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DUMBLES / Femminicidio

Ieri sera non abbiamo avuto parole, se non un: Ancora?! Il suono uscito da un pugno nello stomaco tanto più forte quanto più il fatto è vicino nel tempo e nello spazio. Ancora? Ma non potevamo mica pensare che dopo il 25 novembre giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dopo che i giornali e i telegiornali ne hanno parlato, dopo che hanno perfino adottato il termine “femminicidio, questo fosse finito? No. Il bollettino di guerra si aggiorna sempre; oggi ci parla di Lisa che da ieri sera non c’è più perchè accoltellata a morte dall’ex convivente che lei aveva già denunciato tre volte.

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DUMBLES/ Antifa-sisters

Pensieri per sabato in previsione della presenza dei fasci a Udine.

PER CHI DANZA SAL(O)ME’

Inizia la campagna elettorale, aspettiamoci il peggio.

Quando poi si parla di fasci, il peggio è con loro; anzi, sono loro proprio; pronti ad agitare i peggiori retaggi della storia rieditandoli e riproponendoli ai baucchi che non mancano mai e che ci cascano sempre.

Allora sabato eccoli di nuovo, con la “soluzione ungherese” al problema udinese, che secondo loro, sarebbe quello degli extracomunitari.

 

In Ungheria c’è questo partito Jobbik, fondato sull’odio razziale, sulla criminalizzazione dei Rom, sulla negazione dell’olocausto e sull’antisemitismo che fa ancora tanta presa sulle teste che hanno goulash al posto del cervello.

I msi-fiamma tricolor locali devono aver pensato che la formula che va tanto in Ungheria, si può esportare anche qua, basta sostituire all’occorrenza gli extracomunitari agli ebrei o ai rom, farli pensare come origine di tutti i problemi, renderli oggetto di odio etnico e razziale, e passare all’incasso dei voti di quelli che hanno brovada al posto del cervello.

Per sabato si sono pure portati una rappresentanza della guardia ungherese, la riedizione della milizia che ai tempi della seconda guerra mondiale collaborò con i nazisti e con loro si diede da fare per la soluzione finale.

Questa cosa dell’Ungheria poi ci ha fatto pensare che non molto tempo fa, lì il governo sostenuto dall’estrema destra, ha sancito la non punibilità per chi si rende colpevole di atti di violenza entro la famiglia (in genere compiuta contro le donne); un deputato della maggioranza allora disse testualmente: «Le donne, prima di volersi emancipare, se vogliono piu rispetto, partoriscano piu bambini, due o tre, anche quattro, e allora avranno più rispetto”…. Ah, come tutto questo riecheggia i proclami sulla famiglia intoccabile, la donna toccabilissima e l’aborto proibitissimo, tutti temi che, siamo sicure, verranno di nuovo abbrustoliti sulla fiamma prelettorale rilasciando quel noto puzzo integralista che tanto piace alle narici vaticane.

Aspettiamocelo perchè dopo gli extracomunitari attaccheranno anche con questa solfa perchè lo schemino è sempre quello, rivolto ai minus habens della convivenza che sono quelli poi che vanno ad ingrossare (per modo di dire, perchè qui restano quattro gatti) le loro file.

Il loro volantino è un’accozzaglia di demenze; Roma imperiale e piazza duomo a Udine invasa da musulmani in preghiera… l’immaginario fascista e il terrorismo sull’invasione degli anticristi e poi due note di realtà: un’immagine dall’”Africa sottosviluppata” e la protesta degli immigrati a Rosarno.

Puzzoni come la merda; falsi come le monede di Buje che se l’Africa è così la gran parte della responsabilità è del selvaggio sfruttamento occidentale, delle imprese di colonizzazione loro nonni compresi, e se gli immigrati protestano a Rosarno è perchè sono tenuti in condizioni che una volta si chiamavano schiavitù, anzi, in schiavitù nell’agricoltura italiana e non solo a Rosarno, a tutt’oggi ci sono 700mila persone e questo spiega anche perchè torna comodo istigare al razzismo: perchè rende, perchè se non li odi, se non li ritieni inferiori non li puoi sfruttare con serenità e con la coscienza a posto oppure non puoi essere complice morale di chi lo fa.

Tenere la fiamma del razzismo e del fascismo sempre accesa conviene e per questo ci sono le vestali dell’msi ora in pieno estro elettorale in copula con gli ungheresi.

Nasceranno mostri.

DUMBLES / iniziative

Al ûl tignût cjacarât

Bisogna tener parlato, ma anche,  bisogna tenersi parlat∞.
E’ uno dei modi attraverso il quale Sergio Pezzetta attraversa il tempo: dal dopoguerra ad oggi, e lo spazio: dal Friuli alla allora Yugoslavia, in andate e ritorni, in giri, rigiri e labirinti tenendosi al filo della parola che non ti fa mai perdere.
Venerdì 1 marzo ospiteremo Federico Sabot che ha ascoltato, raccolto e trascritto il cjacarà di Sergio; e, anche se materialmente non può essere con noi, ospiteremo anche Sergio e la sua “strategia” di vita nella parola incarnata nella lingua. Ospiteremo la sua lingua, altra creatura viva che esce dal testo, ancora più viva perchè imbastardita da tutt∞ quell∞ che nella vita di Sergio l’hanno attraversata e contaminata.

