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Marzo 18th, 2017 — General, Varie
Preghiamo tutti di dare massima diffusione a questa conversazione
trascritta dagli attivisti e le attiviste messinesi preseti in Kurdistan.
Dopo varı gıornı dı attesa a Kobane, fınalmente, sı creano le condızıonı
per poter ıncontrare le donne combattentı, ın lotta contro Isıs.
Entrıamo nella loro "casa", nella loro base operatıva - luogo ın cuı
condıvıdono emozıonı, organızzano le battaglıe. Presentı con noı due
traduttorı.
Venıamo accoltı ın una pıccola sala rıscaldata, allestıta con foto dı
martırı donne e uomını. Chıedıamo: "chı e'?" - ındıcando una
gıgantografıa dı un volto femmınıle combattente. Una YPJ rısponde "E'
una nostra martıre, dı qualche anno fa. Dı leı mostrıamo solo
l'ımmagıne". Cı sedıamo a terra,
ın cerchıo, e ınızıamo a parlare. Inızıalmente sono presentı cınque donne.
Tre dı loro pıu' eloquentı; ın due rımarranno fıno alla fıne dell'ıncontro.
Dı seguıto le domande che abbıamo posto, con relatıve rısposte. Non abbıamo
allegatı vıdeo ne' audıo: per una questıone dı sıcurezza le ragazze hanno
preferıto evıtare dı essere sıa rıprese che regıstrate. Dunque, oltre al
nostro rıcordo, la testımonıanza scrıtta e' cıo' che resta dı questo
ıncontro - sperando che possa rendere, almeno ın pıccola parte, la potenza
dı questa breve ma ıntensa esperıenza.
Conversazione con le combattenti YPJ di Kobane a cure di Attiviste contro la guerra
18/02/2015
Dopo vari giorni di attesa a Kobane, finalmente, si creano le condizioni per poter incontrare le donne combattenti, in lotta contro Isis. Entriamo nella loro “casa”, nella loro base operativa – luogo in cui condividono emozioni, organizzano le battaglie. Presenti con noi due traduttori. Veniamo accolti in una piccola sala riscaldata, allestita con foto di martiri donne e uomini. Chiediamo: “chi é?” – indicando una gigantografia di un volto femminile combattente. Una YPJ risponde “É una nostra martire, di qualche anno fa. Di lei mostriamo solo l’immagine”. Ci sediamo a terra, in cerchio, e iniziamo a parlare. Inizialmente sono presenti cinque donne. Tre di loro più eloquenti; in due rimarranno fino alla fine dell’incontro.
Di seguito le domande che abbiamo posto, con relative risposte. Non abbiamo allegati video né audio: per una questione di sicurezza le ragazze hanno preferito evitare di essere sia riprese che registrate. Dunque, oltre al nostro ricordo, la testimonianza scritta é ciò che resta di questo incontro – sperando che possa rendere, almeno in piccola parte, la potenza di questa breve ma intensa esperienza.
Perché hai fatto questa scelta di entrare nelle YPJ?
“Perché le donne sono sofferenti. Vediamo la sofferenza delle donne non solo qui ma anche nei vostri Paesi. Noi lottiamo per tutte le donne del mondo”.
“Io in particolare sono nata in Germania, sono stata in giro per l’Europa e in uno di questi Paesi ho fatto giorni di reclusione in prigione per motivi politici. Poi ho deciso di venire qui in Kurdistan e anche le mie amiche sono tutte venute qui. Ho letto gli scritti di Öcalan e dopo ciò ho assunto uno sguardo più globale”.
Perché sei venuta in Kurdistan?
“Perché voglio la rivoluzione”.
Cosa intendi per rivoluzione e perché pensi che il Kurdistan sia particolarmente significativo da questo punto di vista?
“Conoscete forse qualche altro movimento nel mondo che chieda la libertà per il popolo curdo?”.
La tua famiglia?Come ha accolto questa scelta?
“Io ho 28 anni. Combatto da 7 anni. La mia famiglia é venuta con me quando ho deciso di partire e ora é qui”.
“Io in questo momento non ho nessun contatto con la mia famiglia. Ma quando ho preso questa decisione loro hanno approvato, perché era una scelta per tutte le donne e per una umanità sofferente”.
Ci sono donne non di Kobane nelle YPJ in questo momento?
“Tra le combattenti ci sono donne da tutta l’Europa: Germania, Inghilterra, Italia… Anche dalla
Colombia. Ma in questo momento non combattono a Kobane”.
Come hai conosciuto le YPJ?
“Quando é iniziata la rivoluzione in Rojava ho saputo di questa parte speciale del movimento. Questa parte presente in tutto il movimento curdo. Anche lì dove ci sono i peshmerga, nonostante la loro presenza, li é persino più forte il movimento combattente femminile”.
Cosa pensi delle relazioni lesbiche?Come vivi il fatto di non avere relazioni?
“Se scegli di entrare nelle YPJ scegli di abbandonare le tue personali relazioni d’amore. Le relazioni lesbiche sono anch’esse relazioni d’amore. Se ami la persona con cui stai puoi anche scegliere di abbandonarla per amore dell’umanità tutta, per amore delle persone oppresse. Questa é la parte militare del movimento. Se scegli di combattere é impossibile farlo mentre pensi “Cosa farà la persona che amo se io muoio?”. Per questo stesso motivo la maggior parte di noi sceglie anche di non avere figli”.
