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Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
da La Repubblica
Bruciati cento milioni nella falsa bonifica
in Friuli nuovi guai per la Protezione civile
Una “Maddalena bis” nella laguna, chiesti 14 rinvii a giudizio. E un commissario nominato da Bertolaso per l’inquinamento fantasma dal nostro inviato PAOLO BERIZZI
UDINE – Questa è la storia di una laguna che è diventata una mangiatoia. Una laguna malata e mai bonificata. Un buco nero di sprechi e veleni nel quale lo Stato ha annegato 100 milioni. È una storia di fanghi al mercurio e commissari indagati, di canali otturati e analisi creative. Per raccontare lo scandalo della laguna di Grado e Marano basterebbe dire come è iniziato e come sta (forse) finendo. È iniziato con uno stato di emergenza (3 maggio 2002, ministro dell’Ambiente era Altero Matteoli) e la nomina di un commissario da parte dell’allora boss della Protezione civile Guido Bertolaso (dall’anno dopo e fino allo stop di Monti si andrà avanti col sistema della deroga che ha causato le porcate del G8 e della ricostruzione post-terremoto dell’Aquila).
Lo scandalo sta finendo con la richiesta di rinvio a giudizio per 14 persone (tra commissari e soggetti attuatori; diversi i politici di entrambi gli schieramenti). Dovranno rispondere di peculato, omissione e truffa ai danni dello Stato. Non solo: si sta prefigurando anche il reato di disastro ambientale. Perché – ha scoperto Viviana Del Tedesco, il sostituto procuratore di Udine che indaga sulla vicenda e ha firmato le 40 pagine d’accusa – i lavori per l’eliminazione dei fanghi inquinanti (“un falso presupposto”), in questi dieci anni – ecco l’ulteriore beffa – hanno provocato, a loro volta, seri danni alla laguna. “Sia alla morfologia che all’ecosistema”. Per la serie: non bastava sprecare 100 milioni per non risolvere un problema; bisognava anche aggravarlo.
Un pasticcio all’italiana. Con tutti gli ingredienti al loro posto e qualche chicca…
Per esempio l’immancabile cognato (indagato) di Bertolaso, quel Francesco Piermarini esperto di cinema ma anche di bonifiche, ma forse più di cinema se dopo il flop della Maddalena (72 milioni per ripulire i fondali che però sono ancora pieni di idrocarburi) l’hanno imbarcato (47mila euro) anche in questa folle operazione nell’Alto Adriatico finita nella maxi-inchiesta della procura di Udine. L’hanno chiamata, non a caso, “finta emergenza del Sin” (sito inquinato di interesse nazionale, la laguna appunto). In origine è lo stabilimento Caffaro di Torviscosa. La Caffaro sta alla chimica come l’Ilva sta all’acciaieria. Fondata nel 1938 alla presenza di Mussolini come sede produttiva del gruppo “Snia Viscosa”, più di 25mila tonnellate di prodotti venduti ogni anno. Adesso l’azienda è chiusa (il gruppo Snia è in amministrazione straordinaria). Per anni, però, la Caffaro ha sputato veleno. Fango al mercurio trascinato in laguna dai fiumi Aussa e Corno. Il risultato è che lo specchio d’acqua antistante lo stabilimento si è riempito di metalli. I canali (cinque) si sono intasati rendendo sempre più difficile la navigazione e mandando su tutte le furie le marinerie di Aprilia Marittima (si costituiranno parte civile assieme a Caffaro). “Era chiaro fin da subito che l’inquinamento riguardava solo una minima parte della laguna di Grado e Marano – osserva il pm Del Tedesco – . Ma qualcuno ne ha approfittato”.
È il 2001, iniziano le sorprese. La commissione fanghi nominata dalla Regione deposita un progetto definitivo per i drenaggi di tutti i canali. Lo studio viene consegnato il 28 febbraio 2002. Resterà nel cassetto per dieci anni. Due giorni fa la Guardia di finanza di Udine va a prenderlo a Trieste negli uffici della Regione. Una scoperta “interessante”. Per due motivi: primo, il 3 maggio del 2002 – tre mesi dopo il deposito della ricerca – il ministero dell’Interno decreta lo stato di emergenza. Che manda il progetto in soffitta. Secondo: il piano “dimenticato” dalla Regione (quanto è costato?) prevedeva di rimettere i fanghi tolti dai canali in laguna (come si fa dai tempi della Serenissima) e non certo, come si è deciso dopo, di portarli a Trieste o a Venezia, o stoccarli come rifiuti speciali in vasche di colmata che cadono a pezzi. Perché si sono scordati del progetto? La risposta ce l’hanno i magistrati. “Hanno voluto e poi cavalcato lo stato di emergenza per abbuffarsi di incarichi, consulenze, nomine, poltrone “. Un valzer costato 100 milioni in dieci anni. I commissari che si avvicendano sono tre. Il primo (giugno 2002) è Paolo Ciani, consigliere e segretario regionale di Fli, già assessore all’ambiente.
