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TRIESTE: report e foto primo marzo 2011

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Malgrado la bora non abbia dato tregua per tutta la giornata, in molti fra migranti e antirazzisti/e solidali si sono ritrovati in via delle Torri, nella manifestazione organizzata dal comitato Primo Marzo di Trieste. Benchè all’inizio fossero previste quattro piazze tematiche, nelle altre piazze sono stati effettuati solo dei volantinaggi, mentre la maggior parte della gente è confluita in un unico luogo. Qui sono stati fissati gli striscioni e distribuiti centinaia di volantini ai pochi passanti infreddoliti. Non sono mancanti gli interventi, fra cui quello della Tenda per la Pace e i Diritti di Monfalcone, che ha ricordato il progetto del governo di deportare tutti i richiedenti asilo che ora si trovano nei CARA in un’ex base NATO situata a Mineo (Sicilia) e ha invitato tutti e tutte a mobilitarsi. E’ stato anche ricordato l‘appuntamento di sabato 12 marzo a Gradisca davanti al CIE. A metà manifestazione si è svolta un’azione teatrale, organizzata per l’occasione, incentrata sul rapporto CIE/prigione, che ha catalizzato l’attenzione di tutti i presenti. Nel complesso sono intervenute un centinaio di persone.

Per aggiornamenti sulle prossime iniziative del comitato: primomarzotrieste.blogspot.com

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Da Il Piccolo del 02/03/11

 

COMITATO PRIMO MARZO

«No al reato di clandestinità e alla sanatoria-truffa»

Anche a Trieste uniti con i migranti per dire no ai Cie, alla sanatoria truffa, per abrogare il reato di clandestinità. Non li ha fermati il gelo di ieri, in via delle Torri: il Comitato Primo marzo, assieme ai Beati costruttori di pace e al Comitato Danilo Dolci, hanno organizzato per il secondo anno la protesta “Un giorno senza di noi”. Senza colf e badanti, senza migranti, uno dei motori dell’economia italiana. A Gradisca la protesta incendia il Cie, a Trieste chiedono la chiusura di tutti i centri. Sugli striscioni, lo sdegno contro la sanatoria delle colf e badanti: “Contributi pagati e permessi negati”. «A Trieste, come in molte città d’Italia, da più di un anno si sta portando avanti la battaglia contro la sanatoria-truffa», spiegano dal Comitato Primo marzo. Nel settembre 2009 in molti avevano visto «una possibilità di emergere dalla loro situazione di “clandestinità”». Perché truffa? «Una doppia truffa – aggiungono i manifestanti -. Perché non era possibile regolarizzare la propria posizione se si aveva un lavoro, ma solo se si lavorava come colf o badante. Nel marzo del 2010 una circolare del capo della polizia comunica che non può essere sanato chi è stato condannato perché, essendo irregolare, non ha lasciato il paese. Oggi, dopo 17 mesi, migliaia di persone attendono di conoscere la loro sorte». (i.gh.)

 

 

1° marzo/ MONFALCONE

Report. Distribuiti volantini per il 12 marzo contro il CIE ed intervento al microfono durante il corteo

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Messaggero Veneto MERCOLEDÌ, 02 MARZO 2011 Pagina 6 – Gorizia

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Affollato corteo per i diritti dei migranti

Contro il razzismo e lo sfruttamento. Ricordata la morte di Ismail Mia

MONFALCONE. Nonostante la forte bora e il freddo pungente, centinaia di persone, tra cui tanti stranieri, hanno sfilato per Monfalcone per manifestare contro razzismo e sfruttamento dei lavoratori migranti. Organizzata dal Comitato 1º marzo, di cui fa parte l’Unione sindacati di base, la manifestazione è partita dalla Fincantieri, ricordando che il 21 febbraio è morto di lavoro il terzo operaio in tre anni, Ismail Mia, di soli 22 anni, ed è giunta in piazza della Repubblica dove i manifestanti si sono fermati per esprimere l’importanza dell’iniziativa, organizzata in concomitanza con la giornata di mobilitazione internazionale in difesa dei diritti dei migranti all’insegna dello slogan “Un giorno senza di noi”. «Facciamo diventare il 1º marzo una giornata importante di lotta, per affermare, senza se e senza ma, i diritti di tutti, per dire che non siamo più disposti a essere merce per i profitti miliardari delle grandi imprese o merce di scambio per la politica e le proprie clientele», hanno affermato gli organizzatori, mentre in corteo si sono visti gli striscioni dell’Associazione carico sospeso-Comitato Cicciarella e uno striscione, tenuto con forza da lavoratori del Bangladesh, in cui si affermava “Adesso basta precarietà e morti bianche e sfruttamento”.
“Tutti i lavoratori, studenti, precari e disoccupati uniti nella lotta in difesa della dignità e della vita – Alla conquista di nuovi diritti sociali universali” è lo slogan che il Comitato ha sostenuto in difesa dei diritti di tutti i cittadini migranti e italiani per la salvaguardia dei posti di lavoro, ma anche dei diritti sociali universali, «sia quelli già conquistati, che oggi sono sotto attacco, sia per la conquista di nuovi diritti universalmente garantiti. Nell’interesse comune occorre lottare sia contro il supersfruttamento di cui oggi, a Monfalcone, Fincantieri è simbolo, sia per i lavoratori».
Tra i partecipanti anche l’assessore ai servizi sociali di Monfalcone, Cristiana Morsolin, e il rappresentante della comunità del Bangladesh, Mohammad Hossain Mukter, noto come Mark.
«Vogliamo ricordare tutti quelli che hanno perso la vita sul lavoro. Oggi è la prima volta che a Monfalcone si celebra il 1º marzo – ha detto –. Dichiariamo solidarietà a tutti i lavoratori italiani e delle diverse parti del mondo. Chiediamo per tutti sicurezza sul lavoro e chiediamo che gli enti si muovano perché la situazione è inaccettabile. Al Comune di Monfalcone chiediamo che si costituisca parte civile nel processo per la morte di Ismail e ai sindacati e alle Rsu che si costituisca un tavolo per incontri rapidi non solo in occasioni tragiche, ma tutte le volte in cui non vengono rispettati i diritti e le norme di sicurezza».
Tra le richieste del Comitato, l’assunzione di responsabilità di quanto accaduto «a partire dai vertici di Fincantieri e l’assunzione di provvedimenti concreti a partire dall’esclusione dal Cantiere delle ditte in appalto e subappalto che hanno subito contestazioni su questioni di sicurezza e regolarità contrattuale, con l’assorbimento dei lavoratori in altre ditte o direttamente in Fincantieri».
Cristina Visintini