Secondo voi perché tra le persone che attualmente combattono in Kurdistan ci sono più YPJ che YPG?
“Tra le donne c’é il sentimento materno. Vedere i bambini di tutto il mondo soffrire ci rende più forti e coraggiose, a differenza degli uomini che non possiedono questo specifico istinto”.
Hai mai avuto dubbi rispetto alla voglia di essere madre?
“No. Noi non abbiamo mai perso la voglia di essere madri, ma questa maternità, questo amore, é per tutti i bambini, per l’umanità. Non é mai successo che una YPJ cambiasse idea, e avesse voglia di uscire dal movimento e avere dei figli. Oggi le donne in Kurdistan stanno scrivendo la storia, é importante fare domande su questo”.
Cosa pensate quando siete in frontline a combattere, insieme agli uomini?
“Noi in frontline non combattiamo solo contro il nemico, ma anche contro il dominio dell’uomo sulle donne e contro il capitalismo. Dunque siamo insieme agli YPG e se ci sono delle incomprensioni di risolvono dopo con dei meeting, non appena c’é l’opportunità’”.
Avete percezione del fatto che ciò che fate é una spinta per il movimento femminile in tutto il mondo?
“Certamente”.
Ci sono particolari momenti nella vostra vita da combattenti in frontline di cui volete parlare?
“É difficile spiegare il nostro spirito quando si é al fronte. Noi non vogliamo uccidere persone. Ma, mentre combattiamo, sappiamo cosa fanno i daesh; uccidono senza motivo. Noi lottiamo per l’umanità. Sappiamo che se non li uccidiamo noi ci uccidono loro. Ma il momento della battaglia non si può descrivere a parole: solo standoci si può capire veramente cosa si prova. Conoscete il racconto delle quattro farfalle? Quattro farfalle volavano attorno al fuoco, la prima più distante capì che il fuoco era vita, e tornò dalle altre a riferirlo. La seconda, incuriosita, si avvicinò attratta dalla luce e scoprì che il fuoco dava luce, e tornò a riferirlo alle altre. Anche la terza andò verso il
fuoco, sempre più vicino, e scoprì che dava calore; e lo riferì. La quarta voleva comprendere fino in fondo lo spirito del fuoco: si avvicinò, dunque, talmente tanto che morì arsa dalle fiamme”.
É mai capitato che parlaste col nemico nel momento del combattimento?
“No. É capitato che i daesh parlassero attraverso le ricetrasmittenti per tentare di deprimerci psicologicamente, ad esempio fingendo di avere tra le mani una nostra compagna e descrivendo gli abusi e le torture su di lei. La nostra risposta era: “Perderete”. Solitamente dopo questo morivano”.
Avete visto daesh visibilmente drogati?
“Si, sappiamo che assumono ecstasy ma sul frontline li abbiamo visti spesso iniettarsi in vena nelle braccia sostanze di cui non sappiamo l’origine. Il loro corpo, una volta morti, diventava come di plastica. Durante il combattimento é necessario colpirli più volte alla testa per ucciderli. Solitamente i loro corpi si decompongono molto più lentamente”.
Sospendiamo la conversazione: é ora di pranzo e alcune di loro hanno cucinato per tutti. Dunque mangiamo insieme e una volta finito continuiamo a conversare.
Cosa pensi della situazione politica e sociale in Europa? Pensi che sia possibile un movimento ugualmente forte anche lì?
“L’Europa sta attraversando un momento molto complesso. É urgente che anche lì sorga un movimento forte, ma non sarà mai uguale a quello curdo. Ogni movimento ha bisogno di rintracciare e scoprire una propria specifica identità”.
A questo punto é una di loro a porre una domanda: “Pensi che in questo momento le donne in Italia o in Europa siano libere?” No.
“Dunque é urgente e necessario che le donne si sveglino in tutto il mondo. Il patriarcato storicamente é stato ed é tutt’ora oppressione degli uomini sulle donne. Questo rafforza il sistema capitalistico. Dunque un movimento é forte se a risvegliarsi e a lottare inizia la parte oppressa. Il movimento contro il patriarcato é forte se a lottare sono le donne in prima linea. Ci siamo mai chiesti perché non ci siano state mai singole donne alla guida di un movimento o di una rivoluzione? Perché ogni qualvolta questo accadeva il potere le reprimeva. Per questo motivo é importante studiare e conoscere la storia dell’umanità, e delle donne come, ad esempio, Rosa Luxemburg …
Per rendere un movimento forte e sempre in grado di migliorarsi, é necessaria la pratica dell’autocritica: criticare e autocriticarsi é fondamentale per costruire relazioni alla pari e superare i problemi che si pongono. Ricevere una critica non deve suscitare rabbia. Nel criticare e autocriticarsi riconosco i miei amici e questo mi aiuta ad essere una persona sempre migliore”.
In tutto questo, gli uomini cosa fanno?
“Se il movimento é forte ed é in atto una rivoluzione antipatriarcale, gli uomini “supportano”.
Non bisogna mai credere nell’esistenza di una rivoluzione solo perché qualcuno lo dice. Così come non esiste vittoria senza dolore e sofferenza”.
Hai mai amato un uomo?