In Regione, e infine a Gianni Menchini, geologo vicino all’assessore pidiellino Riccardo Riccardi.
L’anno scorso il premier Monti, d’accordo col ministro Corrado Clini e con il nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, decide che può bastare: stop al commissario della laguna. I fari della magistratura sono già accessi. Il prosciugamento del denaro pubblico è iniziato con le analisi dei fanghi. Costate 4 milioni, si rivelano inutili perché mai validate da nessun organismo pubblico. I carotaggi vengono affidati alla Nautilus, un’azienda calabrese all’epoca sprovvista del certificato antimafia. Poi arrivano gli altri “investimenti”. Gettati, è il caso di dire, nel fango. Vasche di raccolta e palancole (paratie di ferro) garantite 64 anni che a distanza di sei anni stanno crollando (il metallo si sbriciola e inquina la laguna). I commissari ottengono strutture da 30 persone, gli stipendi schizzano da 5 a 11mila euro al mese. Una bengodi per tecnici e soggetti attuatori.
Una piccola Maddalena, con la sua cricca. Persino grottesche alcune iniziative messe in campo: dopo il decreto dello stato di emergenza per inquinamento ambientale, all’Università viene commissionato uno studio di fattibilità per installare un’attività di allevamento di molluschi nella stessa laguna. In tutto questo non può mancare la ciliegia sulla torta: al netto dei 100 milioni spesi, l’area Caffaro – secondo alcuni l’unica inquinata, secondo altri l’epicentro della presunta pandemia dell’intera laguna (1600 ettari) – , non è stata mai bonificata. È il colmo. La giunta regionale tace. Sulla vicenda l’unica a martellare è l’emittente televisiva locale “Triveneta”. Intanto i magistrati vanno avanti. Malata curabile, immaginaria o terminale, per la laguna gli orizzonti sono sempre meno blu.
(25 agosto 2012)
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
Messaggero Veneto MARTEDÌ, 02 AGOSTO 2011 Pagina 25 – Provincia
Depuratore Cipaf, altri 4 indagati
Gemona: l’inchiesta si allarga, coinvolti anche due tecnici della Provincia, uno dell’Arpa e l’attuale presidente del consorzio
Pasquariello e Bonocore
di Antonio Simeoli GEMONA
L’inchiesta sul depuratore Cipaf si allarga. La Procura di Tolmezzo, infatti, ha dato un’ulteriore svolta all’indagine avviata ormai quasi due anni fa che ipotizza il reato di abuso d’ufficio e inquinamento ambientale nei confronti dell’ex cda del Consorzio per lo sviluppo industriale dell’Alto Friuli, in testa l’ex presidente Vergilio Burelli e il vice Adriano Piuzzi, degli industriali Andrea Pittini e Giovanni Fantoni, dei progettisti del depuratore da 3,2 milioni Giulio Gentilli e e Gianni De Cecco, nonchè dell’ex presidente della Provincia di Udine, Marzio Strassoldo. Il depuratore. L’accusa, in sintesi, per tutti è di aver favorito la ralizzazione di un nuovo depuratore da 3,2 milioni di euro di soldi pubblici, che gli inquirenti ritengono inutile e non in grado di evitare l’inquinamento del rio Molino del Cucco nel quale sfociano le acque dopo il processo di depurazione. Un impianto regolarmente autorizzato dalla Provincia di Udine con la determina 38 del 2004. Ora nell’inchiesta entrano altri quattro indagati. Provincia e Arpa. Si tratta del direttore dell’ufficio ambiente della Provincia Marco Casasola, 41 anni, del funzionario Maurizio Pessina, 47 anni, di Anna Lutman 45 anni responsabile dei laboratori Arpa di Udine e del presidente del Cipaf, Ivano Benvenuti, subentrato a Burelli e al cda dimissionario dopo la bufera nel febbraio del 2010. I due funzionari della Provincia sono stati coinvolti