Federico Sabot-Domenico “Sergio” Pezzetta
L’AMICO DEI CANI
avventure underground di Sergio
ed. Sensibili alle Foglie

VENERDI’ 1 MARZO 2013  H. 20.30  ex CANTUCCIO via Baldissera UDINE – CONVERSAZIONE con l’AUTORE del LIBRO

Qui sotto il volantino dell’appuntamento.

 

 

 

Questo lavoro scaturisce da un incontro-contagio
tra un uomo poco meno che quarantenne e un uomo poco più che ottantenne,
tra due uomini diversi per età, cultura, origine, condizione sociale, esperienza di vita,…
tra i quali scatta una simpatia istintiva, un’amicizia schietta, un affetto privo di sentimentalismo, una familiarità anti-familista, una sintonia curiosa.
Sergio, il protagonista, è un sottoproletario, ha condotto nei suoi 80 anni una vita interstiziale; non si è piegato al sistema d’ordine del linguaggio, ha inventato una pratica alternativa nel raccontarsi, un proprio stile fabulatorio-speculativo; un proprio stile di vita.
Federico, il trascrittore, si è lasciato catturare nella sua trama e si è messo in ascolto.
Da qui la scelta di limitarsi a una trascrizione contigua del parlato, pur nella consapevolezza dell’ostacolo alla comprensione, complicato dal friulano e da inserimenti prestati dalle lingue slave e dal triestino.
Il risultato è una narrazione anomala della propria vita, nella forma e nella sostanza: come quella di chi, ogni tanto, continua a volgere lo sguardo verso il bosco, perchè là si trova la sua vera patria. Testimonianza che non accetta di rimanere inascoltata ma che è meditata e vuole, al contrario, lasciare sensazione di sè.

DUMBLES / Ogni cosa al suo posto…

… ed un posto per ogni cosa.

Già questo motto è fastidioso per chi non riesce a stare nel banale ordine domestico delle mutande nel giusto cassetto, figuriamoci quando lo stesso riquadro schematico viene utilizzato per rimettere a posto la realtà momentaneamente perturbata, messa in disordine, da un evento drammatico.

Parliamo ovviamente della Costa Concordia, una tragedia all’italiana, verrebbe da dire, se volessimo anche noi farci prendere dalla smania della catalogazione degli eventi.

In realtà i cassetti dell’arredamento socioculturale non attendono eventi, attendono persone cui affidare il ruolo di nuclei di rappresentanza della morale nazionale: il buono, il cattivo, la donna.
Ritratti costruiti subito in un concatenarsi di identità che se non c’erano, bisognava inventarle.
Intanto il buono, il coraggioso, l’eroe, ma soprattutto l’uomo con le carte in regola: padre e marito esemplare; Repubblica ci tiene a sottolinearlo, ancor prima di descriverne l’operato: moglie e figlie sono il suo mondo.
“Da grande voglio essere De Falco” dice un tale (sempre Repubblica), quello che ordina, quello che dice “adesso comando io”… la voce del comando che tanto è piaciuta al punto da essere riverberata da una massa di automi belanti nelle inquietanti, più che divertenti, t scirt.
Da  prendersi veramente male quando dalla maglietta alla corteccia, l’ammirazione si trasfigura nella richiesta di autorità  (incarnata guardaunpò in una divisa), di uomo forte, di uno che mette le cose a posto, leader, guida, dux… All’italiana, insomma.
Come italianissima è la figura del cattivo meglio definito dagli eventi come il codardo.
Qui si è visto un distillato di ipocrisia purissima. L’affondamento mediatico di un modello, quello del maschio farfallone, sbruffone, piacione, che fino ad un momento prima piace; piace  al popolo delle crociere come a quello televisivo; quel maschio che popola una realtà quotidiana deprimente e kitsch, dalle nostre parti lo chiamiamo coiar; quello che nessuno in tempi ordinari si sognerebbe di demolire, anzi, il disgraziato è l’incarnazione di uno stile  permesso, ricercato, stimolato, perfino applaudito e se, nella fattispecie dell’azione incriminata origine del dramma,  l’inchino era usanza a conoscenza e con compiacenza delle compagnie e delle capitanerie, è già detto tutto.
E poi c’è la donna. Poteva forse mancare la chiave di volta, quella che rende il cattivo un po’ meno cattivo perché offre all’interpretazione un’alibi alla sua distrazione? E’ ancora Eva che induce l’uomo al peccato. Perciò eccoli pronti i ricami a punto in croce per «La ragazza senza cabina»,  “La donna biondo platino sulla plancia”. “La ballerina moldava che ha fatto girar la testa a Capitan Codardo”. L’ultimo titolo è di Libero il quale ovviamente non poteva rinuniare alla sua mission: la colpa etnica. La costruzione ed il rinforzo dello stereotipo, la relazione biunivoca fra provenienza e colpa. Lo osservava bene l’altro giorno Dino Amenduni sul Fatto quotidiano:  “se ricordiamo al lettore che quando c’è un furto è stato commesso da un rumeno, che quando c’è un atto di violenza è stata colpa di un maghrebino, che quando c’è una “donna misteriosa” (e non una dipendente della compagnia) a bordo è moldava, mentre non abbiamo lo stesso tipo di zelo nello specificare l’origine (italiana o occidentale) di altri esseri umani che commettono lo stesso tipo di azioni, alla lunga autorizziamo gli italiani a pensare che solo uno straniero, un determinato tipo di straniero, compie un determinato tipo di azione“.
Così nel lavoro di sistemazione delle figurine giornali e telegiornali ci hanno marciato una settimana, vendendo qualcosa in più e risistemando anche il nostro ordine sociale e morale.
Perché nel costume italico è così; nemmeno le tragedie sono trattate con correttezza, bisogna rimescolare carte e colpe e talvolta o spesso, nascondere le mancanze e gli errori.
Per esempio quasi nessuno ha ricordato che il 14 gennaio c’era stata a Venezia la manifestazione contro il passaggio in laguna delle navi da crociera:  “Big ship …. you kill me” stava scritto su uno striscione; ma lo spirito dell’ “oscena movida galleggiante” come la chiama Sergio Bologna è quello di far avvicinare questi mostri pericolosamente alle coste più belle, alle acque protette dei pochi e non presidiati parchi marini.
Qualcosa si farà, forse sì, forse no, ma questo è già un altro ordine di problemi e riguarderà la politica e gli interessi delle compagnie di navigazione.
La nave affonderà, forse sì, forse no, ma di sicuro poco o tanto, inquinerà; ma anche questo è un altro ordine di problemi. E alla lunga, a chi interessa?
Gli spettatori del dramma, quelli che non ne sono stati toccati direttamente, sono stati serviti; anche se con un po’ di dispiacere per il De Falco eroe che ha rifiutato le numerose richieste di comparsate televisive; appagati comunque da quella di Domnica, la moldava, che dallo schermo di un’altra TV profferiva la sua verità. Credibile o meno, in ogni caso lei è già stata utile a far ordine e a dar senso agli eventi. Anche lei è stata messa nel posto che le spettava nella costruzione della casa morale degli italiani. 
Unico particolare in questo mare di certezze stereotipate, lo studio della TV moldava che ha inervistato Domnica, aveva arredato lo sfondo con una  riproduzione di un disegno di   Maurits Cornelius Escher; il titolo: relativity.

