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La catastrofe climatica avanza inesorabile

 

CLIMATE/ I SARDEGNA LA PIOGGIA DI SEI MESI IN 24 ORE

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Martedì 19 Novembre 2013 10:09

Mutamenti climatici + dissesto idrogeologico = catastrofe permanente

 

Corriere 19 novembre 2013

MALTEMPO

 

CLIMATE/ TOCCA AGLI USA

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Lunedì 18 Novembre 2013 23:51

Corriere 19 novembre

Usa sconvolti da decine di tornado    foto    "Forza distruttiva, 10 Stati a rischio" 

 

 

 

CLIMATE/ E’ INIZIATA LA CATASTROFE CLIMATICA

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Domenica 10 Novembre 2013 12:32

Il prima e il dopo

Repubblica 12 novembre

catastrofe

foto

 
 
 

 

 

CLIMATE/ INIZIA L’ERA DEI RIFUGIATI CLIMATICI

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Venerdì 04 Ottobre 2013 06:24

IN NUOVA ZELANDA

Chiede asilo come ‘rifugiato climatico’
Il suo atollo sparirà

corriere della sera 3 ottobre 2013

L’atollo Tarawa nell’arcipelago di Kiribati (Ap/Vogel)
L’atollo Tarawa nell’arcipelago di Kiribati (Ap/Vogel)

Se il livello del mare dovesse salire di un metro entro la fine del secolo, come si evince dalle recenti stime dell’IPCC, lo stato di Kiribati, composto da 32 atolli nel mezzo dell’Oceano Pacifico, potrebbe sparire. Se questo dovesse accadere le conseguenze sarebbero disastrose per i circa 100mila abitanti di Kiribati che, già da qualche anno, costretti ad affrontare anche un costante impoverimento, hanno iniziato a emigrare verso altre nazioni in cerca di migliori prospettive di vita. La Nuova Zelanda è una delle mete preferite dagli emigranti di Kiribati, ed è proprio qui che un 37enne nato su una delle isole di questa piccola nazione del Pacifico, del quale si conoscono solamente le iniziali, A.F., sta combattendo una personale e inedita battaglia legale. Giunto in Nuova Zelanda sei anni fa insieme alla moglie per cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e trovare un lavoro, A.F., ha chiesto due volte di poter ottenere lo status di rifugiato per poter continuare a rimanere con la sua famiglia, ha anche tre figli nati in Nuova Zelanda, in territorio neozelandese. Richieste, purtroppo per lui, bocciate entrambe le volte perché, secondo le autorità di Auckland, l’uomo non avrebbe i requisiti per richiedere lo status di rifugiato in quanto non è scappato dal proprio Paese in seguito a persecuzioni, violenze, carestie o guerre.

«RICHIESTA INAMMISSIBILE» – A.F., infatti, ha giustificato la richiesta spiegando di essere stato costretto a fuggire dal suo paese a causa dei cambiamenti climatici i cui effetti, in primis l’innalzamento del livello del mare, metterebbero a rischio la vita della sua famiglia non permettendogli di tornare a Kiribati e vivere una vita sicura. Per la Nuova Zelanda, come detto, la richiesta risulta inammissibile, anche, se non soprattutto, perché le condizioni dell’uomo, come ha spiegato Bruce Barson, membro del Tribunale per l’Immigrazione di Auckland, all’Associated Press, sarebbero le stesse di tutti i suoi connazionali. Ma nonostante i due tentativi falliti l’uomo non si è dato per vinto e, insieme al suo avvocato, Michael Kidd, esperto di diritti umani, ha deciso di ricorrere in appello alla Corte Suprema.

SAREBBE UN PRECEDENTE – Nonostante le possibilità di vittoria per A.F. in questo braccio di ferro legale sembrino ridotte ai minimi termini, il suo caso inevitabilmente creerà un precedente e potrebbe essere solamente il primo di una lunga lista visto il peggioramento delle condizioni di vita di molte popolazioni a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. Basti ricordare che, secondo gli esperti, l’innalzamento del livello del mare potrebbe causare danni incalcolabili non solo in piccole isole e atolli poco abitati dell’Oceano Pacifico, ma anche in città costiere densamente abitate come Calcutta, in India, e Dakha, in Bangladesh.

