Entries Tagged 'Ultime' ↓

Sul movimento dei forconi in Sicilia

In questi giorni si sta parlando molto del movimento dei forconi siciliano che sta bloccando l’isola.

Riportiamo i link a due contributi da parte di compagni anarchici siciliani.

Il primo è un’intervista di Radio Blackout di Torino ad un anarchico di Ragusa:

http://radioblackout.org/2012/01/protesta-dei-forconi-luci-ed-ombre-di-un-movimento-popolare/

 

il secondo è un contributo della Redazione del giornale anarchico Sicilia Libertaria:

http://www.sicilialibertaria.it/2012/01/18/sul-movimento-dei-forconi-e-la-rivolta-popolare-in-sicilia/

Sul movimento dei forconi e la rivolta popolare in Sicilia

 

Mentre scriviamo è in atto in tutta la Sicilia la protesta organizzata da Movimento dei forconi, Aias ed altre associazioni minori che si sono man mano aggregate. Si tratta di una realtà eterogenea, le cui potenzialità erano note, ma la cui portata sociale si potrà cominciare a verificare a partire da questa settimana. Di fatto, dopo la protesta degli anni ottanta degli “abusivi per necessità”, non si erano più verificati movimenti così diffusi e radicali, in grado di intercettare il crescente malcontento e di dare delle risposte alla crescente voglia di protagonismo, da anni repressa nei meccanismi del clientelismo e della delega.

Un movimento di tal fatta non poteva non destare l’attenzione di chiunque abbia interesse a creare un clima di “rivolta” per pescare nel torbido, o da parte di chi sente sia giunto il momento di portare allo scoperto le proprie rivendicazioni corporative. E’ così che la destra, da tempo attenta agli sviluppi di questo movimento, ne canta le lodi, e dove può, partecipa in maniera anonima con i suoi militanti ai blocchi stradali; è il caso di Forza Nuova e di altre sigle della galassia neofascista; è il caso dell’arcipelago indipendentista. E’ anche il caso di Zamparini, l’industriale presidente del Palermo calcio, e del suo Movimento per la gente, costituito per lottare contro Equitalia. Quest’ultimo pare abbia anche fornito risorse economiche al Movimento, ovvero a “Forza d’Urto”, la sigla unificante sotto cui si svolgono le manifestazioni di questi giorni.

La sinistra, anche quella rivoluzionaria, aristocraticamente, ha osservato da lontano e con fastidio quanto andava nascendo in mezzo a categorie – contadine in particolare – sprofondate in una profondissima crisi, andando a cercare i peli nell’uovo. Eppure di occasioni in questi mesi ve ne sono state per incontrare i “forconi”, ad esempio nel movimento contro il Muos di Niscemi.

Gran parte dei fondatori e degli aderenti al Movimento dei forconi (come pure all’Aias, il sindacato degli autotrasportatori), provengono dal bacino elettorale del centro-destra o dell’MPA, questo è notorio. Può bastare questo a definire i “forconi” un movimento di destra, o addirittura fascista?

Una delle cause scatenanti del loro scendere in piazza è infatti la delusione verso i governi regionale e nazionale nei confronti delle rispettive categorie degli agricoltori, dei camionisti dei pescatori, ecc.; oggi gridano, assieme a tanta gente, contro Lombardo e contro i deputati tutti, chiedendo che se ne vadano; oggi si organizzano per consegnare le tessere elettorali, avendo perso la fiducia nella democrazia parlamentare.

Noi dobbiamo analizzare il movimento a partire da una dichiarazione retroattiva di voto? (una exit pol molto post-datata), o a partire da quanto ne scrivono Forza Nuova e camerati?, o a partire dalle simpatie del singolo personaggio?, oppure dobbiamo dare un giusto peso a una rivolta sociale che comincia a definirsi, dopo anni che scriviamo e critichiamo la calma piatta regnante e che ci interroghiamo sul perchè la gente non si ribelli? Adesso la gente si sta ribellando; porta nei blocchi stradali tutto il suo disgusto, la sua disperazione, la sua rabbia, e le sue certezze: non ostenta un obiettivo specifico; non è la rivolta contro la discarica o la tav o i licenziamenti; non è più solo la protesta dei contadini contro la concorrenza sleale e le leggi del mercato, o quella dei camionisti contro il caro-carburanti, o dei piccoli commercianti snervati dalle tasse e dalla Serit, ma comincia a delinearsi come la protesta diffusa di tutti; una rivolta contro lo sfruttamento; contro un infame trattamento per il Sud e la Sicilia, contro lo Stato esattore della povera gente, costretta, assieme alle piccole imprese – quindi ciò che regge l’economia di intere regioni – al fallimento. Questa è la novità che non si riesce a cogliere, e che invece noi poniamo alla base del nostro ragionamento.

Certamente siamo su un terreno scivoloso. Ma quando mai le rivolte sociali sono state linde e chiare, politicamente corrette, esenti da contraddizioni, orientate a sinistra, eccetera eccetera?

Noi che viviamo nel profondo Sud sappiamo bene come i fascisti abbiano progressivamente occupato spazi sociali e fisici lasciati vuoti dai movimenti di sinistra, radicali e anche rivoluzionari. Sappiamo bene come le strategie del neofascismo siano improntate ad approcci formalmente non ideologici, volti a creare consensi nei quartieri e laddove regna la rabbia e l’emarginazione. Del resto non è una novità dal punto di vista storico, e non è più neanche una caratteristica del solo meridione.

Ma sappiamo anche che il terreno perduto si riconquista metro per metro standovi sopra, non lontani; sappiamo anche che le contraddizioni della gente possono essere portate alla luce del sole se si sta in mezzo alla gente. Abbiamo fatto delle scelte che ci impongono di stare laddove il popolo soffre e soprattutto laddove si ribella e mette in discussione assetti sociali e politici, privilegi e ruberie, corruzione e meccanismi truffaldini del consenso. Avremmo dovuto farlo prima; avremmo dovuto essere stati noi a tessere le fila di questo movimento di protesta e di lotta. Non è stato così, ma questo non vuol dire che la cosa non ci riguardi.

 

La redazione di Sicilia libertaria

18-1-2012

La coop sei tu?

Dal Piccolo del 08/03/12

Furti, linea dura delle Coop Anche per due arance

Ha scelto di costituirsi parte civile in ogni processo per le “spese gratis” chiedendo 500 euro. Ogni anno 3 milioni di merce rubata, il 3% del fatturato

di Claudio Ernè

Cinquecento euro di risarcimento per due arance e un paio di bistecche sottratte dal bancone di vendita del supermercato che le Cooperative operaie gestiscono in Largo Barriera.