“Ho avuto varie relazioni quando ero più piccola ma nessuna rispondeva a quel che sentivo profondamente; fin quando ho deciso di abbandonare tutto questo e iniziare a combattere. In molti modi il capitalismo ci allontana dall’essere veramente noi stesse. Anche indossare accessori o piercing o cambiare il colore dei propri capelli é un modo per allontanarci da quello che siamo, perché se non ci fossero le fabbriche che producono i prodotti per il makeup, non sentiremmo questo tipo di esigenza”.
Ma talvolta uno stile strano può rappresentare, in certi contesti, una rottura degli schemi preimpostati, delle forme di immagine dominanti.
“Si, siamo consapevoli di questo. Esistono anche culture ancestrali come quella degli aborigeni, che usano molto agghindare il proprio corpo con oggetti di vario tipo, metalli o tatuaggi. Queste culture hanno un fortissimo legame con la terra e con la natura, vivono in armonia con essa: “con” e non “contro”. Ma il presidente australiano ha fatto un appello per la salvaguardia di questa popolazione aborigena che é in via di estinzione. Il capitalismo la sta piano piano distruggendo”.
Secondo voi é possibile uscire dal sistema capitalistico restando in un contesto urbano?
“No. É necessario ristabilire il contatto con la natura, dunque bisogna uscire dalla città, per poi anche tornarci. Ma é necessario recarsi nei luoghi della natura”.
Marzo 18th, 2017 — General, Varie
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Il tricolore sulla schiena
Abbiamo scaricato questa foto da un servizio del Messaggero Veneto. L’abbiamo messa in evidenza perchè questa immagine esprime un ossimoro, un assurdo, una contraddizione vivente e manifesta: la signora che a nome dei cittadini friulani indossa la bandiera dello stato italiano e ne invoca la costituzione. Per ogni buon autonomista friulano/a questa foto dovrebbe rappresentare la perfetta sintesi del compimento dell’ultima colonizzazione culturale e politica del popolo friulano. Siamo a Udine, alle manifestazioni dei forconi, che sappiamo rutilanti di tricolori, unica identificazione ammessa sotto la quale esprimere la propria rabbia, disperazione, rivendicazioni, istanze.
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Marzo 18th, 2017 — General, Varie
“Il tricolore sulla schiena”, il prosciutto sugli occhi
Per scelta, come collettivo non siamo su fb, quindi i commenti al nostro post “Il tricolore sulla schiena” che qualcuno ha girato lì, ci sono stati inoltrati. Nessun* ci azzecca, purtroppo!
Non consideriamo le offese di chi non sa argomentare altro.
– Il nucleo centrale del post, che nessun* ha commentato, voleva evidenziare la contraddizione del parlare “a nome dei cittadini friulani” cioè del mettere una identità etno-culturale sotto un simbolo, la bandiera italiana, che per il Friuli ha rappresentato, negli anni, una realtà di colonizzazione economica, culturale ed ambientale; abbiamo fatto l’esempio della cancellazione linguistica; possiamo aggiungere la devastazione territoriale per esempio delle cave, delle discariche, degli elettrodotti, del progetto TAV, di infrastrutture invadenti ed inutili ecc.; colonizzazione che continua tutt’ora ad onta di un autonomismo che ha trovato sbocco o nel silenzio o, troppo spesso, nella Lega politicante, xenofoba e razzista o in qualche movimento di grezzi imbecilli, che ora, peraltro, tentano anche loro di sfruttare l’orgoglio autonomista e l’ “istanza” friulanista, coniugandoli con il nazionalismo fascista (vedi l’operazione grottesca dei Nazionalisti Friulani).
– Detto questo, abbiamo piacere che a Sabrina Silvestri, la persona ritratta nella foto, che pure è intervenuta, faccia “accapponare la pelle” la parola fascista; la invitiamo allora a guardare alle manifestazioni ed ai presidi che frequenta, la cui regia è curata dagli slogan e dai caratteri inconfondibili del fascismo del terzo millennio.
– Passiamo all’incomprensione, al qui pro quo, ripetuto più volte da Gallo in almeno due interventi in cui, citando erroneamente il ns. post, si chiede: “ ma perché, i diritti costituzionali sono diversi a seconda della professione?… i diritti costituzionali sarebbero diversi a seconda della professione o estrazione sociale? Siamo al delirio puro !”
Che i diritti costituzionali siano stati pensati uguali per tutt*, indipendentemente dalla professione, chi mai lo ha messo in dubbio? Non ci interessa affatto disquisire su questo. Dove è, nel post la frase che sostiene questo?
Nel testo abbiamo parlato di istanze diverse, cioè di esigenze diverse, di richiesta di provvedimenti diversi, a seconda della categoria con la quale ci si identifica. Così abbiamo scritto “… come se le istanze dell’imprenditore o del padroncino, potessero essere uguali a quelle dell’operaio, della migrante, della badante …” Di certo non abbiamo parlato di diritti costituzionali.
– Inoltre alla parola imprendtore vi è pure un link a Gianola Nonino “, l’imprenditrice vip che sta con i forconi” (MV del 17.12.13); “l’imprenditrice vip” non è una badante o una commessa o una bracciante agricola che magari lavora nelle vigne. Tutte queste persone avranno fra loro sicuramente istanze diverse perchè, paradossalmente, l’una potrebbe anche trovarsi a sfruttare l’altra.
Un’altra contraddizione …. ma nulla di così difficile da capire; basta voler guardare … fuori dalle trappole.
