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Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
Repubblica 11 gennaio 2010
Il Cairo denuncia “campagna di aggressione” contro le “minoranze arabe e musulmane”. Frattini: le leggi vanno rispettate. Dura la Cei: “Ha perso il più povero”. Maroni in
Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
MERCOLEDÌ, 03 FEBBRAIO 2010 Messaggero Veneto Pagina 4 – Attualità
«I centri immigrati sono come prigioni»
La denuncia di Medici senza frontiere: nelle 21 strutture nessun diritto
Sporcizia e sovraffollamento: 12 persone in un container di 25 metri quadrati Ci vivono il 45% di ex detenuti. La richiesta: chiudere i Cie di Trapani e Lamezia
ROMA. Passa il tempo ma i Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, che accolgono clandestini e richiedenti asilo restano gli stessi: continuano a rispondere a criteri di emergenza, non garantiscono diritti e tutela sanitaria. La fotografia di Medici senza frontiere sullo stato dei 21 centri (Cie, Cara, Cda), a 5 anni dall’ultima rilevazione, non cambia la sostanza di ciò che sono: «danno servizi scadenti, mancano i beni di prima necessità. Riescono a coprire appena i bisogni di base. La sanità pubblica è assente».
Tutto ciò si traduce, in permanenze in container fatiscenti e sovraffollati (in uno di 25 metri quadri vivevano in 12 persone), assenza di spazi adeguati, servizi igienici fortemente carenti, sporcizia diffusa ed anche presenza di topi. Vivono così uomini, donne, bambini ed anche neonati. Trentacinque i giorni di permanenza media.
I Cie poi, ribadisce il rapporto presentato ieri alla stampa (le visite sono state realizzate fra dicembre 2008 e agosto 2009), «sono carceri a tutti gli effetti», in cui vive il 45% di ex detenuti ed anche vittime di tratta. La responsabilità di ciò, per Msf, è da attribuire ai gestori. Ma non solo. «Verso gli immigrati il clima è sempre più ostile – ha detto il direttore generale Kostas Moschochoritis – e lo dimostra la vicenda di Rosarno».
Chiudere i Cie di Trapani e Lamezia Terme. Sono «totalmente inadeguati, sono luoghi invivibili» e c’è anche chi ci vive per 6 mesi; in molti casi mancano le finestre alle camere. A Roma, «mancano persino beni di prima necessità come coperte, saponi, vestiti, carta igienica».
Assenza di controlli sanitari. L’assistenza sanitaria è erogata dai singoli gestori; le Asl non hanno il controllo, nè di malattie nè di eventuali epidemie (rilevata la scabbia in alcuni casi) di quanto avviene nei centri. Mancano protocolli medici comuni. È insufficiente anche l’assistenza legale e psicologica. È stato riscontrato anche un uso di psicofarmaci per «sedare» le persone. A Roma e Torino mancano i mediatori culturali, impossibile conoscere i reali bisogni sanitari.
Gente non ha nulla da fare. I ritmi nei Cie sono scanditi dai pasti e dal sonno; ciò aggrava lo stato psicologico delle persone già provata dal viaggio per arrivare in Italia.
Il 50% intervistati da almeno 5 anni in Italia. Almeno la metà degli intervistati da Msf è nel nostro Paese da non meno di 5 anni; alcuni anche 15-20 anni.
Tensioni nei centri. Msf ha più volte rilevato i segni di tensioni e rivolte, come muri anneriti. Nel Cie di Gradisca di Isonzo, ad esempio, la visita è avvenuta senza elettricità perchè due giorni prima una protesta aveva reciso i cavi elettrici.
Impedita visita bari e Lampedusa. La Prefettura non ha autorizzato in questi centri l’accesso di Msf.