Questa somma, quasi identica a quanto tanti anziani percepiscono ogni mese per sopravvivere, è stata chiesta come risarcimento a una pensionata di 77 anni che aveva infilato nella borsetta la frutta e la carne e si era presentata alla cassa con altri generi alimentari.

Un altro cliente l’aveva vista rubacchiare e aveva segnalato alla cassiera il tentato furto. In breve V.F., per la prima volta nella sua lunga vita è stata rinviata a giudizio per furto e due giorni fa è stata convocata davanti al giudice Marco Casavecchia per essere processata pubblicamente. Rischia in astratto da uno a sei anni.

In aula le Cooperative operaie si sono costituite parte civile e hanno chiesto 500 euro di risarcimento per le arance e le bistecche, peraltro regolarmente pagate dall’imputata dopo essere stata colta con la merce nella borsetta. Il valore totale della merce sottratta era di 19,88 euro e a molti è apparsa sproporzionata la richiesta di risarcimento di 500 euro.

Il processo – il primo in cui le Coop si sono costituite parte civile chiedendo di essere risarcite per il danno “morale” patito in conseguenza del furto – è slittato a nuova data ma la severa linea di condotta delle coop ha suscitato reazioni opposte.

«Pietà l’è morta» ha affermato un legale che ritiene che alla base del “prelievo” effettuato dalla pensionata vi sia l’indigenza che accomuna l’imputata a tanti anziani costretti a sopravvivere con la pensione “minima”.

«Il furto è furto e non può essere giustificato nemmeno dalla fame» ha ribattuto, severo, un collega. «E’ un segno preciso della crisi economica che si sta estendendo e penalizza i più poveri» ha aggiunto un terzo. Certo è che le Coop subiscono ogni anno a Trieste “prelievi” ingiustificati di merce dai propri supermercati per un valore complessivo di tre milioni di euro. Il tre per cento del fatturato, una cifra enorme che si riflette sul bilancio e, necessariamente, anche sui prezzi praticati al dettaglio.

«I furti nei supermercati sono in costante aumento», ha affermato ieri il presidente delle Cooperative operaie Livio Marchetti. «Abbiamo dovuto assumere adeguate contromisure, potenziando la sorveglianza ma anche scegliendo di denunciare alla magistratura tutti i furti che vengono scoperti, indipendentemente dalla loro entità, consistenza e valore. Spesso ci vengono rubati superalcolici, profumi, creme per il corpo, non solo arance o mele. Allo stesso tempo abbiamo deciso di costituirci parte civile in ogni procedimento proprio a tutela dei nostri soci e dei nostri clienti».

Secondo il presidente Livio Marchetti «chi si rende responsabile di un furto commette un atto punito dalla legge, indipendentemente dall’entità di quanto ha prelevato e dal tipo di prodotto sottrattoci. I furti ci danneggiano e danneggiano anche i nostri soci e i nostri clienti. A tutela di queste persone le Cooperative operaie hanno scelto la strada più complessa, ma anche quella che tutela i propri consumatori e lancia pubblicamente un segnale concreto della propria responsabilità e del proprio impegno». In sintesi tutti sono avvisati.

La Cisl a favore di TAV e rigassificatori

Dal Piccolo del 14/03/12

«Trieste non faccia come Brindisi: il rigassificatore va fatto»

«Tutti i rigassificatori si devono costruire». È la posizione della Cisl, riferita dal segretario, Raffaele Bonanni, in risposta a una domanda sull’impianto di Gas Natural progettato a Trieste. Bonanni ha precisato che i rigassificatori sono importanti sia per «politiche di spesa anti-cicliche», sia «perchè ci possono sottrarre dalla “schiavitù del tubo”. Basta un nonnulla – ha ricordato – e non soltanto siamo costretti a pagare costi molto alti, che potremmo evitare con la diversificazione delle fonti di acquisto, ma mettiamo a repentaglio la sicurezza civile e industriale». Il segretario della Cisl si è augurato che a Trieste non vada come a Brindisi, dove British Gas ha rinunciato a un investimento dopo anni di attese. «Quello che è accaduto – ha commentato – è vergognoso, mi pare come tutta la vicenda della Tav».

TRIESTE: la protezione civile devasta la Val Rosandra

da bora.la

giovedì 29 marzo 2012

Val Rosandra, prima e dopo

Pubblichiamo la foto postata da Daniel Giraldi sull’evento facebook “Manifestiamo contro la distruzione della Val Rosandra“, che ritrae lo stesso tratto della Val Rosandra, a destra dopo l’intervento del 24 marzo della protezione civile impegnata nella pulizia degli alvei di alcuni fiumi della regione.

Questa la foto postata da Alessandro Severi

Qua la photogallery completa della protezione civile.

Le operazioni di pulizia hanno scatenato notevoli polemiche per l’eccessivo zelo con cui sono state condotte, colpendo anche alberi sani e di grandi dimensioni, proprio nel periodo riproduttivo di molte specie animali, ai margini di una Riserva Naturale.
Domenica 1 aprile si terrà una manifestazione di protesta che si sta organizzando proprio in queste ore sulla pagina facebook linkata sopra.

 

Lo scempio in Val Rosandra – il video

 

 

venerdì 30 marzo 2012

Nimis: in Val Rosandra un vero e proprio disastro ambientale

Pubblichiamo l’intervento di Pier Luigi Nimis, Professore Ordinario di Botanica dell’Università di Trieste, riguardo i danni fatti dalla Protezione Civile in Val Rosandra. Il commento è stato pubblicato su facebook, nella pagina della manifestazione di protesta di domenica.