* Qui alcuni stralci dei commenti citati:
Sandro Shultz UdineQuando si vuol fare demonizzazione e disinformazione…leggete, questo è il nostro corteo a Udine.http://dumbles.noblogs.org/2013/12/17/il-tricolore-sulla-schiena/
Alessandro Gallo ma perché i diritti costituzionali sono diversi a seconda della professione? Siamo al delirio puro ! Andrebbe ricoverata sta gente che scrive di questi deliri.
Diana Venetzkova Koeva Mah chi sa cosa fuma sta’ gente …..
Alessandro Gallo LA LOTTA IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE SAREBBE FASCISMO ?
A proposito di alcune vergognose quanto criminali calunnie e strumentalizzazioni di cui i cittadini in mobilitazione dal 9 dicembre sono vittime, è doveroso precisare che il presidio di Piazzale Osoppo, e le persone che sono state vicino alle manifestazioni promosse dai cittadini del 9 dicembre NULLA hanno a che vedere con alcun tipo di atteggiamento di intolleranza o rappresaglia nei confronti di chicchessia, e VOI lo sapete perfettamente. Il fatto che, in mezzo a 500, 1000 e oltre persone si trovino alcune decine di ragazzi che militano in forze di destra NON significa affatto che questa azione popolare abbia una connotazione politica. Si sottolinea la presenza di diversi ragazzi che provengono dall’ area dei centri sociali o delle sinistre, eppure MAI lo dite!………………………………………………………………………………
Se ricordate, questa stessa persona e foto sono state inserite nell’ articolo che dava spazio alla vostra contestazione ad uno dei nostri cortei (ben 4 contestatori !), ancora definito “Dei forconi”, quando tutti sanno che siamo solo cittadini LIBERI-
Concludendo: i diritti costituzionali sarebbero diversi a seconda della professione o estrazione sociale? Siamo al delirio puro ! Chi scrive articoli deliranti come questo dovrebbe dedicare il tempo alla cura di se stesso.
http://dumbles.noblogs.org/…/il-tricolore-sulla-schiena/
Sabrina Silvestri Ora sono io a dire BASTA!!!!!!….. Visto e considerato che il soggetto qui sopra pubblicato son “io”!!!!!!…..Innanzitutto il sig.Paolo De Toni è pregato gentilmente di NON darmi della ” fascista”!!!!!…. che solo a pronunciare questa parola mi fa accapponare la pelle!!!!! Mi sorge spontanea una domanda Sig. Paolo: ma il tricolore gli italiani lo devono indossare solo ed esclusivamente quando gioca la nazionale di calcio???? Quindi, allora in quest’ occasione gli italiani sono tutti fascisti????? Alessandro Gallo sei e sarai SEMPRE un GRANDE!!!!
Marzo 18th, 2017 — General, Varie
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“Se vuole, Fidenato può venire a coltivare qui” dice il sindaco di Porpetto, Pietro Dri, come se fosse il proprietario di tutto il territorio amministrato. Poi il sindaco, nonché consigliere provinciale pidiellino nonché -si dice- ciellino, nonché proTav, precisa che no, non ci sono agganci con multinazionali e compagnia briscola, che la sua è una posizione indipendente. Che gli si creda o no, comunque si sa che le lobby ci sono, che ognuno gioca per i propri interessi e che la politica, -come il Tav sempre ben dimostra-, è ormai puro esercizio affaristico. |
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Marzo 18th, 2017 — Varie
Acqua di SELtz
Prendete l’immagine qui a fianco; l’estetica e bucolica immagine botticelliana a corredo di un tema alquanto complesso ed articolato come quello del “dominio” su donne e natura; focalizzate in particolare il tema “violenza sulle donne”; mettete tutto nella prospettiva dell’ecofemminismo ed avrete costruito, se pur non benissimo, un “modulo” non convenzionale di dissertare sull’argomento che dopo tanti femminicidi sembra essersi posato sui padiglioni auricolari della “gente comune”.
Poi provate ad immaginare quali figure potrebbero esporre su questo tema a partire dal concetto di “dominio” e poi andate a guardare la seconda parte della locandina che è questa qui a fianco;
non che gli argomenti sopra esposti debbano essere appannaggio di qualcun* in particolare e non di altr*; ma quando quest* altr* si presentano come: onorevole parlamentare di SEL, sindaco di Udine (uscente e ricandidato alle elezioni comunali), candidat* di SEL alle regionali, candidati di SEL alle comunali, membro del coordinamento nazionale di SEL, e la sigla dell’iniziativa è il logo di SEL con la formula delle recenti elezioni politiche: “con Vendola”…, la perplessità è d’obbligo ed il pensiero più legittimo è che la cosa è confezionata per accreditare i candidati di SEL per le prossime elezioni.
Insomma una semplice operazione di packaging elettorale dove ci si infiocchetta un po’ per essere più presentabili all’appuntamento con l’urna.
I risultati di queste operazioncine sono affari loro, ci incuriosisce però questa novità dell’”ecofemminismo” che per come è piazzato lì sembrerebbe essere il luogo di enunciazione, l’ambito di riferimento e di pensiero dal quale i/le convenuti/e analizzano la violenza sulle donne.
Di “ecofemminismi” ultimamente ce ne sono diversi, e questo è anche un bene perchè significa che ognun* lo elabora e lo arricchisce a partire dalla propria storia e diversità, ma parliamo di elaborazioni all’interno del movimento che ha un back ground nel femminismo (e come potrebbe essere altrimenti?) nell’antifascismo, nell’antisessismo, nell’antispecismo, nel queer… e per quanto ci riguarda anche nell’etnofemminismo (*), non è sicuramente il femminismo tinteggiato di verde con il prefisso “eco” per renderlo più gentile, più accettabile, più addomesticato più presentabile all’appuntamento del 21-22 aprile.