nell’inchiesta dal Procuratore di Tolmezzo Giancarlo Buonocore e dal sostituto Alessandra Burra, che da mesi stanno indagando con l’ausilio dei Carabinieri del Nucleo investigativio di Udine, per aver autorizzato il nuovo depuratore ad entrare in funzione pur a conoscenza delle diverse carenze progettuali dello stesso. Strassoldo. Il tutto subendo le pressioni, sempre secondo l’accusa, dell’ex presidente della Provincia Marzio Strassoldo che avrebbe fatto cosi da “collettore” agli interessi dei grandi industriali del Cipaf (Fantoni e Pittini) che intendevano risolvere i problemi di depurazione delle acque dei loro impianti grazie a un nuovo depuratore pagato con soldi pubblici. L’accusa per la dirigente dell’Arpa invece è quella di aver omesso di segnalare all’ufficio risorse idriche dell’Area ambiente l’inefficacia del processo depurativo non impedendo dunque l’inquinamento del Rio Molin del Cucco e delle Sorgive di Bars, uno dei gioielli naturalistici del Friuli. Le perizie. Secondo gli inquirenti, che si sono basati su una perizia dell’ingegner Rinaldo Martorio, l’inquinamento era “diluito” nelle acque e quindi non intercettato dalle analisi dei vari enti competenti per il fatto che all’interno del depuratore, oltre alle acque reflue entravano pure, cosa vietata dalla legge, quelle di raffreddamento degli impianti. Con la diluizione, per l’accusa, l’inquinamento veniva “nascosto”. Il presidente. E Benvenuti? Il presidente, subentrato dopo la bufera a Burelli e indicato dai soci del Cipaf come guida di garanzia del consorzio, per la Procura, pur a conoscenza dei difetti del depuratore, non avrebbe impedito l’inquinamento. Il nuovo Cda del Consorzio, tuttavia, proprio per cautelarsi di fronte alle accuse, aveva commissionato una perizia sulle acque del canale affidandola alla società Copernico srl. Analisi che avevano evidenziato una situazione del tutto tranquillizzante. Per questo la Procura di Tolmezzo ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari un incidente probatorio, l’anticipo di una parte del dibattimento, chiedendo una super perizia capace di rispondere a ben 13 quesiti. Gli indagati avranno così modo di vedere le carte e difendersi. Contestualmente Buonocore e la Burra hanno pure chiesto una proroga delle indagini preliminari ricordando pure come nell’inchiesta parti offese siano, oltre che il Cipaf, al quale fanno riferimento aziende con 5 mila dipendenti tra diretti e indotto, anche i comuni di Osoppo e Buja, evidentemente penalizzati dall’eventuale inquinamento. I quesiti. La perizia dovrà quindi chiarire, tra l’altro, una volta per tutte se il canale è inquinato, se il nuovo depuratore è in grado di funzionare, se siano noti la natura e la portata dei reflui di ciascuna azienda, se eventuali carenze di progettazione abbiano inciso sui costi. Se il Gip darà disco verde alla richiesta della Procura i tempi dell’inchiesta si allungheranno, ma finalmente si farà luce su una vicenda che ormai si trascina da quasi due anni. Dal mese di aprile, peraltro, il depuratore Cipaf è posto sotto sequestro. Il sequestro. Le aziende continuano a lavorare perchè, per non pregiudicare l’occupazione, il Tribunale di Tolmezzo ha nominato un custode giudiziario, il funzionario regionale Andrea Chiarelli, che ha il compito di predisporre un complesso piano di messa in sicurezza dell’impianto. Le acque del Rio Molino del Cucco, intanto, continuano a confluire nelle Sorgive di Bars. E c’è il forte sospetto che siano inquinate. Per questo la Procura ha deciso di pigiare l’acceleratore sull’inchiesta.
