Dannata Monsanto Il 24 maggio, era la giornata della Marcia Globale Contro Monsanto. ———– |
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Onda Resistente
Marzo 18th, 2017 — General, Rassegna stampa
Dannata Monsanto Il 24 maggio, era la giornata della Marcia Globale Contro Monsanto. ———– |
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Marzo 17th, 2017 — General, Rassegna stampa
Una bella trama quella di ieri sera, costruita sul filo del lavoro e della narrazione di Donatella Cozzi.
Stanzetta al limite fisiologico di trenta persone, che è quello che al momento ci è possibile in termini di spazio, dai tempi dello sgombero del CSA di Via Scalo Nuovo.
Donatella ha fatto strada in quelle “Imperfezioni del silenzio” dalle quali, per chi li vuole cogliere, sfuggono segnali, storie, materia che ridefiniscono le persone nella loro rete di relazioni tra storie individuali legate a storie sociali.
Perchè ci sono “malattie” definite dalla società che in realtà la definiscono; in particolare nei confronti delle donne; oggi la depressione è un pò quello che era l’isteria di un tempo nella sua connotazione misogina e sessista.
Perchè poi la depressione, parola scritta e parlata dal corpo malato (che la madrelingua descrive con il suo repertorio sintomatologico, di cui molto al femminile, peraltro) è la spiegazione di molte cose che non si riesce e non si vuole spiegare (ed aggiustare) altrimenti.
E’ la “malattia” funzionale alla società del dominio nella quale il dolore deve essere “fluidificato”, mantenuto sottotraccia farmacologicamente, cronicizzato, che non diventi nè indicatore, meno che meno stimolo al cambiamento; che sia il mantenimento di una addomesticazione che non crea problemi… quante biografie femminili si leggono in questa dimensione!
E quanto viene oggi usata strumentalmente questa “patologia”… delle volte anche quasi a giustificazione degli uomini che uccidono le donne…
Insomma, le riflessioni sviluppate ieri, sulla guida della complessità antropologica, fanno pensare alla depressione un pò come una trama contro le donne e allora, si è detto, occorre tramare, tramare veramente vie di fuga. Per noi tramare ha il senso di tessere, così come riportato in una citazione del libro di Cozzi.
Ecco, a proposito del libro, attualmente difficile da trovare (abbiamo ordinato alcune copie e chi è interessat* ci può contattare al ns indirizzo: dumbles@inventati.org); Donatella, dopo aver sentito l’editore, ci dirà se potremo metterlo on line.
Intanto prepariamo la registrazione filmata dell’incontro da postare su questo blog
Marzo 17th, 2017 — Rassegna stampa
DENISE E I SUOI CONTORNI
Samantha è stata uccisa dal cognato lo scorso mese di luglio, Lisa è stata uccisa dall’ex compagno il 7 dicembre, Denise dal marito ieri, 2 marzo.
Friuli Venezia Giulia, 1.236.103 abitanti più o meno, 7858 km²; donne ammazzate: 3 in 9 mesi.
Ma poi, ci ricorda il giornale, ad Attimis paese in cui da dieci anni viveva Denise, già nel 2007 un uomo aveva ucciso la propria moglie e poi si era suicidato.
Una mappa, una cartografia e un calendario di donne uccise; ci lavorerà sopra la statistica, la psichiatria, l’antropologia, le scienze sociali. Al “fenomeno” è stato dato un nome: femminicidio, ormai acquisito ed accettato da più parti.
Dare un nome al fenomeno è servito a connotarlo nella sua natura, a coglierne l’essenza, a riconoscere le sue caratteristiche: uomini che uccidono le donne in quanto donne cioè in quanto soggetti autodeterminati che in un modo o nell’altro sfuggono alla loro comprensione ed al loro controllo.
Nominare il fenomeno però, non incide su di esso.
Magari tranquillizza perchè è come quando si è isolato il virus e si sa da che malattia si è affett∞ oppure se ne fa un’etichetta da usare politicamente come autocertificazione di sensibilità verso le disgrazie che affliggono le donne. Non cambia niente.
Lo avevamo scritto qui parlando di Lisa: il femminicidio è l’ultimo atto di una sommatoria di pièces culturali dove si mescolano molti input spesso negativi per le donne come oggettificazione, sfruttamento, irrisione, prevaricazione, ma ancora più deleteri per gli uomini che continuano ad alimentare le loro menti di immagini, idee e concetti che li portano dritti verso vie senza uscita.
Dovrebbero aver capito anche i sassi che l’idea di amore e fedeltà coniugate con famiglia e proprietà sono una gabbia e un’arma puntata contro qualcun∞ de∞ componenti.
La propensione alla fuga alcolica, più o meno accentuata in diverse aree del Friuli, è poi una corsa in un vicolo cieco; che altro? L’unica via di uscita socialmente ammessa se pur moralmente e ipocritamente ritenuta riprovevole.
Beveva Silvano che ha ucciso Denise, beveva e la picchiava; bevevano e picchiavano anche Gabriele ucciso da Francesca ad ottobre dell’anno scorso e Carlo ucciso da Fiorella un po’ prima, in febbraio.
Un’altra cartografia collaterale quella delle donne, 2, che in un anno hanno ucciso i loro compagni uscendo da un sottosuolo di botte e soprusi.
Si può sempre sterilizzare il tutto mettendo in primo piano il “vizio”, ma, pur essendo spesso un comun denominatore, non è il motore, no.
Dice lo psichiatra interpellato, come sempre in questi casi, dal giornale locale: “…in ogni caso è un fenomeno molto grave, da studiare in termini di ‘salute mentale della comunità’...”.