«Noi diversi dalla Croce Rossa». Sul ruolo della Croce Rossa che gestisce alcuni Cie, Msf – rispondendo a una domanda in conferenza stampa – ha tenuto a segnare la diversità: «Msf – ha detto Rolando Maniano, vice capo della ong in Italia – è un’ organizzazione indipendente, vive con i proventi dei donatori privati, la Cri invece è alle dirette dipendenze del governo italiano, i nostri intenti sono diversi». Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di Msf Italia, ha rilevato che nel Cara di Foggia, gestito dalla Cri, il «servizio medico è di alto livello» ma il contesto abitativo «è carente».
MV MERCOLEDÌ, 03 FEBBRAIO 2010
Pagina 4 – Attualità
Nel 2009 rivolte, aggressioni e fughe
GRADISCA. Promosso, o meglio non bocciato, a livello di struttura, ma preso a riferimento come il centro più sensibile a tensioni e rivolte.
In quanto a criticità è un ruolo di primo piano quello riconosciuto al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo dal rapporto di Medici senza frontiere, che ha tenuto conto delle visite effettuate dall’organizzazione umanitaria indipendente di soccorso medico, dal dicembre 2008 all’agosto 2009, nei 21 centri operanti sul territorio nazionale (oltre ai Cie sono finiti sotto la lente d’ingrandimento anche i Cara, centri di assistenza per richiedenti asilo, e Cda, centri di accoglienza) in tema di contrasto dell’immigrazione clandestina e di accoglienza.
Medici senza frontiere, si legge nel rapporto, «ha più volte rilevato segni di tensioni e rivolte, come muri anneriti a seguito di incendi. Nel Cie di Gradisca d’Isonzo, ad esempio, la visita (effettuata nell’aprile 2009) è avvenuta senza elettricità perchè due giorni prima una protesta aveva reciso i cavi elettrici».
Situazione rimarcata anche da Rolando Magnano, vice capo missione di Msf Italia, che ha confermato come nel «Cie in provincia di Gorizia siamo entrati dopo giornate di scontri durissimi, scortati dalla polizia in assetto anti-sommossa». Una realtà di tensione permanente confermata anche dalle ripetute denunce del personale dell’ente gestore del Cie (il consorzio cooperativistico trapanese Connecting People) in merito alle aggressioni subite dagli immigrati clandestini, addirittura una decina solo negli ultimi due mesi del 2009, tra cui quella che lo scorso 19 dicembre ha obbligato al ricovero in ospedale di un operatore a causa di una costola frattura e due incrinate dalla gomitata ricevuta da un algerino.
L’ultima fuga, invece, si è registrata lo scorso 27 dicembre, qundo a far perdere le proprie tracce furono due clandestini tunisini. Nelle due strutture gradiscane, al momento a pieno regime, sono ospitati 329 immigrati. Di questi 191 nel Cie, dove la capienza sarà aumentata a 248 posti solo una volta ultimati i lavori di potenziamento dei sistemi di sicurezza (sistemi a infrarossi e il ripristino degli spuntoni in cima alle recinzioni, rimossi nel 2007), mentre il Cara ospita attualmente 106 uomini, 17 donne e 15 minori, tutti in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato.
Marco Ceci
Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
1° MARZO GIORNATA DI SCIOPERO E
MOBILITAZIONE
In questo paese, come in tutta Europa, i migranti costituiscono una parte sempre più importante, numericamente e dal punto di vista produttivo, della forza lavoro.
La legislazione sull’immigrazione è quindi anche parte della legislazione sul lavoro. Preparata dalla Turco-Napolitano, la legge Bossi-Fini con il “contratto di soggiorno” per lavoro ha creato – accanto alle molte figure della precarietà contrattuale – lavoratori e lavoratrici altamente ricattabili perché precari anche dal punto di vista del diritto di restare: chi perde il lavoro perde anche il permesso di soggiorno. Questo meccanismo perverso, oltre a condannare centinaia di migliaia di persone ad un’esistenza in bilico, innesca una dinamica di concorrenza al ribasso che certamente non avvantaggia nemmeno i lavoratori italiani.