No, veramente…! Non scherziamo, l’ecofemminismo istituzionale No…, non fosse per il semplice fatto che l’analisi del dominio che sta alla base di un serio presupposto ecofemminista non può prescindere dalla considerazione dello Stato come struttura di dominio per eccellenza.
Poi, possiamo discutere di tutto,ma senza prendere in giro nessun*; senza a darla a bere con iniziative nelle quali l’ecofemminismo non sta legato nemmeno col filo di fiaro.
(*) Intendiamo con questo termine l’essere femministe a partire dal proprio essere in un luogo, dalla propria lingua…, dalla propria ontologia senza per forza rinnegarla o mitizzarla; anzi, facendone un punto di autocoscienza fondamentale per costruire la propria autodeterminazione.
Marzo 18th, 2017 — Varie
La trama sotto la Loggia
Dunque ieri eravamo a Udine sotto la Loggia del Lionello, non potendo essere nel posto dove avremmo voluto essere per colpa del braccino armato istituzionale che avversa ogni tensione libertaria salvo lasciare libero corso a quella neonazista …. insomma, ieri eravamo sotto la Loggia con Elisabetta Teghil nostra ospite per un dialogo, confronto, dibattito intorno ai CIE.
Un giro interessante guardandoli un po’ da dentro come luoghi di non vita e di sospensione ed arbitrarietà del diritto, nella convinzione che il miglior miglioramento, la prima istanza da mettere in campo è la chiusura perchè tutte le altre richieste, se pur legittime spesso legittimano i loro ideatori a renderli socialmente più accettabili.
Perchè guardati da fuori e da lontano nella loro origine e nel loro divenire i CIE sono la continuazione di tutte le colonizzazioni europee con altri mezzi, sono il paradosso dell’espulsione attraverso il confinamento, sono l’estensione di confini dentro la città per l’omologazione e la purificazione della popolazione da soggetti non riducibili alla sovranità statale alla quale potranno eventualmente avere accesso solo dopo aver pagato lo scotto della dis-identità soggettiva.
Un giro fatto da Elisabetta guardando alla esperienza di lotta collettiva femminista e lesbica al CIE di Ponte Galeria e al neoliberismo come matrice dei lager del ventunesimo secolo e dell’imbarbarimento sociale che permea anche la tragica insolubilità dei microdissidi quotidiani; un giro fatto da noi guardando anche oltre il neoliberismo, alla necessità di un pensiero che coniughi l’essere quello che si è con il territorio nel quale si vuole vivere non segnato da confini reali o virtuali, da confini di Stato, e da colonizzazioni -preesistenti al neoliberismo-, da nazionalismi guerreggiati ma mai risolti…
Ma qui si aprono altri percorsi di ragionamento fecondi di pensiero e confronto, altre trame da mettere in campo perchè con Elisabetta, siamo pienamente convinte e concordi, occorre tramare e costruire vie di fuga.
Di seguito alcune immagini dell’incontro. Seguirà un’altra puntata? Probabilmente sì.
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Intanto le parole.
Da un po’ di tempo in qua la crew Futuragra sostituisce la M di OGM con l’aggettivo Migliorati.
Questo perchè la campagna di sfondamento ogm sì, a partire dal Friuli prevede il pensopositivo per il Mon 810 ed il peste fame et cancro per tutti gli altri mais, soprattutto quelli da coltivazioni biologiche.
Perciò prima della mietitura miracolosa il giornale locale pubblica un articolo con questo titolo: “Tumori all’esofago: ‘imputata’ la polenta”, lo direbbe una ricerca la quale ci spiega in sintesi che chi di mais si nutre, di tumore muore, a meno che quel mais non sia quello di cui sopra.
Ma prima ancora si sono pubblicati altri spot in cui più o meno si dichiarava che “C’è vita sul mais gm”, piante rigogliose brulicanti di biodiversità, pannocchie belle, brave, buone rispetto alle altre brutte sporche e cattive…. Pannocchie che nessun altro parassita, …diabrotica, afidi, nottua… che la troppa pioggia, il troppo secco, le erbacce,… nuje. Un miracùl!! Un vero miracolo se si pensa che il costrutto è “migliorato” solo per far morire la piralide-
Piralide: “farfalla che infesta le coltivazioni di mais tradizionale e genera micotossine estremamente tossiche per l’uomo” (MV 12.10.13).
Si sa che i giornali sono dei divulgatori scientifici molto pasticcioni, ma “la piralide che genera micotossine” è proprio una citazione, ed è del professore incaricato di svolgere le analisi sulle colture in questione. Chissà se le “genera”, per via orale o anale o via ovidutto o attraverso un apposito canale micotossinogeno…. No, perchè detto e scritto così, sembra che le micotossine le fa la piralide; perciò: no piralide, no micotossine.
Non è così purtroppo, le micotossine sono collegate sì alla piralide ma non solo e non solo sul mais… e la scienza lo sa; ma questa scienza non lo dice, anzi.