DUMBLES / Resoconto

Avevamo scritto questo resoconto prima di quanto successo in Val Susa, di quello che in questo momento impegna le nostre forze e la nostra sensibilità.Lo pubblichiamo ugualmente un po’ come cronaca o promemoria o come invito ad ulteriori riflessioni intorno a temi che ci riguardano tutt*.

Giovedì sera siamo andate ad una iniziativa organizzata dalle Donne in nero di Udine su “il nodo della sessualità nella relazione fra uomini e donne. Una questione politica”.

A dire il vero, non condividevamo molto i presupposti della presentazione che individuavano nel berlusconismo, e sembra, solo in quello: “un esempio di degrado della cosa pubblica e l’espressione di una sessualità maschile in evidente crisi. Non solo di prestazione, visto il ricorso crescente alle protesi tecnologiche e farmacologiche, ma soprattutto in crisi di desiderio, ed incapace di dare senso alle relazioni con le donne. Una sessualità maschile tutta fondata sulla virilità, che tentava di ripristinare, con arroganza, i classici ruoli di generi che quarant’anni di femminismo aveva destabilizzato in Italia
Non condividevamo poi l’idea che la sua demolizione, sia avvenuta, a loro dire, in larga misura per il contributo delle donne…
Ma non è su quello che non condividiamo che ci vogliamo soffermare, ma sul relatore: Stefano Ciccone fondatore dell’associazione Maschile Plurale.
Per noi, forzate spesso dalla realtà, a declinare la differenza sessuale in termini di stalking, di stupro, violenza, femminicidio, insomma in tutte le gradazioni dell’aggressività maschile e della complicità sociale e mediatica che a questa afferiscono,  poterla vedere dalla  prospettiva offerta da Ciccone, dal genere maschile che tenta di decostruire il dominio che sessualmente e socialmente sarebbe chiamato ad esercitare, -e non solo in termini ideologici, come sono bravi a far tutti-, è stato come prendere una boccata d’ossigeno.
L’argomento è vasto, lo si può prendere da molti versi; prendiamolo da quello simbolico che poi è anche quello della lingua, con un esempio fatto dallo stesso Ciccone: quando negli anni ’70 il femminismo irruppe nelle piazze con le sue istanze, il gesto che simboleggiava con forza l’entrata nel contesto politico del femminile, del corpo negato del quale riappropriarsi,  era l’unione fra le due mani del pollice e dell’indice, il simbolo di una vagina. E che simboli ha l’uomo se vuole enunciarsi al di fuori degli schemi della dominanza? Il dito medio, il “vai a farti fottere”, il segno di penetrazione e di potere; fuori dal dominio non ha nulla, non simboli, non voce, non lingua perché il suo percorso quasi obbligato è la lingua che ha la presunzione di essere neutra universale, in realtà, maschile dominante.
“Maschile plurale” quindi, per chiamare il genere, perché il genere universale semplicemente non esiste, e come si può anche solo pensare la differenza sessuale, se essa non esiste in quanto entità riconosciuta per se stessa nemmeno nel comune parlare?
Luce Irigaray scriveva: “La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare” (*) e lo scriveva 27 anni fa… abbiamo pensato? E che abbiamo concluso? Stando al parlato, poco. .…; la lingua non si inventa, vive nei suoi e nelle sue parlanti e la parola è una materializzazione, un’azione vera e propria…
Poiché è la nostra visione del mondo non si modifica l’una senza l’altro, ma dall’uno o dall’altra si dovrà pur incominciare.
La donna ridotta a “gnocca” esaltata da anni e anni di berlusconismo, è ancora tra noi e il “salga a bordo cazzo” è la voce del comando rinforzato dalla sua unità di misura e fino al governo del MontiRobot, il figurino Martone parla di giovani “sfigati“, che anche la s-figa è unità di misura per uomo…e via avanti.
Per questo non possiamo ascrivere a Berlusconi ciò che non è solo di Berlusconi;  lui ha sniffato più di altr* i profumi, o miasmi, della sociocultura patriarcale e li ha resi evidenti esaltandoli, tutto qui; il bello è che sono piaciuti a molt* perché come sappiamo il papi è stato molto votato.
Senonchè,  prima di lui e dopo di lui questi rimangono sottotraccia, ancora lì ad indicare che un’etica della differenza sessuale è di là da venire… che dei soggetti di genere maschile ci si mettano a riflettere seriamente è una gran cosa; cosa che difficilmente avviene in quei movimenti che per definizione antiautoritari si ritengono già con le carte in regola.
E questo è un altro aspetto ancora, sul quale varrà veramente la pena approfondire.
Come, per rimanere a giovedì, va detto che l’altra relatrice era Paola Melchiori attivista del movimento femminista, fondatrice della Libera Università delle Donne di Milano e presidente del Wise Women International Feminist University Network che, pur essendo una “femminista storica”, per noi non ha detto nulla di interessante; ancor meno i deprimentissimi interventi del pubblico in forma di “donne di partito” o simpatizzanti,  che riportando tutto a quote rosa, rappresentanza et similia hanno fatto sì che la preziosa riflessione di Ciccone, (peraltro contrario a questi pannicelli istituzionali ed anche critico verso le snoq [Se Non Ora Quando?]), sia stata, come dire, gettata alle ortiche.