1° MARZO/ Udine: egemonizzato dal centrosinistra

Messaggero Veneto DOMENICA, 28 FEBBRAIO 2010 Pagina 5 – Udine

«Con la crisi gli extracomunitari perdono lavoro e possibilità di rimanere in Italia»

Gli immigrati scioperano: «Ci discriminate»

Domani la prima agitazione dei lavoratori stranieri. In provincia sono 40 mila

ABDOU FAYE (CGIL)

LA PROTESTA

Manifestazione con operai, commessi, badanti, commercianti e imprenditori Appuntamento in piazza San Giacomo. Musica e interventi. Parlerà anche Honsell

di CRISTIAN RIGO

Operai e commessi. Impiegati e badanti. Ma anche commercianti e imprenditori. Tutti stranieri e tutti «stanchi di essere discriminati». Al punto da aver organizzato per domani il primo sciopero degli immigrati. Un’iniziativa che punta a coinvolgere anche gli «italiani stanchi del razzismo» e a dimostrare che «senza il contributo dei lavoratori stranieri la società friulana non funzionerebbe più». Anche perché gli immigrati lavoratori nella sola provincia di Udine sono circa 40 mila.
Per manifestare tutto il loro disagio, gli stranieri hanno scelto la cornice di piazza San Giacomo dove dalle 17.30 alle 21 circa si alterneranno sul palco diversi musicisti friulani tra i quali anche Red Storm Sound, dj Tubet, dj Ng, Urban Lifestyle, Mad Volcano, Dek Ill Ceesa e dj Brain Burger. E accanto alla musica sono previsti alcuni interventi compreso quello del sindaco Furio Honsell. Alle 18, in contemporanea con altre piazze d’Italia, saranno lanciate centinaia di palloncini. La “rivoluzione in giallo” (dal colore ufficiale della giornata scelto per la sua “neutralità” politica e come simbolo del cambiamento) si ispira al movimento francese “La journée sans immigrés: 24h sans nou” ed è promossa dal comitato “Primo marzo 2010 contro il razzismo” che su Facebook ha già raccolto 50 mila adesioni, comprese quelle di tante organizzazioni tra le quali anche Amnesty, Arci, Acli, Legambiente, Emergency, Amref, Cobas, Fiom. Allo sciopero aderiscono pure il Partito democratico, il Prc, Sinistra, ecologia e libertà e i Socialisti.
Tra gli organizzatori della manifestazione di domani, curata da Alessandro Oria e Hosam Aziz del Pd, c’è la Cgil che ha rinnovato la richiesta condivisa da tutti i sindacati di adottare delle specifiche misure anti-crisi sul fronte dell’immigrazione. «Perché gli extracomunitari – spiega Abdou Faye, responsabile dell’immigrazione della Cgil di Udine – rischiano di essere due volte vittime del difficile momento del mercato. Da un lato perché sono tra i primi a perdere il posto e dall’altro perché oltre al lavoro possono perdere il diritto a rimanere in Italia. Anche se si tratta di persone che si trovano qui da anni e che per anni hanno lavorato pagando regolarmente le tasse, c’è infatti il pericolo concreto di vedersi negata la possibilità di restare nel nostro Paese. A chi resta senza lavoro – spiega Faye – la legge consente di rinnovare il permesso di soggiorno per soli sei mesi. E oggi, con la maggior parte delle aziende costrette a fare ricorso alla cassa integrazione se non addirittura a chiudere, trovare un’occupazione stabile in sei mesi, non è un’impresa facile». Per questo motivo la Cgil ha chiesto di prevedere, nelle misure anti-crisi, anche la sospensione per due anni della legge Bossi Fini.
Lungo, a parere di Faye, l’elenco delle «discriminazioni» subìte dagli stranieri in Fvg. «Per accedere alle case popolari dell’Ater – ricorda – servono 10 anni di residenza in Italia di cui almeno 5 in reginoe e lo stesso vale per il bonus bebé. Per la carta famiglia ne servono 8 in Italia e 1 in regione. Il fondo povertà è riservato ai cittadini dell’Ue residenti in Fvg da almeno 36 mesi: gli extracomunitari sono comunque esclusi. E gli esempi potrebbero continuare». Ecco perché Faye parla di «un’esasperazione crescente degli stranieri che si sentono penalizzati e presi di mira». Tanto da aver deciso di scendere in piazza.