I nostri nonni e nonne grandi mangiator* di polenta -che non avevano altro-, avrebbero dovuto morire tutti di quel brutto male; non ci pare, ci pare che ne capiti più alla generazione successiva che di polenta ne mangia assai poca… vai a sapere… che della famosa ricerca non è dato conoscere autore, pubblicazione, revisione, protocolli sperimentali, procedure ecc.
Con le ricerche è così, difficile capire chi la spunta; i topi di Seralini nutriti ad ogm e deformati da tumori di ogni tipo o i poveri pordenonesi ed in subordine tutti gli altri mangiatori di polenta.
“La scienza ci dà ragione” canta di gallo Dalla Libera; non ne avevamo dubbi; fintantochè le rilevazioni vengono fatte da persone sostenitrici del biotech in agricoltura.
Magnifici anche i servizi del tg3 regionale brillanti per mancanza di contradditorio, in particolare quello di ieri.
Quello di oggi invece ci ha mostrato il mais colorato dai no global, nel campo sbagliato, che il mais a vederlo è tutto uguale, anzi, quando noi abbiamo visto quello di Fidenato, ci è sembrato pure più brutto di quello normale perchè già in prima fila c’erano tre piante con il carbone; non dimentichiamo che anche quella dopotutto è vita!
Fidenato ha trebbiato, pare, qualche tempo fa; Dalla Libera oggi, come illustrato dal suddetto tg.
Dalla Libera aveva ricevuto un‘ordinanza della Direzione regionale risorse agricole e forestali che gli poneva il limite per la trebbiatura entro il 10 ottobre. Oggi siamo il 12.
Poi si raccomandavano altre cose tipo le operazioni di trebbiatura che devono limitare al minimo la caduta di cariossidi e di granella al suolo, e poi le macchine utilizzate che devono essere “assoggettate a diligente svuotamento e pulizia in modo da assicurare l’eliminazione di ogni residuo di prodotto ogm…” , poi il trasporto che deve avvenire “con l’utilizzo di mezzi stagni” ed il divieto di spigolatura e viavanti per evitare il granello clandestino che altrimenti in primavera bisogna diserbare tutto.
Insomma una serie di ordini che la regione ha emesso per non voler dire di no, in forma di sì condizionato di cui la prima condizione è già stata bellamente disattesa.
Parole quindi, anche quelle dell’ordinanza, ma con una premessa che è l’acquasanta generatrice di questo e di tutti i miracoli a venire: “…la messa in coltura di varietà di mais Mon810…. non può essere assoggettata ad una procedura nazionale di autorizzazione…”
Piace vincere facile?
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Leggete:
“Se la depressione colpisce una donna, come reagisce chi gli sta vicino? Quando un uomo uccide la propria partner per gelosia, cosa pensiamo? Quando una donna è preda della droga, del gioco d’azzardo, del vizio, come ci comportiamo? Quando una donna è diversa dalle nostre aspettative cosa facciamo? E se non gli interessano gli uomini?”
Allora, intanto ridiamo, perchè è il primo impulso che genera l’incipit patetico e sballato di questa iniziativa che qui di seguito commentiamo.
Ed ecco qua, che alla fine della stagione estiva, La Fattoria Didattica & Sociale Bosco di Museis, di Renato Garibaldi, dopo le serate sulle radici cristiane e celtiche della cultura di montagna curate da Paolo Paron (uno degli artefici dell’operazione Sbilfs e dell’invenzione e/o manipolazione delle tradizioni carniche a uso della nuova destra iniziata nei primi anni ’90), le riflessioni sugli stranieri con o senza dio gestite da un prete di fama (di) sinistra come Don Di Piazza, l’apologia degli imprenditori della montagna, persino la proiezione del film “Carnia 1944”, organizza la sua brava INIZIATIVA SESSISTA SULLE DONNE (ahinoi anche con alcune donne presenti che forse non hanno saputo leggere tra le righe e quindi non hanno capito l’importanza di disertare simili contesti).
L’iniziativa è intitolata DONNE E SOFFERENZA-BINOMIO INDISSOLUBILE? e il testo di presentazione, oltre alla sciatteria di utilizzare erroneamente e ripetutamente il pronome maschile anziché quello femminile, conferma l’ambiguità e l’ambivalenza politica (la terza posizione!?!) che caratterizzano le proposte culturali di Bosco di Museis. L’obiettivo è riuscire ad infiltrarsi nell’antifascismo storico, nelle lotte ambientali e/o di difesa del territorio… ed ora anche nel patrimonio del movimento delle donne, per appropriarsene ed infestarli di un pensiero autoritario e oscurantista.
Ed ecco che parlando di depressione delle donne ci si guarda bene dal fare riferimento alla struttura sociale patriarcale e al familismo che ne sono gli incubatori (come ben sottolineava vent’ anni fa Donatella Cozzi proprio in uno studio sulla depressione femminile in Carnia), come anche alla funzione cronicizzante del manicomio chimico post basagliano; mentre, parlando di uomini che ammazzano le donne per gelosia, si censurano accuratamente le parole violenza di genere, oppressione, prevaricazione, negazione, anzi, sembra che si voglia proprio rovesciare sulle donne un problema di sofferenza ormai squisitamente maschile: non si giustificano forse sempre gli autori di femminicidio con un “…era depresso…”?