La crisi è generale e non fa differenze per il colore della pelle. Tutti ne pagano il prezzo, migranti e italiani. Ma i migranti, oltre a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori sociali, possono essere espulsi, e il razzismo istituzionalizzato serve a dividere i lavoratori, facendo credere ad alcuni di essere “protetti” perché altri sono buttati fuori dal lavoro e dal paese (mentre gli imprenditori portano al di là dei confini i loro capitali per sfruttare il lavoro migrante “in casa”). Il razzismo istituzionale indica dei nemici verso il basso per chiudere ogni rivendicazione verso l’alto.
In quest’ottica, i Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT) sono una valvola di sfogo per il mercato del lavoro: quando la domanda si abbassa, la forza lavoro migrante in eccesso viene resa clandestina (perdere il lavoro significa perdere il permesso di soggiorno) ed espulsa. L’aumento dei tempi di detenzione si spiega con la crisi: i migranti vengono “espulsi” anche per sei mesi all’interno del paese, prima di essere eventualmente rimandati oltre confine.
Così si moltiplicano figure di lavoro informale svincolate da ogni tutela contrattuale e giuridica. Il lavoro informale dei migranti è il modello di una progressiva informalizzazione di tutto il lavoro che risponde sempre più solo alla norma dei rapporti di forza tra padroni e lavoratori. Per questo la maggior parte delle espulsioni non viene eseguita, ma produce solo uomini e donne ancora più ricattabili.
Il lavoro domestico e di cura delle donne migranti è il momento più evidente di questo processo. Esso mostra, e la sanatoria-truffa destinata alle sole badanti lo conferma, che il sistema di produzione e riproduzione sociale non può prescindere dal lavoro migrante; che la divisione sessuale del lavoro che demanda alle donne il lavoro domestico e di cura è istituzionalizzata e salarizzata. Questa dinamica inoltre fa si che sempre più siano le famiglie a farsi carico diretto di quei compiti un tempo propri dello stato sociale, assorbendo così anni di tagli indiscriminati ai servizi.
L’irrigidimento dei criteri per l’ottenimento del ricongiungimento famigliare e della cittadinanza e anche semplicemente i vincoli per l’idoneità alloggiativa hanno come effetto quello di autorizzare alla residenza in Italia solo lavoratori o lavoratrici isolate, obbligati a una permanenza temporanea. Chi resta deve sapere che il futuro è segnato: i figli devono accettare limiti razzisti per l’ingresso nella scuola che impediscono di uscire dalla condizione operaia, i lavoratori non avranno la pensione. Di fronte alla crisi, la strategia del governo è quella di ridurre al minimo i costi sociali del lavoro. Una strategia che spiega perché, in caso di espulsione o se scelgono di lasciare l’Italia, i migranti non possono ritirare i contributi versati. I migranti anticipano un attacco complessivo agli ultimi residui di welfare che riguarda tutti i lavoratori.
La crisi prepara una ristrutturazione complessiva dei rapporti di lavoro. Il suo prezzo non è solo quello che i lavoratori pagano oggi con licenziamenti e cassa integrazione, ma quello di un ulteriore attacco alla loro capacità di organizzazione e del loro potere. Gran parte di questa partita si gioca, oggi, sulla pelle dei migranti.
Per questo è necessaria una risposta forte, contro il razzismo e la legge Bossi-Fini:
uno sciopero del lavoro migrante come sciopero di tutti i lavoratori, italiani e migranti.
