinturone bene in vista. Ex assessori con il collo orgogliosamente fasciato da fazzoletti verde Padania. Capigruppo che, per zittire la protesta dei no-global partita in piazza Unità e terminata in aula, mimano con le mani il gesto delle manette e invitano uno dei manifestanti (il ricercatore Luca Tornatore) a “tornare in carcere in Danimarca”.

Ci si aspettava una discussione accesa ieri sera in Consiglio comunale. È andata in scena invece un’autentica bagarre. E non avrebbe potuto essere diversamente vista la delicatezza della posta in gioco: il disco verde (arrivato a notte inoltrata) all’armamento di 75 agenti della polizia municipale. Agenti che, stabilisce la delibera firmata dall’assessore alla Vigilanza Sbriglia e approvata con i voti del centrodestra, d’ora in poi gireranno con la pistola quando impegnati nei “servizi di vigilanza, protezione agli immobili di proprietà dell’ente locale e dell’armeria del Corpo, quelli notturni e di pronto intervento”.

Una necessità non più rinviabile per la maggioranza – Carroccio in testa -, secondo la quale l’arma offrirà garanzie tanto ai vigili chiamati ad affrontare sempre più di frequente situazioni a rischio, quanto i cittadini desiderosi di uscire la sera senza timori. Una “follia ideologica” invece a detta del centrosinistra che, senza andare troppo per il sottile, ha accusato lo schieramento opposto di fomentare l’insicurezza e di nascondere i dati reali che danno la criminalità a Trieste in costante calo.

Uno scambio di battute tutt’altro che tenero avvenuto sotto lo sguardo attento dei diretti interessati – il comandante della Municipale Abbate, componenti del Corpo e sindacati della polizia locale -, e di una ventina di agguerriti esponenti della galassia no-global. Gli stessi che, dopo aver applaudito irritualmente l’intervento in cui il Verde Racovelli definiva la questione armamento come un pegno pagato dal Pdl alla Lega Nord, hanno urlato tutto il loro dissenso. “Vergogna, le vostre pistole faranno solo aumentare il numero di incidenti – è stato l’attacco rivolto verso i banchi del centrodestra -. Ne riparleremo dopo il primo morto che cadrà sotto il fuoco aperto da un vigile”.

Un intervento rumoroso per nulla gradito da Pdl e Lega. “Fuori subito, fuori da quest’aula – ha tuonato Angela Brandi. “Tornatene in Danimarca – ha rincarato la dose Piero Camber rivolgendosi a Luca Tornatore (finito in carcere alcuni mesi fa dopo gli scontri seguiti ad un summit internazionale ndr), e incrociando verso di lui i polsi a mo’ di manette. Uno scontro verbale che avrebbe probabilmente assunto toni ancora più violenti se non fosse arrivato l’intervento di Municipale e Digos, pronti nel mettere alla porta i manifestanti, usciti al grido di “ci allontanate così? Se questa è la reazione senza armi, figuriamoci cosa succederà dopo”.

Ma la contestazione dei no-global non è stata l’unica mossa fuori programma andata in scena ieri sera. Ben prima del loro intervento, infatti, a suscitare critiche feroci era stato il look poco “consigliare” sfoggiato per l’occasione dall’esponente di Rifondazione Iztok Furlanic: cappellone da cow-boy e arma giocattolo inserita nel cinturone bene in vista attorno alla vita. Un modo per entrare nel clima “pistolero” della seduta di ieri che ha divertito alcuni, anche nel centrodestra, e irritato altri. Se infatti l’assessore Giorgio Rossi, trovando evidentemente simpatica la trovata, si è fatto addirittua scattare la foto ricordo con il “rifondarolo western”, Piero Camber l’ha pesantemente redarguito: “Cosa sono queste pagliacciate! Dov’è il rispetto dell’aula?”. Una lieve frattura ricomposta grazie all’intervento del capogruppo Ferrara. Ironia della sorte, infatti, il consigliere accusato ieri di essere il più “guerrafondaio” di tutti, ha finito per fare da paciere. Naturalmente con il fazzoletto verde Padania in bella vista attorno al collo.

MONFALCONE/ Un anno dopo “Operazione Blu” nuova operazione pedagogico-terroristica

Il Piccolo, 07 febbraio 2010

BLITZ NOTTURNO DEI CARABINIERI IN DECINE DI ABITAZIONI
Presi in casa e portati ai test anti-droga  
Minorenni accompagnati dai genitori. Sei denunciati per cessione, 21 segnalati per consumo
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