TRASFERIMENTO IN MASSA ALLE FIJI – Per il momento a Kiribati si studiano possibili soluzioni per evitare di farsi trovare impreparati di fronte all’innalzamento del livello mare, il presidente Anote Tong ha proposto un trasferimento di massa alle isole Fiji e sta lavorando con il Giappone a un progetto per la costruzione di una vera e propria isola galleggiante. Nel frattempo il primo richiedente asilo a causa dei cambiamenti climatici è pronto a giocarsi le sue ultime carte: l’appuntamento è per il 16 ottobre davanti alla Corte Suprema di Auckland.

03 ottobre 2013

 

CLIMATE/ GLOBAL WARMING AL 95% (DI SICUREZZA) È COLPA DELL’UOMO

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Venerdì 27 Settembre 2013 18:46

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27 settembre Corriere

IL RAPPORTO ONU SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI: La colpa è da attribuire a cause umane con una sicurezza del 95%

Leggi tutto: CLIMATE/ Global Warming al 95% (di sicurezza) è colpa dell’uomo

VALROSANDRA: Ciriani e altri 4 a giudizio per la devastazione

Dal Piccolo del GIOVEDÌ, 21 MARZO 2013

Val Rosandra devastata, Ciriani a giudizio

Citazione diretta per l’assessore regionale , il direttore della Protezione civile Berlasso e tre funzionari

IL CASO » CHIUSA L’INCHIESTA

Le perizie: «Deturpato il paesaggio»

FULVIA PREMOLIN Il pm Miggiani ha chiesto l’archiviazione per il sindaco di San Dorligo e per il suo vice Ghersinich e per il titolare della ditta

COSA RISCHIANO Per questo genere di reati il codice penale prevede fino a 18 mesi di arresto o nella migliore delle ipotesi una pesante sanzione

«Se il taglio degli alberi avesse riguardato un terreno privato credo, che con quello che è successo, sarebbe già stata sequestrata l’area. Il danno è grave come hanno rilevato esperti di chiara fama come Dario Gasparo, Livio Poldini e Nicola Bressi. Addirittura è stato sbagliato anche il periodo per effettuare quel tipo di intervento», aveva dichiarato subito dopo l’operazione Alvei Puliti l’avvocato Alessandro Giadrossi, presidente del Wwf di Trieste che aveva presebntato l’esposto. Aveva aggiunto «L’intervento della Protezione civile regionale è stato ingiustificato ed errato. È avvenuta la distruzione della vegetazione ripariale con deturpamento dei suoi valori paesaggistici e alterazione ambientale di un’area tutelata naturalisticamente e paesaggisticamente. Sono stati tagliati molti alberi anche di grandi dimensioni ed è stato compromesso l’habitat della “foresta a galleria” che garantiva ombreggiamento e ossigenazione alle specie ivi presenti, con disturbo all’avifauna quale picchio rosso maggiore, picchio verde, ballerina bianca e gialla, merlo acquaiolo». Nella foto l’assessore Ciriani.