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
Repubblica 5 novembre 2011
Alluvioni, lo spot del ’77 di Pubblicità Progresso
Il tema della difesa dell’acqua, da risorsa a minaccia, era stato affrontato già nel ’77 da una delle campagne di Pubblicità Progresso. Le immagini potrebbero essere quelle di oggi di Monterosso o di Genova, commenta il presidente di Pubblicità Progresso, Alberto Contri, ricordando il lavoro di quasi 15 anni fa. “È una campagna che potremmo riprendere oggi, usando addirittura lo stesso trattamento”. Già allora si parlava di impianti inadeguati, di sprechi per consumi irresponsabili e del problema del governo delle acque nel territorio: “Circa la metà dei Comuni italiani ha subito in modo più o meno violento frane, smottamenti, allagamenti” spiegava lo spot che usava slogan diretti: “Se andiamo avanti così, l’acqua sarà più preziosa della benzina”. “Se andiamo avanti così, tutta l’Italia sarà alluvionata”. “L’acqua è un bene di tutti. Facciamo qualcosa per difenderla. Subito”
VIDEO
Lo spot è confusionario ed incoerente perchè mette assieme il problema di quello che oggi chiamiamo “ciclo idrico integrato” con il problema del dissesto idrogeologico. In realtà proprio per questo motivo lo spot mette in evidenza che occuparsi di “ACQUA” e difficile e l’attuale tipologia dell’intervento non è certamente migliorata per esempio con il CEVI, i comitati referendari e le associazioni ambientaliste ufficiali in genere. Inoltre oggi vanno aggiunti i mutamenti climatici che potenziano e rendono più frequenti proprio i fenomeni estremi già naturalmente preesistenti.
Marzo 17th, 2017 — Inquinamento
Messaggero Veneto
MERCOLEDÌ, 13 APRILE 2011 Pagina 26 – Provincia
Sequestrato il depuratore del Cipaf
Sostanze inquinanti oltre i limiti nelle acque dopo il trattamento. Un custode giudiziario dovrà far funzionare l’impianto
I TEMPI
Subito i lavori, altrimenti stop alle imprese
La nuova normativa ha fatto da ancora di salvataggio per le aziende insediate al Cipaf, roba da 5 mila posti di lavoro tra diretti e indotto, ma il rischio di una crisi tipo Caffaro o Burgo (anche lì c’entrava un depuratore) non è affatto scongiurato. La Regione infatti una decina di giorni fa ha ricevuto dalla Procura la comunicazione dell’intenzione di operare un sequestro e ha indicato il nome di un custode (la legge prevede anche un albo cui attingere, peccato che l’albo non è stato istituito). Che ora in tre settimane dovrà fornire al procuratore Buonocore un cronoprogramma preciso di intervento per la segregazione delle acque di raffreddamento e il corretto funzionamento dell’impianto. Poi la Procura, compatibilmente con i tempi tecnici, concederà qualche mese di tempo affinchè cromo, zinco e gli altri metalli pericolosi la finiscano di inquinare le acque. Mesi non anni, perchè altre perdite di tempo non saranno tollerate. Ecco che allora il lavoro del dottor Chiarelli sarà tutt’altro che semplice perchè il professionista dovrà chiedere al Cipaf i fondi per i lavori. E il Cda del Cipaf, Consorzio ora con capacità di spesa pressochè nulla, dovrà consultare i soci che in tutta fretta dovranno cercare la via maestra per completare il budget (almeno un milione) o trovare i finanziamenti necessari. Non sarà facile. Per questo la Regione aveva tentato di intraprendere la strada del commissariamento del Cipaf. Il commissario infatti sarebbe stato anche il custode e avrebbe quindi avuto una via diretta per aprire i cordoni della borsa. E se alla fine per aggiustare un depuratore non funzionante e definito inutile realizzato con 3,2 milioni di soldi pubblici si utilizzassero altri soldi pubblici?
di Antonio Simeoli
BUJA La bomba è scoppiata. Un provvedimento del Gip del Tribunale di Tolmezzo ha certificato l’inquinamento delle acque che escono dal depuratore del Cipaf. L’impianto da 3,2 milioni di euro realizzato con soldi pubblici dunque non funziona e non impedisce a sostanze nocive come zinco rame, piombo e pure cromo di finire nelle acque circostanti e forse nella falda. La svolta. Sostanze che da anni e anni finiscono indisturbate persino nelle “Sorgive di Bars” uno dei paradisi naturalistici del Friuli e naturalmente nel Tagliamento. È la svolta, anticipata ieri dal Messaggero Veneto, di un inchiesta aperta un anno e mezzo fa dalla Procura di Tolmezzo e che vede dodici persone indagate per il reato di abuso d’ufficio e una serie di illeciti ambientali. Si tratta dell’ex Cda del Cipaf, degli industriali Pittini e Fantoni, dei progettisti dell’impianto