Comitato triestino per lo sciopero del 1° marzo
Per contatti:
primomarzo2010trieste@gmail.com
http://primomarzotrieste.blogspot.com
Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
MATTINO: colazione e poi via…
ritrovo ore 10.30 piazza Cavana
performances, arte, musica, controinformazione
POMERIGGIO: ore 15.00 piazza S. Antonio
cancellazione delle scritte razziste dai muri della città
ore 17.00 piazza Ponterosso
MANIFESTAZIONE CITTADINA
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Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
1° MARZO:
sciopero dei migranti
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PER
FORTUNA
CHE
SELIM
C’E’
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Marzo 17th, 2017 — General, Sciopero dei migranti
Repubblica 1° Marzo
Iniziative e concerti in molte città per l’iniziativa “24 ore senza di noi”
a Roma presidio davanti all’Inps per i contribuiti negati a chi torna in patria
Immigrati, il giorno della protesta
da Milano a Napoli, migliaia in corteo
di Vladimiro Polchi
ROMA – “Non siamo criminali, non siamo clandestini, ecco a voi i nuovi cittadini”. Lo slogan parte dal centro di Milano, rimbalza a Roma e arriva a Rosarno. Viaggia sull’onda dei tamburi delle tante manifestazioni di questo “Primo marzo. Una giornata senza di noi”. Sessanta città italiane, 50mila membri su Facebook, decine di migliaia di cittadini italiani e stranieri in piazza per partecipare all’iniziativa “24 ore senza di noi”, promossa contro il razzismo e per i diritti dei quasi 5 milioni di cittadini di origine straniera che vivono e lavorano in Italia.
Il corteo più grande è quello di Napoli dove a sfilare sono quasi in 20mila. In piazza le maggiori comunità straniere, dal Bangladesh al Burkina Faso, dal Marocco al Senegal. In contemporanea altre manifestazioni occupano le strade delle città francesi, spagnole e greche.
A Roma, con Legambiente centinaia di rifugiati e richiedenti asilo insieme ai volontari hanno ripulito il parco di Colle Oppio. Un gruppo di immigrati ha manifestato sotto la sede dell’Inps, chiedendo che vengano restituiti ai lavoratori stranieri che decidono di tornare in patria i contributi versati per gli anni lavorati in Italia. In testa al corteo del pomeriggio ci sono gli immigrati di Rosarno. Mentre un maxi-divieto di accesso, con sotto
la scritta “Eccetto per gli studenti bianchi, ricchi e italiani” è lo striscione esposto davanti alla sede del ministero dell’Istruzione, da alcuni studenti universitari dei collettivi durante un blitz sulle scale dell’edificio.
A centinaia hanno sfilato anche per le vie di Milano: “Basta razzismo, siamo i nuovi cittadini, le vostre pensioni le paghiamo noi”. E’ uno degli slogan gridati nel corso del corteo. Racconta Emanuel, 34 anni del Camerun, dipendente di un grande albergo: “Sono a Milano da sei anni e da sei anni in metropolitana vengo guardato con disprezzo. I motivi di questa manifestazione sono tanti, il punto è che non veniamo considerati come cittadini”.
Il giallo è il colore della giornata di “sciopero” degli immigrati. Ad Ancona la manifestazione è culminata in un comizio in piazza Rona. Alexandre Rossi, brasiliano con cittadinanza italiana, referente del comitato Primo marzo ha denunciato la politica di non gestione del fenomeno migratorio seguita dal governo: “Si vogliono cacciare gli stranieri quando il 20% della ricchezza del Paese viene proprio dal contributo dei lavoratori extracomunitari”.
In giro per Trieste a cercare scritte razziste sui muri per cancellarle: è invece l’iniziativa promossa, nel capoluogo giuliano, in occasione dello sciopero degli immigrati.
La giornata è stata anche occasione di denuncia. A Caserta i giovani del centro sociale Insurgencia hanno mostrato un video al direttore generale dell’Azienda trasporto pubblico, nel quale si vede che molti autisti dei mezzi pubblici, su alcune linee, in particolare la M1N, la M1B e M4, non effettuano le fermate lungo il percorso se in attesa ci sono solo immigrati.