 

1° MARZO/ Report da Pordenone

2449Nonostante il boicottaggio dello sciopero dei sindacati confederali (anche se la CGIL aderiva all’iniziativa mentre CISL/UIL no) per motivi strumentali, a Pordenone s’è svolta con soddisfazione, almeno numericamente, la giornata “senza i migranti” dove mettere in evidenza gli “orrori” legislativi sia nazionali che regionali rispetto alle libertà e i diritti dei migranti. Almeno 500 le persone intervenute, donne, uomini e bambini dove oltre 400 erano immigrati (numerose le famiglie) con al fianco autoctoni solidali fra cui anche associazioni, militanti ed esponenti del PD e di Rifondazone e gli anarchici di Iniziativa LIbertaria, quest’ultimi attivi da anni sul fronte antirazzista con diverse critical mass, presidi ed azioni a sostegno dei migranti contro le politiche apertamente razziste della Lega Nord e della destra pordenonese.

Si veda, oltre il NO BORDER DAY, la recente contestazione alla fiaccolata nazileghista di 200 intruppati svoltasi in P.zza Risorgimento  (proprio nella Giornata della Memoria) che strumentalizzando un episodio di rissa per questioni economiche di un kebab curdo, sfilavano “contro la violenza” formalmente ma in realtà con l’ennesimo scopo antimmigrato e questo da parte di un partito che in provincia, dove comanda, e in regione detta l’agenda delle peggiori leggi xenofobe degli ultimi anni e che continua a sostenere la chiusura degli ambulatori per irregolari (tutti gestiti da volontari).

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1° MARZO/ Report in Regione

L’iniziativa più grande e significativa si è svolta a Trieste, dove il comitato locale, composto da diverse realtà, ha svolto un intenso lavoro di preparazione, con migliaia di manifesti, adesivi, volantinaggi nei bar e nelle fabbriche. Unica provincia regionale (e una delle poche in Italia) dove è stato proclamato sciopero generale da parte di USI-AIT e COBAS, nonostante i vari tentativi di boicottaggio degli ambienti della triplice.

 

La giornata è iniziata sotto i migliori auspici grazie…

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Trieste 1°marzo 2010

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1° MARZO/ Rassegna Stampa

TRIESTE (NOSTRA GALLERIA FOTOGRAFICA)

 

Il Piccolo Trieste (on line)

Sciopero immigrati, 800 in marcia
Cancellate scritte razziste in centro

I manifestanti, poco meno di un migliaio, hanno attraversato il centro della città scandendo slogan e cori. In molti sono andati alla ricerca di scritte razziste sui muri per cancellarle. Cortei anche a Udine e Pordenone

TRIESTE. Nel pomeriggio, un corteo di 700-800 persone – più di mille secondo gli organizzatori-, ha attraversato il centro della città preceduto da uno striscione con la scritta “Siamo tutti stranieri e antirazzisti”. Nel corso della manifestazione, i partecipanti sono andati “a caccia” di scritte razziste sui muri per cancellarle. Altre mobilitazioni si sono svolte a Udine, con sit-in e concerti, e a Pordenone, con un raduno nel centro cittadino.

 

 

PORDENONE

Messaggero Veneto  MARTEDÌ, 02 MARZO 2010 Pagina 3 – Pordenone

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Grido d’allarme durante “24 ore senza di noi”: «I posti di lavoro oggi scarseggiano e gli ultimi arrivati ce li soffiano»

Ieri in piazza XX settembre, oltre a sorrisi e palloncini colorati anche un messaggio forte

Gli immigrati di prima generazione «Rischiamo una guerra tra poveri»

LA MANIFESTAZIONE
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di MARTINA MILIA

Centinaia. Almeno 300, secondo la questura, gli immigrati (in prevalenza africani, magrebini, indiani) che hanno partecipato alla manifestazione.
Giallo. Il colore dei palloncini che hanno addobbato le piazze italiane – piazza XX settembre a Pordenone – in occasione della “Giornata senza di noi”
Lavoro. La perdita dell’occupazione e del permesso di soggiorno è la paura più diffusa in tempo di crisi. La mancanza di lavoro genera una guerra tra poveri.
Tante nazionalità una sola identità: immigrato. Alcune centinaia di cittadini africani, arabi, indiani (300 in tutto per le forze dell’ordine) e alcune decine di italiani ieri pomeriggio hanno occupato pacificamente piazza XX settembre per raccontare l’altra faccia dell’immigrazione, “una giornata senza di noi”. Chi ha il lavoro è arrivato a fine turno, chi quel prezioso impiego non lo ha più è arrivato fin dalle prime ore del pomeriggio. Tante le storie, una la paura: «si sta creando una guerra tra poveri perchè i nuovi arrivati sono più tutelati di chi è qui da tempo e, se perde il posto, rischia il rimpatrio».

 