di Corrado Barbacini L’assessore regionale alla sanità Luca Ciriani (candidato del Pdl nella circoscrizione di Pordenone alle regionali), il direttore regionale della Protezione civile Guglielmo Berlasso, i funzionari Cristina Trocca e Adriano Morettin e Mitja Lovriha, caposervizio dell’area ambiente e lavori pubblici di San Dorligo, compariranno davanti al giudice per rispondere dello scempio della Val Rosandra compiuto tra il 24 e il 25 marzo dello scorso anno. Lo ha disposto il pm Antonio Miggiani che li ha citati direttamente chiedendo al giudice la fissazione dell’udienza al più presto possibile. Lo stesso pm ha indicato al gip Luigi Dainotti che vanno archiviate le posizioni di Fulvia Premolin e Antonio Ghersinich, rispettivamente sindaco e vice di San Dorligo e di Luca Bombardier, titolare della ditta specializzata i cui dipendenti, in forza di un contratto con la Protezione civile, hanno raso al suolo una delle tra le zone ecologicamente protette della provincia di Trieste. Ma – è bene chiarirlo – il giudice Dainotti non si è ancora espresso e ha chiesto al pm l’intero fascicolo sulla devastazione del sito protetto. Secondo il pm Miggiani, Premolin e Ghersinich sarebbero stati presi in contropiede dalla Regione e dalla Protezione civile e non avrebbero avuto nemmeno il potere di fermare quella che ironicamente era stata chiamata la calata degli Unni su San Dorligo. Una calata avvenuta alla presenza dell’assessore Ciriani (allora aveva la delega all’ambiente) giunto in elicottero per vedere dall’alto l’effetto della motosega selvaggia. Siamo dunque all’ultimo atto istruttorio dell’inchiesta innescata da un esposto del Wwf nazionale in cui si parlava di danni ambientali irreparabili provocati con la scusa dell’urgenza. Le proteste avevano invaso il web e gli “esposti” presentati alla Procura anche dai vertici regionali di Lega Ambiente e da numerose persone indignate per la devastazione, avevano avuto il merito di richiamare l’attenzione degli inquirenti su quanto era accaduto in quell’area protetta. Erano state anche chieste le dimissioni di Luca Ciriani che oltre alla carica di vicepresidente della Regione aveva anche il ruolo di assessore all’Ambiente. Ai cinque indagati (che dopo la notifica del decreto di fissazione assumeranno la veste di imputati) il pm contesta due ipotesi di reato definite dagli articoli 733 e 734 del codice penale. La prima – per chi distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione – prevede la pena dell’arresto fino a 18 mesi e un’ammenda non inferiore a tremila euro. La seconda ipotesi di reato contestata dalla Procura di Trieste ai politici, agli amministratori e ai tecnici che hanno agito in Val Rosandra prevede come sanzione solo una pena pecuniaria peraltro piuttosto “salata” per chi ha distrutto o deturpato le “bellezze naturali” di luoghi protetti. In testa alla lista, come detto, c’è il nome dell’assessore Ciriani. Che firmando il decreto del 16 marzo 2012 aveva autorizzato l’operazione “alvei puliti”, facendolo secondo l’accusa «in mancanza di urgenza e dello stato di emergenza e pertanto utilizzando impropriamente e illegittimamente i poteri della Protezione civile». «Normale manutenzione», aveva infatti dichiarato Ciriani durante un’ intervista al Tg3 regionale. A definire il quadro dell’accusa erano state le perizie del biologo Dario Gasparo e del professor Ezio Todini, docente di idrologia e costruzioni dell’Università di Bologna. I due consulenti del pm avevano parlato di danno ambientale importante perché ha riguardato un ambiente comunitario. L’intervento era stato effettuato – a seguito di una serie di sopralluoghi promossi dal Comune, dalla Protezione civile e dalla Comunella – per pulire l’alveo del torrente. Scopo dichiarato, mettere in sicurezza in caso di piene o di eventuali inondazioni, le vite e i beni del residenti. In totale si erano riversati nella valle 200 “volontari” da tutta la regione. E alla fine era rimasta solo desolazione.

 

Strage del Vajont: manifesto di Iniziativa Libertaria di Pordenone

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VAL ROSANDRA: otto indagati per la devastazione

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Dal Piccolo del 08/06/12

Taglio degli alberi in Val Rosandra, gli indagati sono otto

 

Avvisi di garanzia al vicepresidente della giunta regionale Ciriani e al responsabile regionale Berlasso. Nei guai anche il sindaco di San Dorligo Premolin e il suo vice. Viene contestata la disastrosa operazione “Alvei puliti” di fine aprile: l’accusa è di deturpamento di bellezze naturali

 

 

Il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia, Luca Ciriani, e il responsabile della Protezione civile regionale, Guglielmo Berlasso, sono indagati per il presunto “scempio” della Val Rosandra, nel marzo scorso, a causa di contestati lavori di deforestazione. Assieme a loro hanno ricevuto un avviso di garanzia altre sei persone, tra cui il sindaco di San Dorligo della Valle, Fulvia Premolin, e il suo vice.

 

La notifica dell’iscrizione nel registro degli indagati è stata notificata dalla Procura della Repubblica di Trieste a Legambiente del Friuli Venezia Giulia, che in seguito alla vicenda aveva presentato un esposto alla magistratura.

 

Nei confronti degli indagati, il sostituto procuratore Antonio Miggiani ha ipotizzato la contravvenzione di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, prevista dagli articoli 733 bis e 734 del codice penale.