Non ci piace questo determinismo psichiatrico; sono le menti malate? Noi riteniamo di no; la mente, per buona parte, elabora e connette le informazioni che riceve. Nel grande e nel piccolo, nel bene e nel male, siamo tutt∞ codificatori di informazioni. Prima ci sforziamo di capire dove stanno quelle che sono precursori di tragedie annunciate come i femminicidi, prima finiscono.
Gelosia ed alcolismo sono ingredienti bomba soprattutto se mescolati assieme nel contenitore rigido del familismo, della misoginia, del tradizionalismo antropologico dove i soggetti coinvolti non hanno vie di fuga alternative.
Silvano, furlàn patòc, Denise di Antigua, anglicana, ma che “a volte veniva in chiesa a pregare”, dice il prete in un tentativo penoso di assimilazione post mortem.
Marzo 17th, 2017 — General, Rassegna stampa
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L’altra sera, parlando fra di noi di violenza contro le donne e femminicidi, cercavamo ancora di capire che cosa impedisca a questi continui reiterati delitti di essere trattati dai media come allarme sociale, di suscitare dibattiti, di sviscerare le questioni, di sentire le parti ecc. ecc. Non che questo garantisca nulla, ovviamente, le oscene strumentalizzazioni alla Alemmano, per intenderci o la vacua spettacolarizzazione televisiva, sarebbero anche peggio; ma volendo essere speranzose, se trattato in modo corretto, potrebbe essere almeno l’indicatore di un primo step di consapevolezza rispetto al “fenomeno”. Nulla di tutto questo. Le donne continuano ad essere massacrate e nessuno si scompone.
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Marzo 17th, 2017 — General, Rassegna stampa
Quando il vecchio e sempre galileanamente buono “sperimentando imparo” praticato in molti laboratori universitari, centri di ricerca ecc., diventa quello del titolo, il sapere che se ne acquisisce è bacato. E’ ancora Bacone che sussurra di mettere la natura in ceppi, di strappare i suoi segreti con la tortura…
Ma che cos’è la conoscenza che passa per la tortura e quindi la crudeltà?
A cosa ci sono serviti millenni di evoluzione e la capacità di parola se il linguaggio è l’arma che usiamo per giustificare il nostro diritto alla superiorità ed al causare dolore e morte?
Ieri a Trieste manifestazione contro l’ampliamento dello stabulario dell’università.
Qui una nota e qui il resoconto.
Marzo 17th, 2017 — General, Rassegna stampa
Alina morì impiccandosi con il cordone del cappuccio della sua felpa alla finestra di una cella del commissariato di Opicina, sotto l’occhio vigile di una telecamera.
La sua agonia è durata quaranta minuti.
Alina era uscita dal carcere il sabato mattina dopo 10 mesi di reclusione, a seguito di una condanna congiunta a decreto di espulsione; Alina avrebbe dovuto essere “rispedita” in Ucraina, ma quel sabato uscì da donna libera, nessun decreto le era ancora stato notificato; ci avrebbero pensato il lunedì mattina.
All’uscita dal carcere però Alina trova ad aspettarla una volante che se la prende, cioè la sequestra, e la porta al commissariato di Opicina, la chiude in una cella e la lascia lì.
La sua morte è trasmessa dal monitor sul banco del piantone; nessuno la guarda.
Quando accadde, ne parlammo qui.
Era lo stesso giorno in cui qualcuno su un aereo riprese quei pacchi umani sigillati con il nastro adesivo, e quelle immagini sono state più eloquenti di qualsiasi accusa, per chi ha la coscienza ancora viva, naturalmente.
Le/i compagne/i che su Infoaction tengono la rassegna stampa, oggi hanno aggiunto la notizia della perquisizione all’abitazione del dirigente dell’ufficio immigrazione indagato per omicidio colposo e sequestro di persona per la morte di Alina.
Racconta il giornale locale di Trieste che quel dirigente si chiama Carlo Baffi, che nel suo ufficio il fermacarte è ornato dal fascio littorio e c’è un cartello con scritto “Ufficio Epurazione”, che nella sua casa ci sono libri come «Mein Kampf», «La difesa della razza». «La questione ebraica», «Come riconoscere e spiegare l’ebreo», e poi un poster del duce. Qui l’articolo.
Dovremmo stupirci di qualcosa? Noi no; nemmeno della linea difensiva che, abbiamo già capito, è il ritratto di un appassionato di storia …, che le fonti originali…, che i cimeli… i mercatini… ecc. ecc. bla bla, tutto inserito sulla consolidata strategia di sdoganamento del fascismo che si nasconde dietro l’esibizione di chicche storiche che tutt* sappiamo bene cosa significano ma che nessun* ha il coraggio di perseguire.
E la morte di Alina? Alina aveva già tentato il suicidio in carcere, e questa, per noi, è un’aggravante per chi l’ha messa nelle condizioni di provarci di nuovo e per chi l’ha lasciata morire.
Lei era in libertà, voleva prendere un treno e andare a Milano, non voleva tornare in Ucraina.
Ma a lei, a certe donne e certi uomini, succede questo, che possono essere presi, trattenuti, internati e rispediti là da dove sono venuti o a morire a mare o in qualche deserto di sabbia o di vita, non fa differenza.
Così Alina l’avevano destinata al cie di Bologna.
E se non fosse stata sequestrata, se la procedura fosse stata regolare, nulla comunque, sarebbe stato migliore anche se sarebbe stato legale, perché le leggi sui cie sono leggi orrende. Che dire delle persone che le hanno concepite e pensate? e di quelle che le dovrebbero applicare?
Oggi ci rimettiamo alla cronaca del “Piccolo”. Uno lo possiamo vedere, descritto nei particolari.