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alloncini gialli – lanciati e scoppiati in segno di festa intorno alle 18.30, in contemporanea a 60 piazze italiane –, bambini, donne, uomini, si sono mescolati dopo che i giochi, i tamburi e i discorsi al microfono hanno richiamato tutti ad appropriarsi della piazza. Tra tanti colori, non solo della pelle, il giallo – quello scelto come simbolo della giornata – ha unito grandi e piccoli, italiani e stranieri, tutti insieme per riflettere sull’opportunità di stare insieme.
Alla domanda perchè sei qua oggi? la risposta ieri pomeriggio era quasi sempre la stessa: «vivo in Italia da tanto tempo ma oggi che lavoro ce n’è poco rischio di essere mandato a casa mentre chi è appena arrivato e trova impiego è più tutelato di me. Se andiamo avanti così si crea una guerra tra poveri». E di lavoro e diritti – tra un gioco per i bambini, un’esibizione di tamburi e un kebab – hanno parlato i vari intervenuti sul palco fino all’imbrunire. Sul palco mancavano le luci ma il buio non ha spento la festa e la voglia di parlare.
Il rischio di trasformare i lavoratori in clandestini è stato al centro dell’intervento del segretario provinciale della Cgil Emanuele Iodice. «Siamo tutti preoccupati dall’applicazione rigida della Bossi Fini – ha detto Iodice – perchè vorrebbe dire trasformare in clandestini molte persone che vivono qui da anni. Spingere le persone a diventare clandestini non è interesse neanche degli italiani. Il nostro sistema non può permettersi di perdere milioni di posti di lavoro nè di persone che pagano le tasse».
Un no secco alla Bossi Fini è arrivato anche da Mauro Marra (presidente dell’associazione immigrati) che, a chiusura degli interventi ufficiali, ha individuato tre priorità: «chi perde il lavoro ed è stato sfruttato per anni non può essere mandato via dopo sei mesi, serve un permesso di soggiorno di due anni per tutti»; la battaglia per tenere aperto l’ambulatorio per gli stranieri temporaneamente soggiornanti «va proseguita e se serve dobbiamo tornare in piazza»; la giornata di ieri deve essere l’inizio di un percorso comune, «quello che manca è lo stare insieme».

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Molto applaudito dalla platea il rappresentante della comunità dei Tuareg che ha invitato tutti a battere le mani «per gli italiani che oggi sono qua tra noi» e ha esortato i presenti a «essere uniti per difendere la nostra dignità. Siamo venuti in Italia per cercare una vita migliore: se non vogliono gli immigrati che ci lasciano i diamanti e il petrolio in Africa». La legge «deve essere uguale per tutti – ha aggiunto –: gli Stati Uniti sono diventati una potenza perchè hanno accettato persone di tutti i colori. Serve una società mista per lo sviluppo del mondo».
A raccontare il senso vero della manifestazione, Edi Ntumba Dinanga, del comitato Primo marzo. «Siamo qui per manifestare la nostra presenza: non siamo solo manodopera, siamo persone. Non voglio parlare dei nostri diritti bensì dei nostri doveri e per questo mi rivolgo anche agli italiani – ha detto –: vigilate sulla libertà che i vostri padri hanno conquistato e hanno tradotto nella Costituzione. Mi sono divertito a leggerla, invito anche gli italiani a farlo». Gli immigrati sono pronti a fare la loro parte «ma gli italiani devono dare l’esempio. Cosa devo fare quando sento il Primo ministro dare dei talebani ai magistrati?». Gli immigrati, ha precisato Edi, «non vengono qua per arricchirsi. Veniamo in Italia perchè cerchiamo soprattutto la libertà che nei nostri Paesi non c’è».

 

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UDINE

Il Messaggero Veneto Udine

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Immigrati e italiani in piazza:
in Friuli le leggi più razziste

di Cristian Rigo

La manifestazione anti-razzismo svoltasi in piazza Mattetotti, a Udine
La manifestazione anti-razzismo svoltasi in piazza Mattetotti, a Udine

UDINE. «Nelle scuole distribuiamo uno yogurt due volte la settimana. Vogliamo insegnare ai bambini a mangiare sano, ma con la nuova Finanziaria regionale possiamo dare questi yogurt solo a chi è residente in Fvg da almeno 36 mesi. Ma, agendo in questo modo, cosa imparano i bambini?». La risposta al sindaco Honsell l’hanno data ieri i circa 500 partecipanti al primo “ sciopero” degli stranieri.

Hanno cantato e ballato tutti con addosso almeno qualcosa di giallo, il colore simbolo del cambiamento. Stranieri e italiani. Lavoratori e disoccupati. Donne e bambini, giovani e anziani. Si sono ritrovati in piazza San Giacomo per dire «no al razzismo» e per chiedere che quei due yogurt vengano dati a tutti i bambini che ne hanno bisogno, indipendentemente dalla residenza o dalla cittadinanza. Ma anche per dimostrare che senza gli immigrati «la società italiana non funzionerebbe».

Nella sola provincia di Udine i lavoratori immigrati sono 40 mila. «Senza di loro – assicura il referente immigrazione della Cgil, Abdou Faye – molte fabbriche e negozi chiuderebbero, ma anche le scuole sarebbero in difficoltà. Basti pensare che gli stranieri iscritti alla scuola dell’obbligo sono circa 6 mila».

Ecco perché ieri tra i manifestanti le parole più gettonate erano rispetto e uguaglianza. Qualcuno ha domandato che vengano restituiti ai lavoratori stranieri costretti a tornare in patria i contributi versati per gli anni lavorati in Italia. E quando il sindaco Honsell ha ricordato il caso degli yogurt o dell’i mpossibilità di ospitare un senzatetto all’asilo notturno (a meno che non ci siano i “famosi” 36 mesi di residenza) e anche dei bonus bebé riservati ai residenti da più di 5 anni, il grido della folla si è fatto più intenso.

Un grido riassunto molto bene da un cartellone dove si leggeva: «Il Friuli non merita le leggi più razziste d’Europa». Sul fatto «che la Regione Fvg sia la più razzista» invece i manifestanti non avevano dubbi. Colpa «delle politiche razziste sul welfare» ha sintetizzato don Pierluigi Di Piazza, mentre un udinese ha preso il microfono per sottolineare «che i friulani non sono razzisti e la maggior parte della gente si vergogna quando la Lega cerca di chiudere gli ambulatori agli immigrati». Ed è proprio per quello che – ha sottolineato Di Piazza – «alle ronde il Friuli tutto ha risposto no grazie».