Sorvoliamo con una risata (che speriamo li seppellirà!) sui toni millenaristi utilizzati per parlare delle “donne preda del VIZIO” in ogni sua declinazione possibile, ma ci teniamo a concludere diffidando l’organizzatore dall’associare la sofferenza alla condizione delle “donne alle quali non interessano gli uomini”: le donne che amano le donne, non soffrono affatto e anzi se la spassano, le uniche sofferenze sono quelle provocate dalla patologizzazione e colpevolizzazione dei desideri messe in atto dalle chiese, dai fascismi e dalle scienze mediche e psichiatriche ai loro danni!
* Foto di dedica al convegno di Garibaldi: Donne e sofferenza? Ribellione e resistenza!!
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Ieri a Udine c’è stata la
manifestazione per chiedere la chiusura della Harlan, multinazionale che alleva e fornisce animali a numerosi laboratori di sperimentazione animale. Prendiamo spunto dall’iniziativa di ieri, per continuare una riflessione su questo tema nella convinzione che posti come la Harlan vanno chiusi ma le coscienze vanno aperte alla complessità dei problemi nei quali la sperimentazione animale è inserita. Buona lettura.
La sperimentazione animale si fonda su un assunto che è quello che l’organismo animale è buono per essere usato come modello umano; farmaci, alimenti, cosmetici, nuove sostanze, tutto si testa sugli animali in base a questo principio.
In questo caso essere un modello significa essere simile, strutturato allo stesso modo, soggetto agli stessi risultati causa/effetto; ma non passivamente come il semplice manichino che usi per provare il vestito; per essere un buon modello occorre anche che il manichino abbia delle reazioni … insomma che dica “hai!” se lo pungi con lo spillo.
Ma la pratica della sperimentazione animale, per poter essere applicata con serenità di coscienza deve fondarsi anche su un altro assunto, che in realtà rappresenta l’inverso del primo; cioè che il modello è profondamente diverso dall’originale, cioè che l’umano è umano e che l’animale non è umano, e, proprio perchè animale non umano può essere vivisezionato, manipolato, ucciso, come un manichino privo di vita propria.
Evidentemente c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che sta lì in quel “quasi” ma non “abbastanza” dell’animale che è umano e non umano allo stesso tempo.
Allora, con quali attrezzi filosofici, biologici ed epistemologici ci apprestiamo a ragionare in questa terra di mezzo che sono le sfumature nel passaggio da un livello di organizzazione ad un altro, in questo sfilacciarsi dell’animale verso l’umano, nei salti e nei percorsi dell’evoluzione di cui il vivente tutto è il risultato?
La sensibilità individuale e l’empatia sono le scialuppe sulle quali possiamo navigare in questo mare di contraddizioni e labirinti che si apre davanti a noi quando affrontiamo questi argomenti.
Eppure, pur essendo anche un nostro sentire, non possiamo non riconoscere quanto talvolta siano molto emozionali e poco razionali, importanti ma non sufficienti.
Ed è sufficiente l’approccio razionale? e sopratutto, su che cosa si fonda? Può essere il livello di sviluppo del sistema nervoso la nostra chiave di lettura?
Nel numero di settembre di una rivista sicuramente non schierata contro la sperimentazione animale come “Le Scienze”, si riportava uno studio di Jaak Panksepp in un articolo con il titolo: “Il topo che rideva”, sottotitolo “Anche gli animali hanno il senso dell’umorismo? Forse sì”. Il topo ride, se sollecitato in certi punti, come noi quando ci fanno il solletico ai piedi…., ride, …con la stessa espressione giocosa di un bambino. E’ evidentemente una modalità di specie che attraverso la giocosità crea coesione fra individui conspecifici ma non solo; “… indurre la risata nei giovani ratti favoriva la formazione del legame ratto/uomo: i ratti solleticati cercavano attivamente le mani umane che li avevano fatti ridere”.
Per suggestione di contiguità emozionale, al ridere si associa il piangere.
Nel mese di luglio di quest’anno c’è stata la Dichiarazione di Cambridge sulla coscienza; vale la pena riportarne il sunto finale: “Noi dichiariamo quanto segue: L’assenza di neocorteccia non sembra precludere ad un organismo l’esperienza di stati affettivi. Evidenze convergenti indicano che animali non umani hanno substrati neuroanatomici, neurochimici e neurofisiologici che permettono stati di coscienti in base ai quali avere comportamenti intenzionali. Conseguentemente, il peso dell’evidenza indica che gli umani non sono gli unici in possesso di substrati neurologici che generano coscienza. Animali non umani, inclusi mammiferi ed uccelli, e molte altre creature, inclusi i polpi, possiedono questi substrati neurologici”.
E’ ovvio che in questo approccio scientifico subentra un altro paradosso: per poter osservare che il topo ride, devi averlo tenuto in contenzione; ed i neuroscienziati, neurofarmacologi, neurofisiologi ecc di Cambridge per arrivare alla loro dichiarazione ne avranno sezionati di cervelli non umani…
Per prendere coscienza che loro sono coscienti, demolire così il secondo assunto sul quale si regge la sperimentazione animale e dire, usando una perifrasi attuale, che l’animale è “diversamente” umano.