 

L’azione dei volontari della Protezione civile si era svolta il 24 e 25 marzo scorsi, nell’ambito del progetto “Alvei puliti 2012”, con la pulizia di sponde arginali, il taglio di piante pericolanti in corrispondenza degli argini, l’eliminazione dalle sponde di vegetazione infestante. Secondo esponenti ambientalisti, biologi e politici locali, che avevano organizzato anche clamorose proteste pubbliche, l’azione era stata troppo invasiva e aveva portato al grave depauperamento di alberi e piante rari.

 

Lo scempio della Val Rosandra era emerso un paio di giorni dopo essere stato commesso grazie alla mobilitazione sul web. La pagina Facebook del Piccolo e questo sito erano stati sommersi dai messaggi di condanna dell’operato della Protezione civile regionale.

MUTAMENTI CLIMATICI/ Devastazioni e morti in Francia

Repubblica 28 febbraio

La perturbazione ha colpito in particolare e le zone centrali. Venti a 100 km all’ora e inondazioni. Tra le vittime un bambino. Bloccata la stazione di Bordeau

Venti fino a 150 chilometri orari e inondazioni hanno provocato il disastro
in Bretagna e nella parte centrale del Paese.

Maltempo, in Francia 16 morti per la violenta tempesta Xynthia  

Una strada distrutta a causa dell’inondazione nella Francia occidentale

ROMA – E’ di almeno 16 morti il bilancio delle vittime dal maltempo in Francia, in particolare della violenta tempesta Xynthia che da ieri ha colpito il Paese, in particolare Normandia e Bretagna. Tra le vittime anche un bambino di 10 anni. Lo riferiscono le versioni online dei quodidiani francesi. Un milione di famiglie sono prive di energia elettrica. Ritardi fino a due ore per i treni; inattiva la stazione di Bordeaux. Annullati finora 70 voli da Air France nell’aeroporto parigino di Roissy. A provocare i danni peggiori, il vento, che soffia fino a 150 chilometri l’ora, e le inondazioni sulle coste. Si preannuncia un disastro peggiore di quello avvenuto nel 1999, quando morirono 92 persone a causa della tempesta e delle inondazioni.

La profonda depressione sub-tropicale è partita sabato da Madeira, in Portogallo, puntando verso il Nord; in serata è entrata nel Golfo di Biscaglia, passando poi in Bretagna da dove partirà lentamente verso il Mare del Nord. Battezzata Xynthia, la tempesta ha raffiche di vento tra i 130 e i 150 chilometri orari, ma raffiche più violente (fino a 150 km/h) sono state registrate nell’estuario della Loira, nella Gironda e sui Pirenei. Le autorità hanno raccomandato estrema cautela a chi vuole mettersi in viaggio. In Vandea, una delle zone più colpite, molte persone si sono arrampicate sui tetti per sfuggire alla furia dell’acqua. In Bretagna sono state evacuate una dozzina di case, allontanati anche i pazienti di una casa di cura vicino Guingamp.

(28 febbraio 2010)

 

Corriere

MALTEMPO

Uragano in Francia, danni e vittime

Tempesta sulla Francia, vittime
e danni – Foto

19:14 ESTERI «Xynthia» flagella la costa occidentale: inondazioni, blackout e 45 morti

Video

MUTAMENTI CLIMATICI/ Se gli uragani intercettano la marea nera …

Corriere 1 giugno

La tempesta Agatha sul Centro-America: almeno 150 morti

America centrale,
150 morti per la tempesta Agatha

Almeno 150 persone sono morte a causa di alluvioni e frane  provocate in America centrale da Agatha, la prima tempesta tropicale  della stagione. Centinaia i dispersi, migliaia le persone rimaste senza  casa. Nella foto, una strada di Jiquilisco, in El Salvador,  completamente coperta dalle acque (Epa)

 

10:14 ESTERI Il Paese più colpito è il Guatemala. Vittime anche in Honduras ed El Salvador

Foto

Il video

Repubblica 1 giugno

MAREA NERA

La stagione degli uragani
e i nuovi rischi per la costa

Gli esperti prevedono un periodo di tempeste. Se colpissero la zona dove si sta accumulando il petrolio, potrebbero spingerlo verso terra. A distruggere l’ecosistema delle paludi

NEW YORK – L’operazione Top Kill ha fallito 1. Nel Golfo del Messico il petrolio continua a fuoriuscire dalla piattaforma esplosa e la marea nera si è depositata sul fondale, come una manta gigante e tossica. Il malcontento 2 dei cittadini americani, e non solo, è arrivato nelle piazze. Obama 3 è furioso. La Bp non riesce a gestire il disastro e non ci sono più certezze. Ma potrebbe andare peggio.