(*) Luce Irigaray “Etica della differenza sessuale”, Feltrinelli 1985
(**) stesso pg. 110

DUMBLES / Gli infeltriti

 

“…amor dammi quel fazzolettino, vado alla fonte lo vado a lavaaar…”.
Qualcuno  forse lo conoscerà; è un pezzo di strofa di un canto popolare (qui ve lo godete tutto), di quando c’era una volta che le donne facevano il bucato, e pure con amore, a mariti e fidanzati.

Sui canti popolari, in particolare quelli contadini,  su quello che sono stati come manuali di autoistruzione per donne e uomini all’esercizio dei ruoli prescritti, e soprattutto su come, anche attraverso i canti, si siano costruite la dominanza e la subordinazione, basi strutturali di quello che oggi chiamiamo specismo, anche inteso nella sua declinazione sessista,  ne parla Ivan Cavicchi in un interessante articolo.
Conclude Cavicchi: “…Cosa ci insegna la comprensione dello specismo? Tante cose che per converso ad esempio ci fanno capire quanto importante sia il linguaggio per decostruire delle coercizioni ontologiche e quanto sia importante definire delle contro logiche che prima di ogni altra cosa rigenerino il genere perduto ecc. Ma a parte ciò, mi chiedo lo specismo è un fenomeno antropologico del passato? …
Neanche detto, ecco irrompere l’implacabile presente con le sue risposte dal web: che cosa ti troviamo il giorno dopo l’8 marzo? Questo: una si appresta a fare la lavatrice mettendoci dentro i pantaloni del fidanzato, controlla le indicazioni di lavaggio sull’etichetta in coda alle quali sta scritto: “…altrimenti dalli alla tua donna, è il suo lavoro”.
Amooor dammi quel pantaloncinooo…
Gli si infeltrissero i coglioni! Ha esclamato una di noi quando ci siamo passate la notizia. E’ irritante, deprimente, ma allo stesso tempo anche patetico, e per noi che il bucato è autogestito, come del resto molte altre cose sicuramente più importanti; è quasi divertente osservare che cosa si dovranno ancora inventare gli orbati dal segno del comando costretti a scrivere sulle istruzioni quello che una volta le donne facevano di default e pure con amooore.
La tipa che ha scoperto the message for men, è una giornalista, sicchè la cosa è finita sul Telegraph e poi sul web ecc. ecc. e poi la casa produttrice, la Madhouse, ha dato la colpa ai cinesi, che sono loro che li hanno fabbricati i pantaloni della vergogna… insomma, la catena della meschinità per una cosa che, anche se pensata con intento ironico, mette in moto la catena dello sciacquone.
Sarebbe certo interessante a tutt’oggi decostruire tutte le pubblicità sui bucati; ma già così, andando a memoria,  si intuisce che ancora molte richiamano con nostalgia quel clima da fazzolettino lavato alla fonte da donne sorridenti, illuminate dal sole, circondate da brezze floreali nei campi di pratoline; qualche uomo in ammollo per la prova tecnica e qualche imbranato in mezzo a matrone che sanno il fatto loro perché il bucato dovrebbe essere il loro mestiere. Difficile schiodarsi da dove si è incastrati, ma intanto provare, c’è sempre una prima volta, e poi, essere infeltriti dentro è molto peggio che esserlo fuori.