A questo punto, volendo, possiamo anche rovesciare la prospettiva e guardare a noi come specie “diversamente” animale, possiamo guardare all’animale che siamo dal punto di vista bio-ontologico ed evolutivo. Perchè, se non siamo creazionisti e guardiamo all’evoluzione, sappiamo che siamo anche animali, la scimmia nuda, appunto; ma la scimmia che ha imparato a parlare, a creare simboli -come gli orsacchiotti di peluches che davano da stringere quale supporto psicologico ai parenti delle vittime dell’11.09.01, o, per restare all’attualità, le maschere di animale spesso usate a supporto di un’idea -squisitamente umana- di sessualità bestiale (pensate alle teste di maiale di gomma indossate alle feste da basso impero della destra romana…)-, a formulare concetti e, attraverso la scienza, ipotesi e paradigmi…
E siamo la specie che, grazie a queste qualità, si discosta dalle altre per la capacità di infliggersi violenza intraspecifica non necessaria: [ne avevamo accennato qui] guerre, schiavitù, sfruttamento, dominio.
E’ uno scostamento in negativo determinato dall’uso aberrato del substrato neuronale emergente dalla nostra neocorteccia, usato per un’aggressività predatoria ambientale ed extraspecifica senza precedenti, arrivata al punto, paradossale anche questo, di autodistruzione.
La pressione di necessità per mantenere la nostra struttura termodinamica, non è quella dell’animale. Oltre che saper costruire, noi sappiamo anche immaginare: utensili, oggetti, mondi… reali e virtuali. Una parte di questi può aiutarci a vivere anche facendo a meno della violenza oltre che intra, anche extraspecifica di cui la sperimentazione animale è componente….
Allora perchè non connotare il nostro essere “diversamente” animali per un qualcosa in più piuttosto che in meno?
Che ci giova la presenza di neocorteccia se sprechiamo questo tentativo dell’evoluzione incarnato nelle nostre teste, di fare della vita sul pianeta un’avventura unica?
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Venerdì ci incontriamo con Donatella Cozzi, antropologa, per parlare di quella cosa che chiamiamo “depressione” e di tutto quello che a questa gira intorno.
Avevamo incontrato Donatella nel lontano 1992, nell’ambito di una rassegna (“Dire, fare, baciare… tecnica, mutamento”) che avevamo organizzato al Centro Sociale Autogestito di Via Volturno a Udine. Lei, allora, stava proprio lavorando al testo, poi pubblicato nel 2007 con il titolo “Le imperfezioni del silenzio- riflessioni antropologiche sulla depressione femminile in un’area alpina”.
L’area alpina è quella della Carnia; il suo punto di riferimento è il centro di salute mentale di Tolmezzo, punto di arrivo di persone dolenti, spezzate, perse.
Dalle loro “storie” emergono relazioni, aspirazioni soggettive, trame sociali e famigliari, che la visione antropologica restituisce in modo forse meno parziale di quanto possano fare altre discipline e con un taglio, nel caso della nostra ospite, non certo accademico, ma di profonda sensibilità.
Così inizia il suo lavoro: “Anche facendo un enorme sforzo, non potrei scindere il mio percorso biografico e di studi dall’interesse per il disagio mentale e per la psichiatria di cui questo saggio segna il punto culminante e insieme il calmo distacco. Ho avuto un motivo importante per perseguire questo interesse, la ‘malattia’ di mia madre. Un madre e una malattia biograficamente inscindibili, ingombranti, a volte titaniche e minacciose, dolenti e affascinanti, strenuamente indomite e intrusive, altre volte sorprendentemente creative e scatenanti all’esplorazione del mondo. Di lei, tutto quello che vi lascio sapere è che è una sfida formidabile. Tutto quello che sono o non sarò lo devo a lei, e al tenace amore di mio padre che le è rimasto sempre accanto. E’ la signora delle mie lacrime, la matrice della mia insicurezza, la nutrice inconsapevole della mia forza…”
Un incipit ben diverso da quello che abbiamo letto quest’estate come premessa da una iniziativa tenutasi sempre in Carnia e sempre sullo stesso ‘nodo’. Leggete qua: “Se la depressione colpisce una donna, come reagisce chi gli sta vicino? Quando un uomo uccide la propria partner per gelosia, cosa pensiamo? Quando una donna è preda della droga, del gioco d’azzardo, del vizio, come ci comportiamo? Quando una donna è diversa dalle nostre aspettative cosa facciamo? E se non gli interessano gli uomini?” Una cosa vergognosa, un approccio falsato e sessista oltre che semplicemente irritante per tutti gli stereotipi peggiori che si porta dentro.
Sbollita l’incazzatura, abbiamo continuato a pensare a quale sarebbe stato un avvicinamento corretto; e ci siamo ricordate del lavoro di Donatella Cozzi…
“… Allora, ragionare sulla depressione, per le donne (e gli uomini) del nostro tempo, rimanda in senso pieno non solo a tutte le condizioni che mortificano, umiliano, rattrappiscono la nostra umanità, e che chiedono una risposta capace di dispiegarsi anche sul piano del sociale e del politico, ma svela anche quella logica del dominio (e i suoi dispositivi) secondo la quale “il dolore va fluidificato, poichè di fronte alla violenza della perdita si fa collera e passa all’atto. Questa corrosività istituzionale del femminile sembra essere letta solo nei luoghi in cui esso è costretto: già plasmato fra norme e ruoli dunque, e mai nei luoghi della sua forza, tutta ancora da controllare. Una lettura sempre sul filo dello scacco, mai su quella capacità intrinseca di rendere più problematico e conflittuale il reale”. L’auspicio è che il nostro ragionare comune, nella pluralità di voci e di prospettive disciplinari, diventi legante dinamico di questa corrosività“.
Corrosive, ecco; infine, noi per il nostro bene.