Per dire «no al razzismo» invece ieri sono stati lanciati in cielo centinaia di palloncini gialli e alla fine tutti i manifestanti hanno partecipato a un grande girotondo tenendosi per mano su invito dei comitati e dell’organizzatore dell’iniziativa, Hosam Aziz del Pd.

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MV Udine MARTEDÌ, 02 MARZO 2010

Pagina 3 – Udine

Abdoul: ho resistito e mi sono diplomato grazie ai professori. Ahmed: sono un carpentiere esperto, ma le aziende non mi vogliono

«Insultato a scuola per il colore della pelle»

Le storie e le speranze. «Ma l’integrazione sta facendo troppi passi indietro»

Vivono tutti a Udine da molti anni, ma secondo loro non c’è integrazione. Dicono di aver subìto sulla propria pelle episodi di intolleranza. Ma non si arrendono. Vorrebbero un impiego per vivere con dignità. La crisi economica ha fatto perdere il lavoro a molti. E rischiano di essere costretti a tornare nel paese di origine. Questa la situazione dei cittadini immigrati che ieri hanno manifestato in piazza San Giacomo. Hanno tutti storie diverse da raccontare. C’è chi lavora e chi sta ancora cercando un modo per mantenersi.
Abdoul Mdiaye ha 25 anni e vive da 10 a Udine. Si è trasferito in Friuli dal Senegal, ma quando è arrivato ha incontrato grosse difficoltà. «Ho studiato all’Enaip per diventare carrozziere – racconta – e adesso lavoro in un’officina. Ma per me è stato molto difficile. I ragazzi a scuola mi insultavano per il colore della mia pelle e stavo per lasciare. I professori mi hanno detto di resistere e alla fine mi sono diplomato». Ma c’è anche chi è senza un’occupazione da due anni, come Ibrahim Abdellwahit, sudanese: «Sono arrivato in Italia come rifugiato, perché nel mio paese la gente si ammazzava per strada. Vivo a Udine da 4 anni e sono un saldatore. Ma quasi due anni fa ho perso il mio impiego a causa della crisi e ora sono in gravi difficoltà. Porto i curriculum nelle ditte, ma soltanto una su dieci lo accetta e comunque non mi richiama».
C’è anche chi ha trovato un impiego che dà garanzie e nel suo lavoro aiuta proprio gli immigrati, come Awa Kane, senegalese, che è arrivata in piazza con la sua bambina più piccola. «Faccio la mediatrice culturale e aiuto gli extracomunitari a trovare un contatto con i distretti sanitari – racconta -. Vivo a Udine da 10 anni, ma devo dire che nelle politiche di integrazione si sono fatti grandi passi indietro». Dello stesso avviso è Fatima Diop, senegalese anche lei, che vive e lavora a Treviso da 14 anni come cameriera ai piani. «Per strada noto molto razzismo sia nei gesti sia nelle parole. Gli italiani devono capire che gli immigrati rappresentano una ricchezza». Ed è proprio questo il punto anche per Marhian Bissila, studente congolese all’università di Udine: «La situazione degli immigrati è molto deludente. L’integrazione invece deve esserci pure nei fatti». Ahmed Musa, sudanese a Udine da 8 anni, ha perso il lavoro da poco e sconsolato afferma: «Sono un carpentiere con molta esperienza, ma quando porto il curriculum non mi chiamano. Tendono ad assumere italiani, anche senza capacità. Non è più come una volta». Secondo Ahmed, il vento è cambiato. A suo avviso ci sono poche vie d’uscita.
Renato Schinko

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1° MARZO/ volantino distribuito a Trieste

Una sera dei primi d’agosto 2009 Vittorio Addesso, ispettore-capo del Centro di identificazione per immigrati (Cie) di Milano, cerca di violentare Joy,

una donna nigeriana, nella sua cella. Grazie all’aiuto di Hellen,  sua compagna di reclusione, Joy riesce a difendersi.

Qualche settimana dopo nel Cie scoppia una rivolta contro le condizioni disumane di reclusione. In quell’occasione Joy, Hellen e altre donne nigeriane vengono ammanettate,

portate in una stanza senza telecamere, fatte inginocchiare e picchiate violentemente.

In seguito alla rivolta, a Milano si è svolto un processo contro 14 donne e uomini migranti, tra cui Joy e le altre.

Durante una delle prime udienze, quando in aula entra Addesso per testimoniare, le/i migranti processati denunciano pubblicamente gli abusi quotidiani da parte di quell’ispettore-capo

e Joy trova il coraggio di raccontare del tentato stupro.

In seguito al processo, alcuni/e migranti, tra cui Joy ed Hellen, vengono condannati a 6 mesi di carcere; altri a 9 mesi.

Le ragazze vengono separate e mandate in diverse carceri, in modo da isolarle e neutralizzare la forza che hanno saputo esprimere collettivamente.

Il 12 febbraio si suicida uno dei migranti condannati in quel processo, Mohammed El Abouby, nel carcere di San Vittore. Mohammed si è suicidato in carcere

con il gas dopo avere saputo che sarebbe stato nuovamente deportato nel Cie milanese dopo la scarcerazione e questo l’ha spinto a farla finita.

L’intrappolamento nel meccanismo Cie-carcere-Cie è, infatti, uno degli aspetti del razzismo di Stato che moltiplicherà le vittime della violenza sancita per legge.

Nella notte tra l’11 e il 12 febbraio, Joy, Hellen, Debby, Florence e Priscilla sono state prelevate dalle varie carceri e  reinternate in alcuni Cie d’Italia.