 

DUMBLES / Stupro

Stupro: al di là di ogni ragionevole patrocinio
L’obiettivo è ovvio, la modalità per raggiungerlo è tristemente nota e palese: rendere la vittima causa del suo male, trasformare il carnefice in vittima di adescamento, seduzione, inganno, infine trasformare la vittima in carnefice sicchè il carnefice cioè l’imputato (o gli imputati) per stupro, possano godere del minimo della pena o dell’assoluzione.

Questa è la strategia adottata dalla maggior parte dei difensori nei processi per stupro.
Questa è invariabilmente anche la strategia adottata dal difensore del militare di stanza all’Aquila imputato per lo stupro di una  ragazza a Pizzoli (AQ).
La vicenda narrata dai quotidiani di circa un mese fa è questa: all’uscita da una discoteca una ragazza viene stuprata, in maniera estremamente violenta, probabilmente, come ha osservato successivamente  il chirurgo che l’ha operata,  anche con una sbarra di metallo, dato le profonde e forse permanenti lesioni all’apparato digerente; viene abbandonata nel retro della discoteca, nella neve dove rischia la morte per ipotermia. Solo l’uscita del titolare della discoteca nel giro esterno prima di chiudere, le salva la vita.
Ma, sia quel che sia, appresso al fatto ecco le prime mosse dentro lo schema prestabilito.
Il discredito della donna fondato sulla sua partecipazione consensuale, sull’uso di alcool giocato sempre come aggravante in quanto segno di  immoralità… (mentre, in genere, per l’uomo, l’assunzione di alcool o droghe, è spesso giocato come attenuante in quanto segno di momentanea incoscienza e quindi di non piena responsabilità del fatto che gli si vorrebbe ascrivere), infine, la riduzione del delitto ad un “rapporto amoroso consenziente che ha provocato ferite”.
Queste ultime sono le testuali parole dell’avvocato di cui sopra pronunciate in due trasmissioni televisive.
Di questo ne ha parlato il blog  Fuori genere che ha anche aggiunto i due video estratti dalle trasmissioni in questione. Guardateli, che siate uomini o donne, guardateli, immaginate di essere voi ferit* o mutilat* in qualcosa, immaginate di essere voi parte lesa, guardateli e tenete vicino il sacchetto per il vomito.
Il disgusto è assoluto, primo per l’uomo che si permette di sparare tali e tante oscenità da andare veramente oltre il miserabile uso, -possibile solo in un paese profondamente maschilista-, di patrocinare l’imputato secondo lo schema che abbiamo detto.
E poi c’è dell’altro, c’è quella comparazione tra il rapporto amoroso che provoca ferite, il parto fisiologico che provoca ferite, e quel particolare rapporto che ha provocato ferite. C’è quella implicita, suggerita, relazione di contiguità e uguaglianza tra il condiviso e il naturale accomunati dal provocare ferite sicchè lo stupro svanisce a meno di non pensare che o un rapporto naturale è uno stupro o uno stupro è un rapporto naturale. Un orrore.
Un orrore l’avvocato che svela in televisione il nome della vittima e poi dice “embhè… mi è scappato…
Un orrore le trasmissioni che permettono di dare voce a certi individui calati in pseudo dibattiti che hanno il solo scopo di eiaculare in piazza porcherie patriarcali in un finto contradditorio che in realtà è un’ulteriore stupro sul corpo di quella donna, ma anche di tutte le donne.
Alla fine quel po’ po’ di avvocato, si chiede come farà a spiegare a suo figlio che un uomo rischia di essere condannato a 15 anni per tentato omicidio e non ad un anno solo per “omissione di soccorso”. .
Noi ci chiediamo come facciamo noi, a spiegare, a noi ed alle nostre figlie, ma anche ai nostri figli che, ad anni ed anni da “processo per stupro” esistano ancora avvocati del genere…
Forse dobbiamo continuare a fare le femministe, ora più che mai.