L’intervento effettuato in Val Rosandra si configura come un vero e proprio disastro ambientale. Ricordo che la Valle, oltre ad essere parte di una Riserva Naturale Regionale, è inserita a nell’area SIC (Sito di Interesse Comunitario) ‘Carso Triestino e Goriziano’ e nella Zona di Protezione Speciale ‘Aree carsiche della Venezia Giulia’ ed è pertanto sotto tutela europea. L’intervento ha completamente distrutto un habitat prioritario: il bosco ripariale ad ontano nero (Alnus glutinosa),. Questo costituisce una valida difesa delle rive, tanto che la sua presenza viene considerata una caratteristica che aumenta notevolmente il valore dell’ Indice di Funzionalità Fluviale, adottato anche dall’ARPA regionale per monitorare lo stato dei corsi d’acqua della Regione. La completa scopertura del suolo derivante dal taglio drastico effettuato in Val Rosandra priverà questo tratto del torrente del suo presidio forestale, accelerando il disseccamento del suolo e l’erosione delle rive. L’impatto derivante dalla distruzione di un ambiente unico nel nostro territorio sulla biodiversità, sia animale che vegetale, sarà elevato: il drastico intervento ha già modificato il delicato habitat di molti animali acquatici ed è stato effettuato proprio durante il periodo di nidificazione degli uccelli. Al di là delle considerazioni ecologiche, l’intervento ha distrutto un sito esteticamente splendido, un’oasi d’ombra che gli escursionisti trovavano al ritorno alla fine della passeggiata per gli assolati ghiaioni. Gli ontani ricresceranno lentamente, ma al posto dello splendido boschetto a galleria all’imboccatura del sentiero principale della Val Rosandra per almeno 20 anni crescerà un cespuglieto impenetrabile. Lo scriteriato intervento, effettuato all’insaputa della Commissione Scientifica della Val Rosandra di cui faccio parte, prescindeva completamente dall’analisi delle funzionalità e dei servizi ecologici della vegetazione riparia, partendo dall’assunto grossolano che essa sia qualcosa di dannoso, da eliminare per mettere in sicurezza il torrente. Il risultato è stato un danno ecologico e paesaggistico difficilmente rimediabile in tempi brevi.
Pier Luigi Nimis
Professore Ordinario di Botanica
Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste

 


Da Il Piccolo

VENERDÌ, 30 MARZO 2012

 

Val Rosandra “violata”, strage di alberi

Sotto accusa l’intervento di pulizia dell’alveo compiuto dalla Protezione civile. Ingenti danni anche all’avifauna

 

«Un vero disastro ambientale». «Un intervento scellerato effettuato da persone incompetenti». «Un luogo meraviglioso distrutto per sempre». Sono questi solo alcuni dei commenti e delle invettive esternati da tante persone in merito all’intervento di pulizia dell’alveo del torrente Rosandra effettuato l’ultimo fine settimana dai volontari della Protezione Civile nell’ambito dell’operazione “Alvei puliti”. In Val Rosandra erano convenuti oltre 200 volontari giunti da ben 15 comuni della regione. Un intervento salutato con particolare soddisfazione dall’Amministrazione Comunale di San Dorligo, non altrettanto da decine e decine di escursionisti e cittadini che sono rimasti a bocca aperta di fronte alla radicale manutenzione prodotta. «Siamo stati tra i primi a effettuare un sopralluogo in seguito alle segnalazioni inviateci – spiegano Dario Gasparo, biologo, già professore di economia e gestione ambientale nell’ateneo triestino e Paolo Parmegiani, agronomo. Ciò che abbiamo visto va al di là della peggiore delle ipotesi che ci eravamo fatti. Con particolare riguardo per il tratto del torrente che dal Rifugio Premuda sale per oltre un centinaio di metri addentrandosi nella valle sono stati effettuati dei tagli radicali lungo tutto il letto del fiume e nelle golene (zone di terreno adiacenti il letto di magra di un torrente). Praticamente è stata cancellata la foresta a “galleria” di Salice e Pioppo bianco che, assieme agli Ontani, caratterizzava questa parte del Rosandra. Ci vorranno ben più di trent’anni per ripristinare questo sito». Secondo i due tecnici sono stati abbattuti degli alberi vecchi di almeno quarant’anni, e le modalità di taglio non sarebbero state del tutto ortodosse, con la riduzione della foresta a galleria ripariale che garantiva ombreggiamento e ossigenazione alle specie che vi vivevano. Appare dunque compromessa – secondo Gasparo – la nidificazione di diverse specie di uccelli, tra questi il picchio rosso maggiore, il picchio verde, la ballerina gialla e bianca, il merlo acquaiolo. Problemi pure per i siti riproduttivi degli anfibi, in primis la Rana ridibunta, il cui spazio sarebbe stato completamente distrutto dai camion incaricati di asportare ramaglie e tronchi, passaggio che parrebbe pure responsabile della frantumazione di alcuni gradini in arenaria concretizzati con soldi europei tre anni orsono. «E’ gravissimo ancora – sostengono i due tecnici – che si sia scelto di intervenire nel pieno della stagione riproduttiva dell’avifauna e degli anfibi. Va sottolineato che ci troviamo in una Riserva Comunale e Regionale dove insistono i vincoli comunitari di “Natura 2000”, ovvero le Zone di Protezione Speciale (ZPS) e i Siti di importanza comunitaria (SIC) creati proprio per proteggere la nidificazione degli uccelli”. «Difficile capire tanta urgenza di intervento in un habitat così importante – aggiunge Parmegiani – quando in zona carsica chi intende recuperare antiche attività agricole in zone di vincolo deve sottostare a estenuanti e lunghe procedure per le debite autorizzazioni». Dal Municipio esprime la sua preoccupazione pure Roberto Cosolini che, per capire meglio la situazione, ha mandato ieri in avanscoperta il direttore dei Civici Musei Scientifici Nicola Bressi. La Direzione della Protezione Civile tace, così come il suo assessore regionale Luca Ciriani che era intervenuto di persona in Val Rosandra. Maurizio Lozei

 

Il popolo del web: «Che scempio!»

Su facebook e youtube impazzano video e foto di confronto “prima e dopo”

 

SAN DORLIGO DELLA VALLE Decine e decine tra segnalazioni, commenti, video e foto della valle “prima e dopo”. Da you tube a facebook, passando per le e-mail e il sito del Piccolo, il popolo degli internauti si scatena. E gli interventi sono durissimi: «È incredibile che qualcuno si sia permesso di distruggere un bene comune come la Val Rosandra, ma chi ha dato i permessi, devono andare in galera», scrive un lettore. «Spero vivamente che diate voce a chi si è scandalizzato di fronte allo scempio», rincara la dose un altro. «Ciriani iera presente, Ciriani devi dimeterse», sentenzia un terzo dal profilo facebook del Piccolo. Ma piovono anche interventi istituzionali. «Non ho difficoltà – tuona il grillino Paolo Menis, consigliere comunale di Trieste – a definire scellerato l’intervento. Tagliare alberi in questa stagione è un’operazione criminale. L’eliminazione degli esemplari più grossi di pioppo bianco e ontano, oltre a comportare un danno ecologico innegabile, rendono anche meno sicuro il corso d’acqua che allo stato attuale si presta ad essere spazzato da una eventuale piena senza nessun trattenimento delle acque e dei fanghi. L’assessore Ciriani deve chiedere scusa, rifondere i danni e togliere il disturbo». Rossano Bibalo, capogruppo Idv-Verdi proprio a San Dorligo, ha depositato a sua volta un’interpellanza, in cui chiede al sindaco Premolin, fra le altre cose, «se all’ufficio di gestione della Riserva risulta che tale operazione poteva essere fatta anche senza alcuna Via» e «quale stato di emergenza e di pericolo pubblico, scientificamente ed oggettivamente provato, giustificava simile intervento». Anche Italia Nostra – scrive la presidente Giulia Giacomich – «si associa alla protesta contro il barbaro abbattimento di alberi e alla devastazione della vegetazione ripariale in Val Rosandra». «Siamo rimasti a dir poco basiti», aggiunge Giorgio Cecco per FareAmbiente, da dove valutano «positivamente in linea generale tale operazione a livello regionale, per l’obiettivo di ridurre il rischio idreologico, ma abbiamo forti perplessità sull’intervento specifico nella provincia triestina».(pi.ra.)