Debby e Priscilla sono a Torino al Cie di C.so Brunelleschi, Florence ed Hellen al Cie di Ponte Galeria a Roma, Joy è stata rinchiusa nel Cie di Modena dove,

tra l’altro, all’entrata è previsto il sequestro dei telefoni cellulari.

In questi mesi ci sono state numerose mobilitazioni per far conoscere la vicenda di queste donne e, in generale, la situazione insostenibile nei CIE:

manifestazioni che spesso sono state attaccate dalle “forze dell’ordine” che hanno ovviamente l’interesse che questo caso non diventi di dominio pubblico.

Col pretesto della “sicurezza”, le donne migranti vengono rinchiuse in lager in cui ricatti e abusi sessuali sono all’ordine del giorno.

Col pretesto della “sicurezza” in Italia stanno verificandosi, nel silenzio generalizzato, abusi degni d’un regime fascista.


I CIE sono luoghi infernali: le galere non sono meglio, ma in questi luoghi dove non si ha alcun diritto si aggiunge la beffa che la condizione giuridica dei carcerati è quella di “ospite”.

Qui vengono rinchiusi uomini e donne che una legge razzista definisce “illegali”.
Chi ha la sventura di finire in questi inferni difficilmente ne uscirà integro. Di tutto e di più viene perpetrato sui corpi e la psiche degli “ospiti” anche se, formalmente,

nessun reato viene loro contestato se non quello di essere sprovvisti di un pezzo di carta chiamato Permesso di Soggiorno.
Sono all’ordine del giorno i tentativi di suicidio,autolesionismo estremo,tentativi di fuga e rivolte.
A questo si aggiunge una questione di genere:le donne,le donne dentro i CIE.
Spesso le prostitute rinchiuse nei CIE sono state il canonico obiettivo del maschilismo razzista.
Maschilismo razzista che si manifesta non solo nei CIE e nelle carceri, ma nelle case, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle strade. E se la donna in generale è per tanti uomini un oggetto, ancora di più lo è la prostituta, valvola di sfogo delle frustrazioni di questi “uomini”, vittime della violenza intrinseca al potere maschile e al dominio. Queste donne avevano già subito la violenza di uomini che a volte avevano lo stesso colore della pelle o la stessa nazionalità, ma che dovevano sottometterle per poterne sfruttare il corpo.

Le cronache ci parlano di queste donne quando vengono trovate cadaveri in qualche via buia o dentro un canale per essersi ribellate alla schiavitù o, addirittura, a seguito delle violenze subite da parte dei loro sfruttatori o dei loro clienti.
Ma se è volte è possibile scampare alla schiavitù della strada, per le donne immigrate non è possibile scampare alla schiavitù che le leggi sull’immigrazione vogliono loro imporre e vengono così rinchiuse nei CIE, diventando corpi che gli aguzzini si sentono in “diritto” di “usare”. Sono corpi e non persone: qualsiasi violenza è permessa.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà a TUTTE le DONNE che, dentro i CIE, fuori dai CIE, dentro le carceri, fuori dalle carceri, dentro le mura domestiche, a scuola o per la strada, subiscono quotidianamente stupri e violenze di ogni genere.
Continuiamo a denunciare come l’impianto di tutte le leggi contro l’immigrazione (Turco/Napoletano e Bossi/Fini) continui a produrre brutalità, oppressione e sfruttamento.


liberamente tratto da

http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/

e da un comunicato della Commissione Antirazzista della Federazione Anarchica Italiana

www.federazioneanarchica.org/antirazzista


a cura dei compagni e delle compagne del Gruppo Anarchico Germinal

ANTIRAZZISMO e SANATORIA: i giochi sporchi delle questure e del governo

Da Repubblica del 04/03/10

 

In gran segreto il governo ordina: via chi ha chiesto la sanatoria ma ha un’espulsione alle spalle
La linea dura applicata a Trieste, Riimini e Perugia. Clemenza a Milano, Venezia e Bologna
L’ultima beffa agli immigrati spunta la sanatoria trappola
Input contraddittori dal Viminale. Prima rassicura gli stranieri, poi avalla il giro di vite

dal nostro inviato PAOLO RUMIZ

TRIESTE – Come criminali comuni,
magnaccia o spacciatori di droga. Gli immigrati che hanno fatto domanda
di sanatoria ma in passato non hanno rispettato un decreto di
espulsione vanno rispediti a casa.Non ovunque, ma così, come gira agli
uffici stranieri delle questure. Qua e là, alla chetichella, partendo
dalla provincia, che nessuno mangi la foglia in anticipo. Uno sì e
l’altro no, in modo che tutti restino col fiato sospeso. Funziona così
la sanatoria Maroni: inflessibile in alcune province, a maglie larghe
altrove. Una dicotomia interpretativa che colora la carta d’Italia come
le chiazze del morbillo.

Durezza a Trieste, Rimini, Perugia. Clemenza
a Milano, Venezia, Bologna e in altre province. Incertezza ovunque, di
conseguenza. La voce si è sparsa e gli immigrati si scoprono a
bagnomaria, con un contratto regolare in mano ma senza sapere ancora se
saranno espulsi o no. In gran parte africani, gli stessi che la mafia
ha preso a fucilate a Rosarno. I più visibili, quelli espulsi più di
frequente, dunque più ricattabili e di conseguenza a costo più basso
sul mercato del lavoro. L’incertezza del diritto in Italia la vedi
sulla pelle degli stranieri.