Con l’arrivo della stagione degli uragani, prevista da inizio giugno fino a novembre inoltrato, la catatrofe potrebbe addirittura aggravarsi. Gli esperti prevedono infatti una delle stagioni più turbolente degli ultimi decenni. Dipende dal clima, dai cambiamenti ai quali il pianeta è sottoposto. Una tempistica che adesso però potrebbe risultare fatale. Se un uragano dovesse passare nella zona della marea nera, i venti e le onde potrebbero il greggio verso la terraferma, a distrugere completamente il fragile equilibrio dell’ecosistema delle paludi.

“Si trasformerà da un disastro ambientale in una catastrofe ambientale senza precedenti”, spiega Brian D. McNoldy, ricercatore e studioso di tempeste tropicali all’Università del Colorado. Le previsioni non possono dare certezze assolute, ma quelle che stanno facendo gli esperti sono pessimistiche da quasi ogni punto di vista. Ma gli effetti sulla marea nera dipendono dal percorso, dalla forza e dalla velocità di un uragano. E dipendono soprattutto dalle dimensioni che avrà raggiunto la macchia di petrolio nel momento in cui dovesse essere colpita dalla tempesta.

Andando in senso anti-orario i venti di un uragano potrebbero spingere la massa oleosa verso la terra, se  l’uragano arrivasse da ovest della macchia, o verso l’oceano nel caso provenisse da est. Inoltre un uragano è in grado di scuotere l’acqua molto violentemente ma abbastanza in superficie, senza arrivare sul fondale dove il greggio si sta accumulando, molto in profondità.

La National Oceanic and Atmospheric Administration prevede per quest’anno l’arrivo di un numero di tempeste compreso tra 14 e 23. Di queste da otto a 14 si trasformeranno in uragani. Tre o sette avranno venti che soffieranno anche  180 chilometri orari. Se non di più. Il mese scorso l’Università del Colorado aveva fatto la stessa previsione: 15 tempeste, otto uragani, quattro dei quali giganteschi. Secondo due esperti della stessa Università, Philip J. Klotzbach e William M. Gray, ci sono il 43 per cento delle possibilità che almeno uno di colpisca la Louisiana. Passando sulla chiazza di petrolio.

Una buona notizia però c’è. Il greggio potrebbe frenare l’uragano e limitarne la violenza. Nel 1996 una coppia di riceratori, i coniugi Joanne e Robert H. Simpson, scoprirono che un liquido insolubile sparso sulla superficie dell’oceano sarebbe stato in grado di limitare l’evaporazione dell’acqua, la stessa che alimenta l’energia di un uragano. In realtà però le tempeste in arrivo saranno troppo estese, forse tra i 300 e i 500 chilometri, troppo più grandi della zona dove si sta spargendo la marea nera.

Come se non bastasse, ha spiegato Kerry A. Emanuel, professore di scienza atmosferica al M.I.T., riducendo l’evaporazione, il petrolio potrebbe surriscaldare le acque del golfo “come una persona che indossi una tuta di gomma in una giornata caldissima di sole”. L’acqua calda significherebbe ancora più energia per nutrire l’uragano.

(01 giugno 2010)

MUTAMENTI CLIMATICI/ Alluvioni devastanti ed oltre 100 morti in Brasile

Repubblica 7 aprile 2010

Il Paese sotto le più forti piogge degli ultimi decenni. Molte frane e si teme per i tanti dispersi. Si scava nel fango.
Allagato anche il Maracanà (video).
Appello del presidente Lula / FOTO / VIDEO
Corriere

BRASILE

Alluvione a Rio de Janeiro: 89 vittime

Alluvione tragica Cento morti a Rio

Foto

Video

11:06 ESTERI Forti piogge da 14 giorni. Strade allagate, crolli e frane: stato d’emergenza

MUTAMENTI CLIMATICI/ Portogallo (Isola di Madera) inondazioni devastanti

Corriere 20 febbraio

PORTOGALLO

Madera devastata dal maltempo

Madera devastata dal maltempo: almeno 32 morti

20:56 ESTERI Le piogge, molto intense sull’isola, hanno provocato inondazioni, cadute di alberi e smottamenti

Video

ECO-CATASTROFI/ Il Po avvelenato dai “lumbard”