 

IL SINDACO

 

Premolin: la giunta valuterà quali azioni intraprendere

 

SAN DORLIGO DELLA VALLE «Stiamo cercando di capire cosa sia successo nell’intervento di pulizia. Discuteremo in giunta anche per valutare eventuali azioni nei confronti di chi ha effettuato le operazioni in val Rosandra». Le parole evidentemente imbarazzate sono del sindaco di San Dorligo Fulvia Premolin. Che aggiunge: «Dopo l’intervento ho parlato con i responsabili della Protezione civile. Mi hanno assicurato che hanno agito nel migliore dei modi puntando soprattutto agli aspetti della sicurezza. Non posso mettere in dubbio le loro parole. E non posso certo valutare se un intervento sia stato eseguito nel migliore dei modi perché non sono un tecnico. Ritengo che sia necessario effettuare al più presto un sopralluogo in tutto l’alveo del torrente Rosandra chiedendo il parere di un esperto che possa fornire una valutazione oggettiva di cosa e perché sia stato fatto. Poi valuteremo poi il da farsi». L’operazione «Alvei puliti» era stata organizzata direttamente dalla sede regionale di Palmanova. «Sabato hanno operato 105 persone, mentre domenica sono state 98. In gran parte provenivano dal Friuli, dalla Bassa, alcuni da Trieste o pochissimi da San Dorligo», spiega il vicesindaco Antonio Ghersinich che era sul posto. Racconta: «Nei giorni precedenti è intervenuta una ditta di Paluzza su ordine della Protezione civile. Nelle giornate di giovedì e venerdì hanno tagliato gli alberi. C’erano molti pioppi. E devo dire che diversi abitanti della zona hanno domandato che anche alcuni degli alberi posti sulle loro proprietà fossero tagliati perché pericolosi». Ghersinich spiega poi: «C’era un piano organizzativo. È stato mutuato dalla prova generale effettuata a Palmanova. Sapevano come fare, così hanno detto».

 

VENERDÌ, 30 MARZO 2012

Domenica protesta sul ponte di legno a mezzogiorno

 

Verdi, rossi, bianchi, azzurri, neri, no-golbal, anarchici e qualunquisti. Ci sarà un po’ di tutto – perché l’ambientalismo è super-trasversale – alla manifestazione di protesta indetta per domenica proprio in Val Rosandra. Un appuntamento nato come incontro pubblico promosso dal Comitato per la difesa della Val Rosandra, che ha fissato il ritrovo a mezzogiorno sul ponte di legno del torrente Rosandra, attorno al quale tuttavia è presumibile si formerà un capannello dalle dimensioni importanti, considerato il tam-tam sul web. Alla manifestazione hanno aderito sia i grillini del MoVimento 5 stelle sia Italia Nostra. (pi.ra.)


dal blog Menti critiche

 

Tra protezione poco civile e le dimissioni dovute del Vice Presidente della Regione FVG Ciriani.

Quello che è accaduto in Val Rosandra è a dir poco incredibile.
Parliamo di un sito noto per le esplorazioni speleologiche, situtato nei pressi di Trieste, che tra pareti a strapiombo, rupi e vegetazione selvaggia, rappresenta un ritrovo dove l’uomo può trovar riparo dalle inquietudini quotidiane.
Almeno fino a qualche mese addietro.
Perchè l’inquietudine di una società che offre sempre più depressione caspica ora è giunta anche in Val Rosandra.
Nel weekend del 24 e 25 marzo 2012 ha avuto luogo la prima fase dell’intervento regionale di prevenzione “Alvei puliti 2012” organizzato dalla Protezione civile della Regione. Alle attività, suddivise in 12 diversi scenari d’intervento, hanno preso parte oltre 2000 volontari dei Gruppi comunali e delle Associazioni di Protezione civile del Friuli Venezia Giulia.
Operazione ben riuscita in molti casi.

Il lavoro fatto dalla protezione civile deve essere riconosciuto come importante per la salvaguardia della natura e dell’ambiente.
Però a volte basta poco per annientare sia quella credibilità che deve caratterizzare la Protezione Civile, che l’intero lavoro svolto, da numerosi volontari, in una terra complessa come quella del Friuli Venezia Giulia,. Basta poco per gettare nel pozzo del dimenticatoio l’intero operato posto in essere da uomini e donne, da volontari.
In Val Rosandra durante la pulizia degli Alvei è stata praticamente annientata la foresta a “galleria” di Salice e Pioppo bianco che con gli Ontani,rendeva unica la Valle. Quanti anni serviranno per ripristinare il tutto? Chi dice trenta, chi quaranta, chi non tornerà più come prima.

Eppure il tutto è stato pubblicizzato a dovere sul sito della Protezione Civile del FVG. Vi è per esempio una galleria fotografica dove si possono vedere i lavori fatti sui tratti del Torrente Rosandra nel territorio comunale di San Dorligo della Valle.
E si precisa anche che   Nelle due giornate di sabato 24 e di domenica 25 il Vicepresidente della Giunta Regionale ed Assessore alla Protezione civile, dott. Luca Ciriani, e il Direttore centrale, dott. Guglielmo Berlasso, hanno effettuato il sopralluogo di tutte le dodici aree di intervento. L’Assessore ha così potuto incontrare i volontari ed i tecnici della Protezione civile regionale ed ha espresso loro il ringraziamento per l’incredibile spirito di partecipazione e di dedizione che hanno dimostrato anche in questa occasione.
Cosa confermata anche dal comunicato stampa apparso  sul sito della Regione Ciriani infatti si è recato prima sul torrente Rosandra, a San Dorligo della Valle in provincia di Trieste, per poi raggiungere l’Isonzo in prossimità del ponte tra Sagrado e Gradisca.