DUMBLES / La nostra Resistenza

La scelta partigiana

Raccontava la partigiana Gianna: “…“lì (in montagna) i compagni ci hanno accolto felici perché avremmo attaccato i bottoni, li avremmo spidocchiati, avremmo fatto da mangiare”, ma no, loro erano andate in montagna per combattere … non per “fare esclusivamente quello che ci propongono i compagni!”…
Loro, come le tante che da casa aiutavano in tutti i modi possibili la Resistenza,  erano donne “donne che la Resistenza ce l’avevano dentro come impulso morale, per cui quello che si doveva fare andava fatto senza discutere ”; loro,  quelle che “gli uomini nei loro libri per decenni neanche le hanno citate.”; quelli che “ci è voluto un sacco di tempo per fargli capire che la Resistenza non sarebbe stata quello che è stata senza la partecipazione delle donne”; (* ) a loro, la scelta partigiana, lo stare con determinazione da una parte, quella parte, è venuto “naturale”; … quello che si doveva fare andava fatto… 
Noi le ricordiamo ad ogni 25 aprile perché per ogni altro giorno che non è il 25 aprile abbiamo con loro un debito che dovremmo onorare, con la nostra, scelta partigiana, con il nostro impulso morale a stare da una parte; da quella antifascista innanzitutto.
Niente di più difficile nel paese che riesce a garantire l’impunità alle stragi fasciste, nel paese dell’ultima sentenza assolutoria sulla strage di Piazza della Loggia di Brescia; nel paese che nel 2001 a Genova faceva le prove di regime alla Diaz e a Bolzaneto e che nel 2012 deve vedere un film per sapere uno spicchio di quello che è accaduto e senza capire che gli attori protagonisti sono ancora nei posti del potere; nel paese che tollera continue iniezioni di omofobia, xenofobia e razzismo come meschino populismo raccattavoti da parte di laruncoli federati in cova nella greppia dello stato; nel paese che chiude un occhio e anche due sulle continue aggressioni e provocazioni dei fascistelli della cinghiamattanza utili idioti battistrada per quelli al governo di Roma capitale con la benedizione delle tuniche che “sono solo camice nere più lunghe“. (come disse Don Giulio Tam con esibizione di saluto romano)
Niente di più difficile in un paese che sta sprofondando nella retorica democraticista tanto utile a coprire ogni operazione di sdoganamento del fascismo residuato dal ventennio o conclamato del terzo millenio, da destra a sinistra (che vergogna!), tutt* a garantire visibilità e diritto di parola  a chi come casa pound tra le sue fila ha avuto persone come Casseri che a Firenze se ne è andato in giro a sparare e uccidere  due senegalesi.
Niente di più difficile in un paese che per iniziativa di due esponenti (Turco-Napolitano) di quella che dovrebbe dirsi sinistra ha concepito i cpt ora cie, lager del terzo millennio, gabbie di concentramento disseminate sul territorio, anche sul nostro.
Niente di più difficile in un paese che il territorio lo consegna alle lobbyes delle grandi opere e dunque alle mafie; lo sfregia e lo consuma con un bel “me ne frego” per i suoi abitanti chiamati comunque a pagare di tasca propria tanta devastazione.
Ecco: da che parte stiamo quando parliamo di TAV? Con la fascistissima insinuazione di tale Terpin interpellato sulle grandi opere (Autovie Venete) (e di quell*, tutt* SìTav che gli fanno quadrato intorno), che dice che “i disfattisti nella prima guerra mondiale venivano fucilati“? In ValSusa la logica è quella: il manganello, il gas Cs, arresti e perquisizioni intimidatorie che sul percorso del corridoio 5 arrivano fino a noi.
Le donne e gli uomini della Val Susa onorano la loro storia partigiana con l’antifascismo e la resistenza di oggi. E le donne della Val Susa ancora di più, perché nemmeno loro, sono andate a manifestare sotto il filospinato che recinta e sequestra militarmente la loro terra, per attaccare  bottoni, spidocchiare, o far da mangiare; sono andate per quell’ impulso morale, che dovremmo avere tutt*,  per cui quello che si deve fare và fatto.
Che cosa va fatto? Ce lo ricordano le partigiane come Gianna e tutte le altre: essere antifascist* sempre, essere donne libere  sempre e comunque.

DUMBLES – feminis furlanis libertaris – volantino per il 25 aprile 2012

(*) da “Soria di Gianna-raccontata da Fidalma Garosi Lizzero A.N.P.I. Udine IFSMI 2007 Publicoop Editore

DUMBLES/ 25 Aprile

“…e questo è il fiore della partigiana…”

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Anche così si potrebbe cantare “Bella ciao”, per ricordare tutte le donne della Resistenza; quelle ignorate dalla storiografia ufficiale, quelle considerate solo marginalmente, quelle “… morte per la libertà” appunto, e quelle che nella loro vita hanno continuato ad essere testimoni di una storia che il revisionismo vuole riscrivere, falsificare, dissipare … il neofascismo cancellare.
Esempio: accade sempre più spesso che indicare una persona come antifascista sia come identificarla con un’attributo negativo; lo fanno le forze dell’ordine, lo fanno i solleciti cittadini quando mafiosamente sibilano all’orecchio del tuo datore di lavoro: “ehi,…guarda che quella è antifascista…” ; come se fosse una minaccia di sovversione delle tanto decantate “istituzioni democratiche”… Scusate, ma non era l’inverso?
Che è successo? Chi ha rovesciato il tavolo?