Corrriere 28 febbraio

IL DISASTRO

Scaricati altri veleni nel Lambro

Scaricati altri veleni nel Lambro: «Sciacallaggio»

11:04 CRONACA Nuova grande macchia inquinante sul fiume: «Pericolo emulazione»

 

 

Repubblica 27 febbraio

Il padre Po avvelenato dai figli
in 5 anni l’inquinamento è triplicato

 

Veleno e cemento oltraggiano acque millenarie
Sindaci e ambientalisti sono in allarme

di GIORGIO BOCCA

Il padre Po avvelenato dai figli in 5 anni l'inquinamento è triplicato

IL LAMBRO avvelenato, che minaccia di avvelenare il Po è l’ultima delle devastazioni compiute dal partito del fare e del non ragionare. Il Piemonte è “il padre di tutte le inondazioni”, i suoi fiumi non tengono più, non regolano più. Contadini, industrie e cavatori hanno chiesto all’alto corso del Po più del ragionevole.

Hanno preso i suoi valligiani per farne dei manovali, le sue acque per derivazioni che in certi tratti, d’inverno, asciugano il fiume che è tanto più pericoloso quanto più è in magra. Tra Casalgrasso e Moncalieri, c’è il “materasso alluvionale” più profondo e più pregiato d’Europa. Ghiaie e sabbie depositatesi nei millenni per una profondità che arriva ai duecento metri, materiali di corso alto dunque puri e pregiati. Ogni tanto, dove il bosco fluviale s’interrompe, sembra di essere sul Canale di Suez dove passa fra alte dune sabbiose. Sono le colline di sabbia delle cave per cui si muovono come insetti mostruosi i camion giganti. Ricordano la confusione e il fervore dantesco dell'”arsenal dei viniziani”, gru alte cinquanta metri, scavatrici mostruose, baracche e la pozza d’acqua della cava, delle voragini profonde fino a duecento metri, a centinaia in un territorio che dall’alto sembra un groviera con il rischio che le acque del fiume sfondino le paratie di terra e si uniscano alle acque delle cave con un caos idrologico imprevedibile.

Il rischio è grande, ma cosa è il rischio per i contemporanei? Gli esperti del Progetto Po ci perdono la testa, ma per i due milioni di Torino e dintorni è una cosa inesistente. Eppure le acque delle cave inquinatissime potrebbero penetrare nella falda acquifera che fornisce il settanta per cento dei consumi della metropoli. La grande difesa in superficie del depuratore del Po Sangone, il più grande e pare l’unico da qui al delta, potrebbe essere sottopassato. Ma che sanno i nostri governanti di questi rischi? Poi le genti del fiume Po hanno perpetrato il misfatto di rifiutare, di sabotare la navigazione commerciale del fiume. Ogni giorno arriva nel porto fluviale di Cremona una nave da carico. Potrebbero essere trenta, cinquanta se Cremona fosse collegata all’area di Milano, dove si concentra la metà della produzione industriale italiana, ma gli agrari si oppongono. Quanti sono? Forse cinquecento proprietari fra grandi e piccoli fra Pizzighettone e Crema. Più forti dei quattro milioni di abitanti della grande Milano e pronti a tutto. Il teorema degli agrari è il seguente: il canale è inutile perché il Po non è veramente navigabile: fondali bassi, nebbie, due periodi di magra. Non è vero, il professor Della Luna, un grande esperto del Po dice: “I giorni in cui il Po da Cremona al mare ha un fondale di due metri e cinquanta, due metri e ottanta sono duecentosessantanove, sui due metri trecentodiciassette. I fondali sui due metri e ottanta saranno necessari quando useremo le navi fluvio-marine lunghe centocinque metri e larghe undici e cinquanta, navi da duemila tonnellate, ma con le navi di oggi i fondali medi sono sufficienti. Quelli del Reno, che è la più grande via d’acqua d’Europa, sono analoghi”. Credo che il professore, che è fra i progettisti del canale dica una cosa vera: il Po è il più navigabile fiume d’Europa e il meno navigato. Cremona è a trenta metri di altezza sul livello del mare mentre il Rodano a Lione a centosessanta. Il dislivello tra Cremona e Milano è di cinquanta metri, e il canale tedesco tra il Meno e il Danubio ha superato una quota di quattrocentosei metri. I francesi vogliono collegare con un canale Parigi a Lilla, ci sono due progetti ed è in corso una lotta aspra fra i sindaci dei due tracciati che se lo contendono. Qui i venti sindaci fra Pizzighettone e Milano sono tutti fortemente ostili. Perché? Perché i lombardi hanno perso il gusto per l’intrapresa e sono allineati sulla linea conservatrice di “sfruttiamo l’esistente”.