Ed  allora visto che il sig. Ciriani è Assessore alla Protezione Civile, visto che ha visitato i luoghi del delitto, con tanto di sopralluogo durante i lavori, il minimo gesto che ci si deve attendere è la produzione formale ed immediata delle dimissioni.

Certo non saranno le dimissioni a risolvere il problema Val Rosandra, ma intanto l’assunzione diretta della responsabilità politica e non solo di quanto accaduto in Valle è atto necessario, sia per non compromettere l’immagine della Protezione Civile che da questa vicenda rischia di uscirne, per ovvi motivi, altamente lesa, che per rispetto di tutta quella cittadinanza che ha delegato indirettamente o meno a certi uomini il coordinamento di operazioni volte alla salvaguardia dell’ambiente, del bene comune e collettivo.

Ancora una volta l’essere umano, con la sua mano, ha devastato e violentato la propria naturale madre, la natura.

Marco Barone

 

TRIESTE: ancora sullo scempio della Val Rosandra

da bora.la

domenica 1 aprile 2012

La manifestazione in Val Rosandra: le foto

Pubblichiamo alcune foto spediteci dai nostri lettori della manifestazione in Val Rosandra

 

Val Rosandra, la replica alle dichiarazioni della Protezione Civile

Pubblichiamo il video di Dario Gasparo in risposta alle dichiarazione della Protezione Civile del 30 marzo 2012.

Questo il testo di Dario Gasparo che accompagna il video. Il disegno è di Valerio Marini.

Intervento della protezione civile in Val Rosandra. Replica alle argomentazioni dell’assessore regionale che con nota del 30 marzo giustifica il pesante intervento nella Riserva Naturale Regionale considerandolo dovuto, corretto e ben realizzato.
In 12 minuti di vuol dimostrare che:
1) Interventi di manutenzione non sono stati realizzati solo 50 anni fa, come sostenuto dall’assessore, ma nel 1994, 18 anni fa
2) Secondo la stessa dichiarazione della nota della P.C. l’intervento richiesto dal comune non doveva interessare la zona al di sopra di Bagnoli superiore
3) Sono stati abbattuti numerosi pioppi neri e ontani (e probabilmente anche Robinie) sui quali vi erano dei nidi che l’avifauna stava utilizzando in questa stagione; è evidente la presenza di nidi di picchio nelle stesse immagini pubblicate dalla P.C., mentre la nota della P.C. sostiene che sono state seguite le direttive della Regione secondo le quali nessun albero con nidi doveva essere abbattuto. Il picchio utilizza spesso i nidi scavati da altri consimili, perciò è probabile che quei nidi abbattuti con l’albero siano stati usati più volte, anche da specie diverse di uccelli. Per realizzarli serve molto impegno da parte dei picchi: ad esempio il picchio rosso maggiore, dipendentemente dalla durezza del legno, impiega da 5 giorni a due settimane. Anche gli alberi morti che sono stati abbattuti sono fondamentali per la rete trofica animale e per molte specie di picchio, tanto che da molti anni si prescrive di lasciarli in piedi.
4) L’assessore regionale ha affermato che la popolazione residente è soddisfatta del lavoro svolto dalla P.C. mentre basta parlare con alcuni abitanti di Bagnoli Superiore Gornji Konec per accorgersi del contrario. Nel video viene citato l’articolo pubblicato dal quotidiano locale sloveno Primorski Dnevnik a firma Stojan Glavina che riporta una serie di pertinenti considerazioni critiche
5) Secondo il vertice della P.C. l’intervento non richiedeva alcuna autorizzazione perché il bosco ripariale non è da considerarsi bosco. Si dimostra che proprio in quel tratto si è all’interno della Riserva Regionale (ed esiste un comitato scientifico che andava interpellato) e soprattutto all’interno di una SIC e una ZPS e pertanto la valutazione di incidenza andava effettuata perché quello era un habiat Natura 2000, tanto più che non vi erano motivi di urgenza e di imperante interesse pubblico. Anche se ci fossero stati andavano seguite le indicazioni della direttiva Habitat e del DPR 357/97 che prevedono misure di compensazione e il coinvolgimento della comunità europea, che ora rischia di doverci multare
6) Nella seconda metà del video si riportano i risultati di uno studio del 2007 dell’ARPA. Lo studio è stato effettuato lungo il torrente Rosandra proprio per valutarne l’efficienza dal punto di vista biologico ed ecologico. L’indice di funzionalità più elevato, come sottolinea il prof. Nimis, ordinario di botanica presso l’Ateneo triestino, era proprio stato registrato nel tratto manomesso.

Un’ultima considerazione: ho moltissimi amici nella protezione civile e so con quale spirito di sacrificio e dedizione lavorino. Conosco anche molti amministratori del Comune di Dolina ed ho per loro grande stima, avendo potuto apprezzarne l’impegno per la salvaguardia della Riserva in varie occasioni, ma soprattutto quando si è trattato di difenderla dal rischio TAV. Trovo pertanto ingiusto prendersela con chi è il primo ad aver subito il danno e credo che le responsabilità vadano cercate in chi, invece, ha ordinato e poi coordinato i lavori.

 

sabato 31 marzo 2012

Protezione Civile sugli interventi in Val Rosandra: “Lavori necessari.”

Gli interventi effettuati in Val Rosandra rientrano nel quadro dei lavori ”urgenti di prevenzione per il ripristino dell’efficienza idraulica dei corsi d’acqua regionali a tutela della pubblica incolumita’ mediante l’asportazione della vegetazione arborea ed arbustiva infestante gli alvei”. Lo precisa una nota della Protezione Civile della Regione. Nella nota si sottolinea che ”il regime del torrente Rosandra e’ caratterizzato da episodi di piena decennale che nel corso superiore del torrente mettono a rischio le abitazioni rivierasche e la viabilita’ comunale, mentre nel corso inferiore determinano dannose esondazioni nella zona industriale del comune di San Dorligo della Valle – Dolina”. Per questo, secondo la Protezione civile, ”e’ emersa l’esigenza di salvaguardare l’incolumita’ delle popolazioni rivierasche e l’integrita’ delle relative infrastrutture pubbliche e private contermini al torrente Rosandra”

 

1° maggio nelle piazze!

primo-maggio

 

 

 

 