La storia si gioca negli ultimi sette
mesi, da quando parte la sanatoria Maroni. A monte, la contraddizione
insita nella precedente legge Bossi-Fini, che all’articolo 14 individua
nella mancata ottemperanza all’espulsione l’unico reato veniale del
codice per il quale è previsto l’arresto obbligatorio. Come dire: non
hai fatto niente, ma ti ficco dentro lo stesso. Di fronte a questa
incertezza del diritto, molte organizzazioni vogliono vederci chiaro. I
condannati per mancata obbedienza al decreto di espulsione possono fare
domanda, sì o no?

La Confartigianato di Rimini per esempio, città
che in seguito vedrà espulsioni, pone il quesito al Viminale. Ottiene
circostanziata risposta ufficiale via mail in 48 ore: la richiesta si
può fare. Data: 23 settembre 2009. Anche il buon senso dice che non può
essere altrimenti. Che cosa si deve sanare se non una precedente
illegalità? Che senso avrebbe impedire la legalizzazione di coloro che
sono stati illegali? Insomma: lasciate che le pecorelle vengano a noi
con fiducia.

Tutto sembra mettersi bene. Il ministero raccomanda alle
prefetture, che devono istruire le domande, di lavorare con larghezza.
Ovunque si instaura un clima di efficienza ecumenica. Traduttori,
mediatori culturali, rispetto. L’Italia sembra improvvisamente un altro
Paese. Ma attenzione: la raccomandazione del Viminale non avviene per
iscritto ma con telefonate dirette a ogni prefetto d’Italia. L’elettore
medio non deve sapere che questo governo tratta gli immigrati come
persone.

Ma i prefetti non si formalizzano e la macchina s’avvia.
Scatta l’emersione. Decine di migliaia di stranieri escono dalle
catacombe, trovano datori di lavoro per un contratto, spesso minimale
ma sufficiente. Pagano l’Inps e le varie tasse di regolarizzazione.
Firmano montagne di carte. Fanno lo stesso i cittadini italiani che li
hanno assunti. Ma l’ultima parola spetta alla questura, che deve
controllare la fedina degli stranieri.

E qui il clima cambia di colpo.
Alcune questure convocano gli immigrati, comunicano il respingimento
della domanda e, contestualmente, il decreto di espulsione. Il pollo è
lì, si è autoconsegnato con i documenti in mano, e viene caricato su un
aereo. La sua colpa è appunto quella individuata dalla Bossi-Fini:
avere ignorato la condanna all’espulsione. Il tutto gli viene spiegato
senza preavviso prefettizio e senza dar tempo al malcapitato di
consultare un legale. Via subito. Il caso di Trieste.

La voce gira, e
gli immigrati si organizzano, cercano patrocinio legale. Alcuni
consegnano i passaporti ai loro datori di lavoro, non si sa mai. Tutti
fiutano il trappolone, temono che la larghezza iniziale sia stata
propedeutica alla chiusura successiva. E intanto partono nuove domande
al Viminale. Il giornale di Trieste, per esempio, segnala la cosa al
ministro, il quale risponde, ma con un appunto anonimo, cioè senza
firma, compilato dalla stessa questura.

C’è scritto: la condanna per
mancata obbedienza all’espulsione è da considerarsi reato grave, tant’è
vero che comporta arresto obbligatorio. La cacciata dall’Italia è
dunque legittima. L’esatto contrario di quanto sostenuto ufficialmente
il 23 settembre. Ora nemmeno al ministero ci capiscono più niente. Gli
uffici cui fanno capo le prefettura ignorano quanto pensano e fanno al
piano di sopra gli uffici delle questure. Il marasma è tale che le
stesse questure chiedono istruzioni, vedi Pavia e Alessandria. E il
ministro risponde con appunti senza firma perché non può sostenere un
nonsenso e contraddirsi.

“Noi applichiamo la legge” dichiara il
questore di Trieste, il quale peraltro aggiunge subito dopo che il
reato in questione “può rientrare” tra quelli ostativi alla concessione
della sanatoria. “Può rientrare”, si badi bene: non “rientra”. Dunque
quell’interpretazio

ne è, per sua stessa ammissione, facoltativa. Ed è
quanto avviene, per l’appunto, in giro per l’Italia. Chi vuol mostrare
i muscoli col ministro espelle; gli altri no. E le prefetture, laddove
subalterne alle questure, si adeguano all’anarchia interpretativa.
Sulla quale sarebbe ora che il ministro si pronunciasse in prima
persona, in nome dello stato di diritto.

Pordenone: contro la chiusura dell’ambulatorio per clandestini (Rassegna stampa)

Messaggero Veneto di Pordenone

Due africane salvate in extremis a Pordenone: temevano la denuncia dei medici

di Elena Del Giudice

PORDENONE. Sono già due, due storie clandestine di aborto e disperazione provocate dalla paura di rivolgersi all’a mbulatorio di via Montereale per ricevere aiuto e assistenza. Due giovani donne salvate in extremis e che hanno rischiato di morire. «Forse a qualcuno non interessa, ma a noi sì. Era già accaduto» racconta Gabriel Tshimanga, uno dei due medici che garantiscono assistenza agli “irregolari” in città.

Qualche tempo fa a una giovane donna africana che era rimasta incinta e aveva abortito in casa ricorrendo a dei farmaci, forniti chissà da chi, erano sopravvenute complicazioni. La ragazza era arrivata a Pordenone per cercare lavoro dalla Sardegna, e siccome era troppo spaventata per rivolgersi al nostro ambulatorio, «è tornata in quella regione per farsi medicare ed è stata ricoverata con urgenza».