Ma cosa è questo esistente? È un sistema di trasporto su strada prossimo a scoppiare anzi già scoppiato. Nonostante la terza corsia, la autostrada Milano-Bologna, è già un fiume rombante di camion che non possono, come un fiume vero, “esondare” in lanche o golene. E siccome il piano Delors prevede nel decennio un raddoppio del traffico o si usano anche le vie di acqua o si va verso una cementificazione folle. Nella metropoli milanese vivono quattro milioni di persone e ognuna di esse ha bisogno di un trasporto di materiali solidi di tre metri cubi: cifre terrificanti. Il Po è un fiume di rare piene ma disastrose, nel ’51 e nel ’94 ha inondato intere province. Ma per la navigazione è un fiume placido, riceve gli ultimi dei suoi trenta grossi affluenti, il Mincio e il Panaro a 160, 140 chilometri dalla foce, diciamo una portata costante con variazioni regolari, ma dei grandi fiumi europei è il meno usato, quattrocentomila tonnellate di merce contro milioni.

Il Po è il grande padre avvelenato dai suoi figli. “Spero di morire prima di veder morto il Po” si legge in uno degli ultimi scritti di Riccardo Bacchelli. L’agonia è stata, per un fiume millenario, rapida, quindici anni fa il Po era ancora un Nilo, invadeva secondo le stagioni le terre di golena e le fecondava, dico le terre comprese fra gli argini di maestra, alti, possenti, rinforzati ogni anno e gli argini di ripa, pian piano invase dai coltivatori padani che vi hanno costruito le loro case le loro “grange” o piccoli borghi mettendo nel conto che ogni tanti anni, magari cinquanta, magari dieci il fiume dà e toglie, arricchisce e impoverisce. Gente di Po, comunque, incapace di abbandonare il suo fiume, la sua storia. Ora dopo una esondazione – sono belli i nomi fluviali – restano sul terreno chiazze di olio, macchie calcinate di residui chimici. “Solo pochi anni fa – mi dice un uomo del fiume – andare per i pioppeti inondati era stupendo, si passava in barchino tra i filari nella luce ombra della piantagione, più che una violenza era una silente, pacifica comunione di acque e di piante. Ora, appesi ai rami più bassi, trovi i sacchetti di plastica, i nastri di plastica e sembra di stare in un film dell’orrore, ti aspetti che compaiano mostri esangui”. Ma anche i pallidi eleganti pioppi hanno la loro parte nel disastro del Po. Li hanno piantati fino alla riva del fiume e non sono alberi che rafforzano l’argine, non si piegano all’onda come i canneti o i salici, non hanno radici forti come gli ontani, sono piante di poche radici sradicabili, per proteggerli si è imprigionato il fiume nei cassoni dei “bolognini” o delle prismate, difese dure che fanno impazzire la corrente. E inquinano, i tronchi sono cosparsi di insetticidi, la chimica arriva nel terreno, bisognerebbe arretrarli di almeno cento metri ma quel che è fatto è fatto, la barriera verde sta sulle rive. L’agonia per un fiume millenario che non era mai sostanzialmente cambiato è stata rapida, questione di venti, di quindici anni. Non molto tempo fa i pescatori si facevano la minestra con l’acqua del fiume prendevano l’acqua con la loro tazza di legno per berla. Ora non se la sentono più di entrarci a gambe nude, si proteggono con stivaloni e tute. L’inquinamento è salito negli ultimi cinque anni dai 14 milligrammi per litro ai 50. Pochi anni fa la gente del Po anche benestante faceva le vacanze sul fiume, preferiva i suoi ghiaioni alle spiagge affollate di Viareggio o di Rimini, conosceva gli accessi, sapeva tagliare le frasche con cui fare dei ripari al sole, non sentiva come Gioan Brera nessun complesso edipico verso il padre fiume feroce “rombante nelle notti di piena” semmai, adesso, il complesso è verso il padre sporco. Le società fluviali avevano nomi diversi ma sempre abbinati a “canottieri” e il legame è così antico che anche se ci si bagna in piscina in club aperti di recente a quindici chilometri dal fiume sempre canottieri sono.