CERVIGNANO: notav al corteo


TRIESTE: banchetto e diffusione di Germinal


GRADISCA: diffusione di stampa anarchica e volantinaggio notav

SUICIDI DI STATO: rassegna stampa sul presidio per Alina

Dal Piccolo del 16/05/12

Presidio in piazza per Alina In arrivo anche altri “avvisi”

Un presidio alla settimana e altri indagati in arrivo. La morte della cittadina ucraina, Alina Bonar Diachuk, di 32 anni, che il 16 aprile scorso si è tolta la vita in una stanza del commissariato di Villa Opicina, rischia di travolgere la Questura di Trieste. Un indagato c’è già, ed è il vicequestore Carlo Baffi, responsabile dell’Ufficio immigrazione. Ieri oltre 200 persone, in piazza della Borsa, hanno chiesto la sua testa al questore Giuseppe Padulano. Anzi la sua “epurazione” vista «la targhetta del Ventennio (“Ufficio epurazioni”) con tanto di effigie del duce riesumata per il suo ufficio» come ricorda l’ex consigliere regionale Alessandro Metz. Le indagini intanto proseguono e potrebbero allargarsi. Il capo della Procura di Trieste, Michele Dalla Costa, parlando della vicenda con l’Adnkronos afferma che «ci sono altre persone sulle quali si è appuntata l’attenzione della Procura». In altre parole, tutto fa pensare che non possa essere attribuita solo all’”eccentrico” Baffi (“in ufficio e nell’abitazione è stata rivenuta un’autentica collezione di memorabilia del Ventennio fascista compreso materiale antisemita”) la responsabilità di quanto avvenuto nella cella del commissariato di Opicina. Alina, che aveva appena scontato 10 mesi di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si è tolta la vita usando il cordino della felpa, quando era trattenuta, senza alcun provvedimento della magistratura, nel commissariato dell’altipiano. Un’agonia di quaranta minuti documentata da una telecamera di sicurezza. Per questo motivo alcuni lo definiscono «un suicidio assistito». «Un omicido progettato» lo chiama senza troppi giri di parole il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Roberto Antonaz. L’ipotesi di reato per la quale è indagato Baffi è sequestro di persona e omicidio colposo. Le indagini condotte dal pm Massimo De Bortoli devono verificare se in effetti la Diachuk fosse trattenuta in Commissariato senza alcun titolo, se fosse chiusa a chiave dentro una stanza e se si sia trattato di un caso isolato, o, «come pare – conferma il procuratore capo – ci siano stati altri casi di stranieri trattenuti a Opicina senza alcun titolo. Stiamo valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno», conferma Dalla Costa. Si parla di altri 49 casi. Il commissariato di Villa Opicina usato praticamente come un Cie clandestino. Parallelo a quello di Gradisca. E, ieri, in piazza della Borsa, in zona Questura, si è svolto il primo sit-in “Libertà e giustizia per Alina” contro la procedura usata dalla Questura nel trattenere gli stranieri da espellere, nel commissariato di Opicina. L’iniziativa è stata indetta da varie organizzazioni tra le quali Occupy Trieste, centri sociali, Arci, Unione degli studenti, Fiom e a cui hanno aderito anche Rifondazine comunista e Sel. «Un presidio di dignità da parte di una città che non accettà la banalità del male» spiega Luca Tornatore, uno dei leader di Occupy Trieste, citando Hannah Arendt. «Noi restiamo umani». Il presidio contro la Questura si è svolto con parole pesanti ma in assoluta tranquillità sorvegliato a vista da alcuni carabinieri. La pena del contrappasso. «In questa città c’è una malattia: i giustizieri della polizia. Migranti liberi, fascisti in gabbia» recita uno degli striscioni steso in piazza della Borsa in piazza della Borsa. «In Questura stanno succedendo delle cose indegne. Indecenti. Adesso si scopre che fanno i giustizieri della notte e addobbano le stanze con i poster del mascellone» aggiunge Tornatore, mentre Metz alza il tiro: «Baffi lavorava nella clandestinità? Nessuno si è mai accorto di nulla? Padulano deve rimuoverlo subito. Altrimenti se ne deve andare anche Padulano». E, finché non succede qualcosa, promettono un presidio alla settimana. Ogni martedì alle 17 in piazza della Borsa. «Non si può fare finta di niente. La città non può fare finta di niente». (fa.do.)

SUICIDI DI STATO: Altri due poliziotti indagati per la morte di Alina

Dal Piccolo del 17/05/12

Altri due poliziotti indagati per la morte di Alina

di Corrado Barbacini Altri due avvisi. Due poliziotti in servizio al commissariato di Opicina sono da ieri mattina sotto indagine da parte del pm Massimo De Bortoli per la vicenda del suicidio di Alina Bonar Diachuk, la donna ucraina detenuta arbitrariamente in una stanza chiusa a chiave all’interno della caserma. Nella stessa inchiesta è indagato il funzionario responsabile dell’ufficio immigrazione Carlo Baffi. Ai due agenti vengono contestate dal pm De Bortoli le accuse di omicidio colposo e violata consegna. Secondo gli accertamenti effettuati dagli investigatori della polizia e della finanza, i due uomini in divisa che avrebbero dovuto vigilare la donna “reclusa” in realtà non lo hanno fatto. Praticamente l’hanno chiusa nella cella senza mai minimamente controllarla. A trovarla priva di vita erano stati infatti due altri agenti dell’immigrazione che erano andati a prenderla per accompagnarla dal Giudice di pace. Ed era stato in quel momento che era scattato l’allarme. Troppo tardi, perché Alina era già morta. Le immagini della telecamera a circuito chiuso hanno drammaticamente filmato l’estremo gesto di Alina Bonar Diachuk. La sua è stata un’agonia durata oltre 40 minuti. Si vede mentre disperata si scaglia contro il muro e poi mentre batte la testa. E poi mentre estrae dalla felpa un cordino e lo annoda attorno al collo e poi a un termosifone. La si vede poi seduta mentre chiude con la vita. Queste immagini che paradosalmente non sono nemmeno state viste attraverso il monitor dall’agente in servizio di piantone fanno parte integrante dell’inchiesta. L’agente in servizio, secondo il regolamento, avrebbe dovuto verificare costantemente quello che accadeva all’interno della stanza dove era stata detenuta l’ucraina. Invece non ha mai dato uno sguardo al monitor e non è mai entrato nella camera della morte. L’altro poliziotto destinatario di un’informazione di garanzia quel giorno invece era uscito dalla caserma lasciando il collega. Ad annunciare che oltre a Carlo Baffi «ci sono altre persone sulle quali si è appuntata l’attenzione della Procura», era stato già l’altra sera il procuratore capo Michele Dalla Costa. E ieri gli investigatori di quello che è sato definito il “pool Alina” sono andati al commissariato di Opicina dove hanno notificato gli avvisi effettuando contestualmente le relative perquisizioni disposte dal pm Massimo De Bortoli. Intanto Paolo Pacileo, l’avvocato di Carlo Baffi ha presentato un’istanza al Tribunale del Riesame per l’annullamento del verbale di sequestro dei libri e dell’altro materiale prelevato mercoledì scorso a casa di Carlo Baffi. Si tratta di una decina di volumi dichiaratamente antisemiti: gli autori sono tra gli altri Julius Streicher, Adolf Hitler e Julius Evola. Facevano parte della biblioteca privata del funzionario di polizia. Gli agenti quel giorno avevano anche sequestrato, poco prima della perquisizione a casa, anche sei proiettili di pistola non denunciati e una copia della targhetta dell’Ufficio immigrazione delle dimensioni di un foglio protocollo. Sulla parte destra della targa posticcia, è inserita una foto di Mussolini. A sinistra si legge in caratteri simili a quelli usati nel Ventennio: “il dirigente dell’ufficio epurazione”. Proprio il ritrovamento di questa targa ha innescato la perquisizione dell’abitazione di Carlo Baffi.