Pochi giorni fa il secondo episodio: un’altra giovane donna straniera ha fatto ricorso a medicinali per procurare l’aborto, salvo trascorrere poi i dieci giorni successivi alle prese con dolori atroci. Solo l’intervento del dottor Tchimanga, avvertito della situazione, ha impedito che per questa donna non ci fosse più scampo. Si è recato nella casa dove la ragazza risiedeva, l’ha caricata in auto e l’ha portata al Santa Maria degli Angeli dove è stata curata.

Gli aborti clandestini, tra le donne extracomunitarie, non sono poi molto diversi dalle interruzioni di gravidanza che, fino a qualche anno fa – e forse anche adesso – si praticavano con l’aiuto delle “ mammane” o di pozioni-miscuglio di medicinali prescritti per altre patologie ma che sono anche in grado di indurre l’aborto. E ora queste donne «praticano le interruzioni di gravidanza “fai da te” – prosegue il medico -, assumono dosi eccessive di aspirina o di altri farmaci, rimedi suggeriti da amiche e conoscenti, perchè non sanno come altro fare».

Non solo aborti nell’ombra della clandestinità, anche «malattie infettive che andrebbero seguite nella loro evoluzione – prosegue Tshimanga -. Ci capita di visitare ragazzi che, per l’appunto, hanno contratto una malattia infettiva e che trascorrono molto tempo senza farsi vedere, rischiando la propria salute. Preoccupano situazioni come queste, di malattie acute che vengono trascurate perchè la gente ha paura di farsi visitare da un medico e di recarsi all’ambulatorio per ricevere cure e assistenza, perchè possono degenerare e c’è il rischio che possano morire. Magari a qualcuno potrà far piacere questa cosa, ma a noi, che siamo medici, certamente no».

Al dottor Tshimanga accade di fare ricette per strada, a persone che hanno davvero bisogno di medicine, e che trascurano una patologia importante perchè non sono in grado di valutarla. E andrà sempre peggio. «Chi propone il test per la tubercolosi a chi chiede il visto per l’Italia – rimarca il medico – bisognerebbe ricordare che i clandestini non richiedono il visto» e che solo gli ambulatori come quello pordenonese possono intercettare casi di Tbc o di altre malattie.

Finchè non ci saranno atti ufficiali, l’ambulatorio di via Montereale continuerà a restare aperto: «domani noi saremo lì regolarmente», è l’impegno del medico. E in difesa di questo presidio sabato in piazzetta Cavour, dalle 16.30, ci sarà una manifestazione promossa da Iniziativa libertaria alla quale hanno aderito l’Associazione immigrati e il Comitato per i diritti civili delle prostitute, che non a caso richiama l’attenzione sulla “ Disumanità”.

Anche domani sera si parlerà di “Immigrazione tra legalità e solidarietà” nell’ambito di un convegno promosso da Cittàdomani, Centro servizi del volontariato, l’associazione San Pietro Apostolo, con il sostegno della Bcc Pordenonese e il patrocinio, guarda caso, della Regione Friuli Venezia Giulia.

L’incontro inizierà alle 20.30, nella sala convegni della Bcc di via Mazzini a Pordenone, e interverranno Chiara Mio, assessore del Comune di Pordenone e docente universitaria, Beatrice De Vouka, operatrice sociale Fai e Anffas, Maria Tereza Zanolin, referente progetti intercultura e Andrea Barachino, referente servizi Segno della diocesi.

1° MARZO/ Sciopero dei migranti

Corriere 9 gennaio

il movimento è stato ispirato da un’analoga iniziativa francese

1° marzo, lo sciopero degli immigrati

Tam tam in Rete, su Facebook nato un gruppo con 11mila iscritti. Calderoli: escludo che a farlo saranno i regolari

Il logo del movimento
Il logo del movimento

MILANO – Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo? La domanda nasce del movimento Primomarzo2010 e non è astratta: su internet c’è un gran fermento per l’organizzazione di quello che viene chiamato lo sciopero degli immigrati e che si terrà appunto il 1° marzo. Un’iniziativa di cui i fatti tragici di Rosarno mostrano, casomai ce ne fosse bisogno, l’attualità.

IL MOVIMENTO – Sarà, spiegano gli organizzatori, una manifestazione per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Il movimento – che riunisce «italiani, stranieri, seconde generazioni e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli» – si ispira a un omologo gruppo francese, La journée sans immigrés: 24h sans nous, che sta organizzando un identico sciopero degli immigrati nella stessa data. Il colore scelto è il giallo (già usato in altre manifestazioni contro il razzismo), con l’invito a indossare braccialetti o nastri, la testimonial è Mafalda, nel logo del movimento ci sono i volti di otto persone di colore. In diverse città – Genova, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Palermo e altre – sono nati dei comitati organizzativi i cui riferimenti sono pubblicati sul blog. Anche il tam tam su internet sta andando forte: su Facebook è nato a fine novembre il gruppo “Primo marzo 2010 sciopero degli stranieri”, che conta già più di 11mila iscritti.

CALDEROLI – Il leghista Roberto Calderoli ha commentato così l’ipotesi dello sciopero: «Escluderei che vogliano farlo i regolari. Se l’iniziativa partisse invece dagli irregolari, si tratterebbe soltanto di espellerli». Gli ha replicato Andrea Orlando del Pd: «Memore dei brillanti risultati ottenuti sfoggiando la famosa maglietta anti-Islam, il ministro Calderoli continua a gettare benzina sul fuoco commentando con poco equilibrio e responsabilità istituzionale l’ipotesi di uno sciopero dei lavoratori extracomunitari. Proprio in un momento così drammatico, nel quale il governo non trova ancora il modo per uscire dall’emergenza di Rosarno, sarebbe saggia più cautela nei commenti di un ministro».

 

 

09 gennaio 2010