Ha scritto uno studioso del fiume, Piero Bevilacqua: “Nella cultura dello sviluppo padano ci si è mossi verso l’ambiente come in una realtà da dominare, da schiacciare”. Che il Po fosse il sistema nervoso di questa grande valle, il punto di riferimento, di identità, quello che dava una misura precisa alla nostra vita non ha avuto alcuna importanza: era solo un canale di scarico, un luogo per estrazioni di sabbia e allevamenti di maiali. Non si è più distinto fra rischi accettabili e rischi mortali, fra i rischi normali di un fiume e la sua uccisione; non si è più distinto fra convivenza accettabile e convivenza distruttiva. E così si è arrivati all’assurdo che per la manutenzione normale del fiume si sono spesi in sei anni settecento miliardi e per pagare i danni della piena del Tanaro diecimila. Che per l’auto ogni persona spende tre milioni l’anno ma tutti assieme i lombardi non sono stati capaci di bonificare la zona del Lambro, non se ne è fatto niente perché l’acqua del Lambro e dei pozzi è strumento di potere politico che i sindaci e i partiti non vogliono mollare. I soldi per la variante di valico dell’autostrada Bologna-Firenze li troveremo, ma quelli per collegare le vie d’acqua del Veneto e andare dal Po a Ravenna chi sa quando. Eppure sono ottimista, ho partecipato quest’anno a un convegno sul Po, c’erano quattrocento amministratori, tecnici, studiosi del fiume. Molti non si erano mai incontrati prima, eppure c’era un sentire comune: il governo civile del Po, il recupero del Po devono diventare senso comune, devono formare un nuovo pensiero sociale che riprenda il cammino del riformismo del primo Novecento. La secessione non risolve nulla, ci vuole l’autogoverno solidale. Come mai? La società impazzisce ogni tanto.

L’agonia del fiume e anche quella dei suoi pesci, non molti anni fa al mercato di Piacenza vendevano trance di storione di Po oggi se ne trovano ancora, non i giganti di quattro metri di cui Plinio il vecchio per Paduam navigante, seguiva le scie argentee, se ne pescano ancora nelle lanche di acqua tiepida dove vengono a digerire il pasto di carpe e di cavedani ma non superiori ai due metri. Sono scomparse anche le anguille di Ongina dove una ostessa con la faccia di Giuseppe Verdi le friggeva crocchianti e dolci mentre il marito era addetto al taglio perpetuo dei culatelli di Zibello, le cose miracolose che maturano solo all’aria umida del Po come i prosciutti e gli stradivari. Nel fiume si pescano ancora lucci, scardole, cavedani, carpe ma spesso “di gusto avariato”. Imperversa il pesce siluro, lo squalo del Po. Venti anni fa non c’era o era rarissimo. Dicono che questo silurus flanis descritto dai naturalisti come “pesce tirannico, crudele vorace” sia arrivato dal Baltico. “C’è una Lombardia – mi dice il dottor Gavioli assessore all’Ambiente della Provincia di Parma – che ha prodotto i grandi costruttori di canali da Leonardo al Filarete e un’altra che ha prodotto Craxi e Formigoni”, la Lombardia che ha impiegato venti anni a rendere percorribili le strade per Como e per Lecco, che non è stata capace di bonificare il bacino del Lambro che butta nel Po tutti i suoi rifiuti e veleni, incapace di capire che non ci sono solo gli interessi suoi ma anche quelli dei sedici milioni di italiani che stanno nei settantamila chilometri quadrati del bacino fluviale, nelle terre che Philippe de Commines, al seguito di Carlo VIII di Francia descrisse nel suo diario come “il paese più bello e il più abbondante di Europa”. Non è facile capire per quale involuzione dello sviluppo questa Lombardia che scavava i navigli per cui passavano le merci provenienti da Genova e dall’Adriatico fino alla fossa interna milanese dove si legavano a quelli provenienti dall’Europa attraverso i laghi, come mai la Lombardia dei grandi ingegneri idraulici come l’Aristotele Fioravanti e il Bertola da Novate non sia capace oggi di collegare il Po a Milano, non riesca a fare di questo Po cadaverico e puzzolente il fiume della rinascita.

 

 

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