 

La storia è lunga, sfaccettata… a proposito di facce, sfacettature e facette ecco l’ultima che arriva da una  scuola media del Veneto dove il professore di musica insegna sulle note di facetta nera.
Ed è solo l’ultima, appunto, di una lunga serie di ricomparse di gadget e simbologie, inni e suonerie del  regime, messe lì, sulle bancarelle, nelle edicole, nelle sagre e nelle scuole passando per la demenza del festival di Sanremo dove Morandi voleva riproporre Bella ciao insieme con Giovinezza.
Spicciole, diffuse, pesanti e pervasive operazioni di assuefazione per alimentare l’acqua dove il pesce nuota.
Dove un Alemanno coniugato in Rauti, può salire in Campidoglio col saluto romano e intanto piazzare i camerati nei posti appetibili, tanto per restare nella capitale senza allargarsi alla regione dove Polverini sbeffeggia i tunisini, perché occorre tenere caldo anche il must razzista.
Quello poi è il terreno privilegiato delle squadracce che periodicamente e capillarmente incuriano con parole e peggio, immigrati, omosessuali e soggetti non compatibili. 
Sicchè, quando l’apologia non la condanna più nessuno, si fa un test politico per vedere se i tempi sono maturi per l’abrogazione di quella norma costituzionale che proibiva la ricostituzione del partito fascista.

E’ stata un’uscita che ha il valore di uno sketch, perché si sa che la storia si ripete ma mai nella stessa forma e soprattutto perché il fascismo si è ricostituito da un pezzo nella sua forma di dittatura affaristico-consumista intorno a Berlusconi e nella sua forma intellettuale intorno ai mimetismi ideologici nei quali si fa accalappiare una sinistra ormai culturalmente miserabile.
Non è solo Pennacchi e il suo maccheronico fasciocomunismo, è peggio; è la corrosione sottile che si insinua come l’idea che possa esistere un confronto con quella destra variegata ma tutta irreversibilmente nera che molto furbescamente si mimetizza nei colori del populismo, copia stili al movimento antagonista; simula anticonformismo, nicchia, si ruffiana con i gruppi musicali, strizza l’occhio agli intellettuali e incassa così sdoganamenti e riconoscimenti proponendosi come interlocutrice per il superamento degli estremismi.
L’ultimo grido è la poetessa comunista che con il suo canto della ragazza fascista, dal palco di un centro sociale ci ricorda  che: “il sangue nelle vene è sempre quello…”. Brava!
E non si dimentichi che loro hanno la propensione a far  scorrere quello delle/degli altre/i.
Come dire che le partigiane, i partigiani,hanno combattuto e sono morti per nulla.
…Il fiore del partigiano, della partigiana, “morti per la libertà”.
No, non saremo noi a dissipare  la loro eredità.

Noi faremo Resistenza.
Restiamo antifasciste!

DUMBLES/ Nucleare

Essendo che
tutta la materia è fatta di atomi, Berlusconi deve aver pensato, e lo ha pure detto, che l’energia atomica si ottiene dalla “scomposizione delle cellule“. Non hanno forse un nucleo anche loro?
La rivelazione scientifica è del 2008; ma il nostro nanofisico, già nel 2007 aveva curato la presentazione al libro del nuclearista nazionale Franco Battaglia: “L’illusione dell’energia dal sole”, preludio al suo successivo “Energia nucleare? Sì, per favore…” del 2009.
Essendo che qualsiasi nuclearista di fede e convinzione con un tale portabandiera fa una meschina figura, abbiamo provato a pensarci in veste di nucleariste serie e,  indovinate un po’… siamo arrivate alla conclusione che:   in Italia MAI!!! Ma mai, mai  e poi mai!
Perché fare il nucleare in Italia, corrisponde a premeditare un crimine.

Essendo che ci troviamo con una classe politica di cialtroni -ultimo tal Beltrandi, radicale (quelli che hanno sempre richiesto l’election day) in casa Pd che vota col Pdl per affossare l’election day e boicottare il referendum sul ritorno al nucleare che segue ad un referendum sul nucleare che nel 1987 (non la fine degli anni ‘70, Caro Silvio… e giù bacchettate anche in storia…) aveva già detto la sua.

Essendo che questa classe politica è anche di incoscienti, che mentre tutti i paesi si interrogavano sui problemi di sicurezza, qui se ne esce una ministra-per-caso a dire “il nostro programma non cambia”, rinforzata dal lanciatore di anatemi Sacconi che scaglia un “Guai a noi se ci fermassimo!…” contornato dal coro degli irradiati della struttura Delta:  Cicchitto, che: “non è che si può cambiare idea ogni minuto“; Gasparri, che: “anche le dighe sono pericolose”…

Ed essendo che cialtroneria e incoscienza fanno il paio con furbizia, ecco emergere Saglia il sottosegretario, con la buffonata che il nucleare si fa solo nelle regioni che lo accettano.
In realtà lo Stato è sì obbligato a cercare l’accordo, ma il parere degli enti locali non è vincolante. Punto. Il governo può dunque, se vuole – dandone motivazione – tirare diritto e ciao. Un po’ come quello che sta accadendo con le consultazioni fasulle sul TAV qui da noi. Si convocano  governatori e sindaci amici (e chi non lo è all’odor di monetizzazione?), si spara qualche dato suppergiù e si conquista il consenso. Detto fatto, ecco il ministro Romani avanzare con la busta. A suo tempo già il redivivo Scaiola, quello che qualcuno gli aveva pagato la casa a sua insaputa (uomo fortunato!), aveva prospettato bollette basse (e tumori gratis aveva chiosato qualche simpatica blogger…) per chi avrebbe ospitato le centrali.