SUICIDI DI STATO: rimosso Baffi

Dal Piccolo del 18/05/12

Caso Alina, “rimosso” il dirigente

di Corrado Barbacini Da ieri mattina Carlo Baffi non è più responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura di Trieste. È questa la prima conseguenza interna alla polizia del caso di Alina Bonar Diachuk, la donna ucraina detenuta arbitrariamente in una stanza chiusa a chiave all’interno del commissariato di Opicina che si è suicidata davanti all’obiettivo delle telecamere a circuito interno. Baffi è ufficialmente in «congedo ordinario», vale a dire in ferie. Fino a quando? Non si sa. Perché come spiega, con un paradosso, il questore Giuseppe Padulano «tornerà quando deciderà di rientrare». Ma è evidente che si tratta del «congelamento» delle funzioni del dirigente finito nella bufera in attesa di inevitabili decisioni amministrative collegate alla vicenda per la quale è accusato di sequestro di persona e di omicidio colposo della giovane ucraina. Certo è che si tratta di congelamento delle funzioni che è stato anche interpretato come una sorta di rimozione dall’incarico. E sempre da ieri al vertice dell’ufficio immigrazione della Questura è stato nominato temporaneamente Stefano Simonelli, responsabile del Gabinetto. È un fuzionario con una lunga esperienza passata negli anni scorsi nello stesso ufficio alla Questura di Gorizia. «Il dottor Baffi si trova a casa a Trieste per cercare di definire al meglio la sua linea difensiva. Non lavora. Deve studiare gli atti che lo riguardano in vista delle inevitabili contestazioni da parte della procura», ha dichiarato il difensore Paolo Pacileo. Che nei giorni scorsi – come primo atto formale di questa inchesta difficile e spinosa – ha proposto un’istanza al Tribunale del riesame per l’annullamento del verbale di sequestro dei libri e dell’altro materiale prelevato mercoledì dell’altra settimana a casa di Carlo Baffi. Si tratta di una decina di volumi dichiaratamente antisemiti: gli autori sono, tra gli altri Julius Streicher, Adolf Hitler e Julius Evola. Erano una minima parte di una biblioteca contenente non meno di 500 volumi in gran parte riconucibili all’ideologia nazifascista ma c’erano anche libri di autori di sinistra. Addirittura nel bagno della casa gli agenti e i finanzieri che hanno effettuato la perquisizione assieme al pm De Bortoli, hanno trovato un manifesto fascista e in una nicchia una copia del libro Mein Kamf. Tutto questo è stato fotografato e fa parte del fascicolo del magistrato inquirente. Nella scrivania di Baffi al terzo piano della Questura gli agenti durante la perquisizione avevano trovato una targa posticcia con una foto di Mussolini e la dicitura “Ufficio epurazione”. Lo stesso pm Massimo De Bortoli ha indagato anche due poliziotti coinvolti nella vicenda. Si tratta dei due agenti in servizio al commissariato di Opicina che si trovavano impegnati nella vigilanza nelle ore in cui è stata illegittimamente detenuta Alina Bonar Diachuk. A loro vengono contestate le accuse di violata consegna e di omicidio colposo. L’avviso di garanzia è stato notificato l’altra mattina. Poche ore prima c’era stata una manifestazione di protesta.

SUICIDI DI STATO: aggiornamenti su Alina Bonar

Dal Piccolo

22/05/12

Suicidio ucraina, era terrorizzata di tornare in patria

Ora è chiaro perché Alina Bonar Diachuk, arrestata nel giugno scorso a Gorizia, ha messo fine ai propri giorni all’interno del commissariato di Opicina, dov’era rinchiusa anche se la Magistratura ne aveva ordinato la liberazione. Lei temeva di dover ritornare in carcere una volta rimpatriata forzatamente in Ucraina. Lì aveva già scontato un lungo periodo di detenzione quando era ancora minorenne. Era accusata di omicidio ed era stata riconosciuta colpevole. Nemmeno con gli avvocati che le sono stati sporadicamente accanto in Italia Alina aveva voluto parlare di quella condanna a 11 anni di carcere. Poche parole e poi il silenzio. «È vero, ma non voglio dire nulla». Faceva capire ai difensori di aver scontato un lungo periodo in cella, dov’era entrata poco più che ragazzina. Diceva anche che aveva pagato il suo debito con la legge. Viene da chiedersi allora perché avesse tanta paura, tanta disperazione se tutto era ormai depositato nell’archivio della sua vita e del casellario giudiziario del suo Paese. Alina Bonar, detenuta per 6 mesi al Coroneo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e poi liberata dal giudice Laura Barresi, temeva di essere rimpatriata forzatamente: quando ha ritenuto che non esistessero più vie alternative alla sua fuga senza fine, ha cercato di uccidersi. Il tentativo attuato nel carcere del Coroneo, non ha avuto esito. È stata soccorsa e salvata. All’interno del Commissariato di Opicina dov’era stata rinchiusa dopo la liberazione decisa dalla magistratura, la sua disperazione ha avuto la meglio sui sistemi di controllo e sugli occhi degli agenti di polizia che avrebbero dovuto sorvegliarla per impedire altri gesti disperati. Invece per 40 minuti nessuno ha osservato lo schermo del video. Alina si è impiccata e nessuno ha visto il suo gesto. Solo l’occhio di vetro di un obiettivo di una inutile telecamera. Secondo il pm Massimo De Bortoli, il magistrato titolare dell’inchiesta sulla morte di Alina Bonar, anche altre decine di stranieri a rischio di espulsione potrebbero essere stati trattenuti dalla Polizia nello stesso Commissariato in attesa dell’espulsione. Sono in corso numerosi interrogatori.c.e.