A Perugia il corteo – composto in gran parte da immigrati – è partito da piazza Italia, ha percorso corso Vannucci e in piazza IV Novembre si è svolta la manifestazione conclusiva. Presente, fra gli altri, il sindaco Wladimiro Boccali. Molti gli striscioni e i cartelli con frasi come: “No al razzismo istituzionale”, “Italiani e migranti per una nuova cittadinanza”, “Troppa intelligenza nessun diritto”, “Siamo tutti cittadini”.
Per il vescovo di Terni, mons. Vincenzo Paglia, lo sciopero è “una manifestazione particolarmente significativa, perché mostra quella indispensabile integrazione o convivenza che semina il futuro della nostra società”.
Intanto la Lega Nord ha deciso di organizzare per domani, a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, una contromanifestazione in risposta allo sciopero di oggi proclamato dagli immigrati.
Corriere 1° marzo
23:09 CRONACHE Cortei in 60 piazze italiane contro il razzismo.
La Camera dell’Artigianato: «Serve riflessione»
Video 1
Video 2
Corriere 28 febbraio
14:31 CRONACHE Lunedì l’iniziativa nata in Rete per «sostenere l’importanza dell’immigrazione per la tenuta socio-economica del Paese». Si svolgerà in contemporanea in Francia, Spagna e Grecia
Repubblica 27 febbraio
Cortei in giallo e iniziative nelle città per la “Primavera antirazzista”: associazioni, comitati e 50mila adesioni su Facebook per i diritti dei migranti. Il sindacato: “Senza di loro economia, famiglie e sanità in ginocchio” di V. POLCHI Commenta / I numeri
Il primo marzo la mobilitazione che apre la Primavera antirazzista. Cortei in molte città
Per la “rivoluzione in giallo” 50mila adesioni su Facebook e 60 comitati sul territorio
Dalle fabbriche alle famiglie, così il Paese non può fare a meno dei lavoratori stranieri
ROMA – Astensione dal lavoro, sciopero degli acquisti, cortei, sit-in, presidi permanenti. Il black out è fissato per lunedì “Primo marzo 2010 – Una giornata senza di noi”: e “noi” sono i quasi 5 milioni di immigrati che vivono in Italia. La “rivoluzione in giallo” (dal colore ufficiale della giornata) è arrivata dalla Francia e rimbalzata in Italia: 50mila le adesioni su Facebook, 60 comitati locali, tante le organizzazioni coinvolte: Amnesty, Arci, Acli, Legambiente, Emergency, Amref, Cobas, Fiom. Allo “sciopero degli immigrati” aderisce anche il Partito democratico, il Prc, Sinistra, ecologia e libertà e i Socialisti.
L’appuntamento è per il primo marzo, in contemporanea con Francia, Spagna e Grecia. Non si tratterà di uno sciopero in senso tecnico, in verità. “Ci sarà uno sciopero solo in alcune città come Trento, Trieste e Modena, dove le sigle sindacali hanno accolto questa richiesta che arrivava dal basso – spiega Stefania Ragusa, presidente del Comitato “Primo marzo 2010″ – per il resto i grandi sindacati a livello nazionale non ci hanno supportato, eppure nessuno ha mai pensato di indire uno sciopero etnico. Sarebbe bello che in Italia si tornasse a fare scioperi per tutti i diritti, non solo per quelli contrattuali. Vogliamo dare alla gente la possibilità di riflettere sull’importanza degli immigrati per la tenuta della società italiana. Quando saltano i diritti per qualcuno, è tutta la società che diventa più debole”.
Il logo della giornata (otto volti umani inseriti in quadrati sovrapposti) è opera dell’artista siciliano Giuseppe Cassibba, mentre per testimonial è stata scelta Mafalda, la bambina creata dalla matita di Quino. E il giallo sarà il colore dominante dei drappi che le colf appenderanno ai balconi e alle finestre, dei palloncini, dei braccialetti e dei foulard che in tutta Italia saranno indossati dai sostenitori dell’iniziativa. Il calendario con tutti gli appuntamenti città per città è sul sito del movimento (