Essendo che qualche giorno fa, abbiamo assistito al primo “golpino” nucleare…,  proprio in nome della trasparenza: dal decreto sul nucleare (quello che definirà i siti) -che deve essere approvato entro il 23 marzo-, sono spariti i commi che fissavano i criteri di pubblicità circa le valutazioni sulle aree idonee. I parametri di tipo tecnico-scientifico per la scelta dei siti avrebbero dovuto essere pubblicati sui siti internet di tre ministeri, dell’Agenzia per il nucleare e su almeno cinque quotidiani a diffusione nazionale. Questo perché gli enti locali possano formulare le proprie obiezioni; ebbene …phfluff… commi dissolti, svaniti, svaporati.

Essendo che il nucleare è stato rilanciato da questa sgangherata compagine che non sa come trattare e dove mettere i rifiuti di casa, non sa gestire un paese che frana ad ogni pioggerellina primaverile  e si alluviona ad ogni rovescio autunnale; non sa ricostruire senza fare disastri, non sa fare un’opera pubblica che si possa dire è fatta bene… E siamo buone perché abbiamo scritto “non sa” e non “non vuole”. Limitiamoci all’ignoranza, facciamo finta che non sia in copula con l’ingordigia, la mafia, il malaffare e la ‘ndrangheta sulla quale la magistratura ha aperto fascicoli e sciolto pubbliche amministrazioni in lungo e in largo.

Essendo però che siamo nel paese del calcolo economico-politico e degli interessi ad personam, prima viene il business in generale, (lobby e industriali) poi il tornaconto in particolare  (a me, a te, a noi…) la sicurezza viene ultima e l’Italian Style è garanzia meno che mai,  già a cominciare dal fatto che le nostre future centrali sono i bidoni che Silvio ha comprato dai francesi i quali possono rifilarci quello che vogliono dal momento che  detengono  la metà dei titoli di stato italiani che è come dire la metà di questo paese.

Infine, essendo che dopo alcuni giorni di trance atomica, tutti quelli di cui sopra hanno incominciato a mettere il piedino sul freno; il sì, sì, sì è diventato ma, mi, mo, con lo stridore finale della ministra-per-caso che in transatlantico fuorionda ha gorgogliato: “Basta, non possiamo perdere le elezioni per il nucleare”, essendo che in Italia la sicurezza è funzione dei sondaggi.
Questo è. Se i sondaggi sono buoni, sicurezza  o non sicurezza, si procede; i sondaggi buttano male, si aspettano tempi migliori.
Follia pura!

Allora, essendo così, quale nuclearista serio può pensare che l’Italia sia un paese sufficientemente serio per poter costruire e gestire in sicurezza una centrale nucleare?
Non osiamo pensare la tutela della salute nel malaugurato caso di un incidente atomico nel paese dove i terremotati devono arrangiarsi da soli e gli alluvionati anche, perfino se sono veneti.
Nell’iconografia antinucleare dei tempi di Chernobyl girava l’immagine di una centrale nucleare avviluppata in un condom per contenere la fuga radioattiva… ecco, forse quello, Vaticano permettendo…

Ci chiediamo dove pensa di vivere Magherita Hack che si definisce ambientalista per il nucleare. E’ meglio che si dedichi agli astri del cielo e al colibrì Silvio. Noi l’apprezzeremmo di più come anticlericale a tempo pieno che come orrendo ibrido ambientalista-nuclearista.
Che il percorso ambientalismo=energia pulita=nucleare è, ci sia permesso il francesismo, una stronzata che nessun ambientalista serio concepirebbe.

Nella relazione di uguaglianza, il primo termine fa a pugni con l’ultimo perché quello in mezzo, e lo sanno anche i bambini, tiene pulita l’aria (se non succede come a Chermobyl o in Giappone) ma lascia scorie sporche e pericolose che neanche Matusalemme nella sua lunga vita riuscirebbe a smaltire.
E poi guarda, paradossalmente, l’energia pulita è più vicino allo strafalcione di Silvio, nel senso che ci sono sì cellule che convertono energia, con i loro organelli, la prendono dal sole, e la usano per sé e sono le cellule vegetali. Qualcosa in questo senso, se pur ancora lontani dalla meraviglia della fotosintesi, ha imparato a fare anche la tecnologia umana con le energie alternative, ma guarda caso, proprio adesso il nucleo governativo nucleare ha prima tagliato e poi ridotto gli incentivi al fotovoltaico.
Qualcuno suggerisce che sia il risultato delle pressioni dei grandi produttori energetici italiani che, per via della crisi hanno centrali a gas inattive, che se continua così rischiano di non riaprire e che  l’elettricità derivante da sole e vento (che ha la precedenza di immissione in rete su quella da fossili) nel frattempo cresciuta, rischia di rendere inutili.
A guardarla così non c’è nemmeno un problema energetico e se cè è piuttosto quello inverso, non dell’aumento di energia ma della riduzione dei consumi. Ovvero, quando le cose semplici e giuste sono le più difficili da fare, sicchè nel paese del sole dobbiamo dire “nucleare, per favore!”.
Robe da indurci una sconsolata scomposizione cellulare e, ahinoi, malgrado la scoperta di Silvio, senza alcun ritorno energetico.

Del nucleare, a suo tempo, ne avevamo parlato qui e qui.

*immagine da www.sporcomondo.it