 

20/05/12

Una ex compagna di cella pagherà i funerali di Alina

Il Sap esprime tutta l’amarezza e lo stupore per la quantità e la pesantezza di accuse mosse pubblicamente da più parti contro la Polizia in genere, la Questura di Trieste nel suo complesso e a tutta l’attività di gestione delle pratiche relative all’immigrazione. «Le teorie contenute in alcuni interventi scritti e gli slogan lanciati da qualche manifestante vanno ben oltre i fatti realmente accaduti e riscontrati. La verità è che le doverose valutazioni che la giustizia sta facendo riguardano un episodio purtroppo drammatico e una specifica procedura attinente ad una piccola parte dell’attività della struttura», sta scritto in una nota. «Peraltro questa procedura non era affatto segreta, tutti i soggetti interessati ne erano a conoscenza senza che mai fosse stata messa in discussione. Va anche rilevato che tra le varie tematiche emerse nella vicenda in parola, vi è quella ideologica, aspetto che purtroppo lascia spazi a molteplici interpretazioni. Proprio per questo vogliamo ribadire che l’azione quotidiana di tutela della sicurezza di tutti i cittadini garantita dalla Polizia triestina non manifesta e non ha mai manifestato fenomeni di carattere discriminatorio». di Corrado Barbacini «Ho conosciuto Alina in carcere e sono sgomenta per la sua tragica fine in una cella del commissariato di Opicina. Era una brava ragazza. Ho saputo che i familiari non hanno la disponibilità economica per pagare i funerali. Sono pronta a farlo io». Queste parole piene di umanità arrivano da una ex detenuta del Coroneo che per un lungo periodo ha vissuto nella stessa cella di Alina Bonar Diachuk, la giovane ucraina che si è impiccata il 16 aprile in una stanza del commissariato di Opicina dove era detenuta illegalmente essendo stata liberata due giorni prima dal Coroneo grazie a una sentenza di patteggiamento del giudice Barresi. Da quel giorno il suo corpo si trova all’obitorio di via Costalunga a disposizione dei familiari che vivono a Milano. Sono andati a trovarla accompagnati dall’avvocato Sergio Mameli. Ma non hanno la possibilità economica di pagare i suoi funerali e la sua sepoltura. Racconta Maria Dina P., 65 anni, friulana ed ex detenuta: «Siamo diventate amiche. Alina e la sorella Antonina (che poi è stata scarcerata per motivi di salute e vive con la madre a Milano) erano due brave ragazze, coinvolte in una storia più grande di loro. Io ero come la loro mamma. Stavamo sempre assieme. Passeggiavamo sempre noi tre. Mi tenevano sottobraccio…» «Alina – prosegue Maria Dina – mi raccontava spesso delle sue paure. Dell’Ucraina, un paese tremendo dove non avrebbe mai voluto tornare. Sì, ne aveva proprio il terrore. Perché lì, diceva, in prigione succede di tutto. Ti torturano e ti violentano, anche…» Racconta ancora la donna: «L’unica sua gioia era quella di lanciare dei biglietti dalla finestra della cella, messaggi destinati al suo fidanzato anche lui detenuto che ogni giorno durante l’ora d’aria la aspettava nel cortile. Parlavano così. Lui a gesti, lei con quei biglietti in cui c’erano solo frasi d’amore. Ma le guardie un giorno se ne sono accorte e inevitabilmente lei e la sorella sono state trasferite nella cella 309, davanti a quella dov’erano fino a quel giorno, la cui finestra dà sul cortile interno. Alina non poteva più gettare biglietti. E lei e la sorella si sentivano sempre più abbandonate». Maria Dina P. ricorda il giorno del tentato suicidio. «Ero nella mia cella quando sia Alina che la sorella si sono tagliate le vene. Non vedevano più un futuro, una possibilità. Non sapevano quando sarebbero uscite dalla galera. Era estate, ricordo, faceva molto caldo». Le due donne erano state salvate dagli agenti della Penitenziaria. Ma nelle relazioni su quanto accaduto non è mai stato riportato nulla riguardo la debolezza sia di Alina che della sorella. Uno stato di disperazione che si è nuovamente manifestato quando, all’interno del commissariato di Opicina, Alina si è tolta la vita impiccandosi a un termosifone. Dice ancora Maria Dina P.: «Mi sono già messa in contatto con le pompe funebri. Sono pronta a pagare. Ho saputo che il Comune di Milano ha rifiutato la sepoltura, ma forse qui in Friuli, in qualche paese, c’è una possibilità. Altrimenti il corpo potrebbe essere cremato e le ceneri consegnate alla madre e alla sorella che vivono in Italia. E questo forse potrebbe essere l’unico modo perché Alina rimanga nel nostro Paese. Le ceneri non saranno mai espulse e nemmeno imprigionate in un commissariato»

 

19/05/12

«Ucraina suicida, infamante il teorema dell’ideologia»

Il caso di Alina Bonar, suicida al commissariato di Opicina, «doveva essere un momento di riflessione e correzione delle prassi di trattamento degli stranieri in attesa di espulsione». Lo scrive il segretario provinciale Uil Polizia Paolo Di Gregorio: «Al contrario, abbiamo visto spettacolarizzazione e superficialità, che distruggono vite e storie di alcuni poliziotti. Emblematica la vicenda di Carlo Baffi», funzionario della Questura indagato, «dove una storia di impegno professionale viene demolita pubblicamente nonostante non consegni alcun eccesso repressivo o sbavatura ispirata ideologicamente, ma un’impostazione fondata su direttive precise». «Non in discussione» la fiducia nella Procura, prosegue Di Gregorio, il sindacato ritiene «inaccettabili le modalità dell’attività investigativa» su Baffi, cui sono stati sequestrati libri antisemiti. Il dubbio è che «l’ipotesi accusatoria sia venata da un teorema legato alla supposta appartenenza politico ideologica». Teorema «offensivo e infamante per tutta la polizia triestina». Infine, l’invito a Polizia e Magistratura a «restaurare un clima di reciproca fiducia».