Gentilli e De Cecco) nonchè dall’ex presidente della Provincia di Udine, Marzio Strassoldo, tutti raggiunti ieri dalla notifica del provvedimento di sequestro. Già un anno fa la Procura aveva chiesto invano al Gip lo stop del depuratore. Ora però le cose sono cambiate. Il procuratore Buonocore e il pm Alessandra Burra sono tornati alla carica con una corposa perizia affidata all’ingegner Marforio, che ha dimostrato come le acque che escono dal depuratore non sono trattate adeguatamente e portano con sè una serie di sostanze dalla notevole capacità inquinante. Il sequestro. Il Gip a questo punto ha firmato il decreto di sequestro preventivo. Che ieri è stato eseguito dai carabinieri del Nucleo investigativo guidati dal capitano Fabio Pasquariello. I militari dell’Arma hanno prima consegnato il provvedimento al presidente del Cipaf Ivano Benvenuti, poi si sono recati nella sede dell’impianto a Saletti di Buja per affidare a un custode giudiziario, che il giorno prima stato indicato dalla Regione (il dottor Lucio Chiarelli vice direttore dell’assessorato alle attività produttive), la gestione dell’impianto. Che dunque continuerà a funzionare consentendo alle aziende insediate, in primis i colossi Fantoni e Pittini, di non interrompere la produzione. Nuova legge. Non ci saranno quindi altri caso Burgo (cartiera di Tolmezzo, 2001) o Caffaro (Torviscosa, 2008), ma solo grazie a un anuova legge. Perizia alla mano, l’inquinamento registrato nelle acque intorno alla zona industriale è preoccupante. Per questo il tecnico indicato dalla Regione avrà 21 giorni di tempo per interfacciarsi con il Consorzio e presentare poi alla Procura un cronoprogramma di lavori per mettere in sicurezza il depuratore e farlo funzionare. E le opere, stimate in un milione di euro, dovranno innanzi tutto “segregare” le acque di raffreddamento degli impianti di Fantoni e Pittini impedendo che partecipino al processo di depurazione, come già peraltro indicato dalla legge. Peccato che di quella legge, secondo l’accusa, tutti se ne sarebbero infischiati per anni (Provincia di Udine compresa, quella che ha sempre autorizzato gli scarichi). Perchè? L’accusa. Semplicemente perchè con le acque di raffreddamento l’inquinamento veniva diluito e quindi non captato dai frequenti controlli effettuati sulle acque in primis dall’Arpa. Tutto questo, ecco il reato ipotizzato di abuso d’ufficio, per evitare ai grandi industriali le spese di costruzione degli impianti. Che ora dovranno esserci, altrimenti stavolta le fabbriche chiuderanno davvero.
MERCOLEDÌ, 13 APRILE 2011 Pagina 26 – Provincia
LA PERIZIA
Zinco, cromo, piombo fino alle Sorgive di Bars
BUJA Il vecchio depuratore non funzionava a dovere, il nuovo, da 3,2 milioni di soldi pubblici, fa addirittura peggio. E il malfunzionamento è stato “mascherato” solo per la presenza delle acque di raffreddamento dei grandi impianti di Ferriere Nord e Fantoni, liquidi che la legge vieta entrino nel processo di depurazione e che diluiscono i materiali inquinanti nascondendoli ai controlli di legge. Un meccanismo semplice che è continuato per anni. E secondo la Procura di Tolmezzo la realizzazione del nuovo costosissimo impianto decisa dall’ex Cda del Cipaf (tutto indagato) e spinta dagli ex Presidente della Provincia, Marzio Strassoldo e assessore Adriano Piuzzi (anche ex vice di Burello al Cipaf) si inseriva proprio in una seri di favori decisi da politici e amministratori per i grandi industriali. Della serie, secondo l’accusa ovviamente: non vi preoccupate, non serve che spendiate soldi per segregare le acque di raffreddamento, buttiamo tutto nel depuratore che paghiamo con i soldi pubblici. Questo per il dottor Buonocore e il pm Burra è il reato di abuso d’ufficio, illecito che gli inquirenti hanno cercato di provare anche con una lunga serie di intercettazioni telefoniche. E l’inquinamento per il Procuratore, che ieri a Tolmezzo ha fatto il punto sull’inchiesta, è la conseguenza dell’abuso d’ufficio. Una catena, dunque, lineare per l’accusa che adesso dovrà forse fare i conti con la possibile impugnazione del provvedimento di sequestro da parte dei 12 indagati o dello stesso Cipaf al Tribunale del Riesame. Il sequestro, di fatto, ha segnato una tappa importante nell’inchiesta, che non è ancora arrivata al traguardo, ma vi si sta avvicinando. «Con la perizia del dottor Marforio però – ha detto Buonocore – crediamo di avere cristallizzato una situazione di inquinamento che anche in servizi giornalistici era già stata ipotizzata già una ventina d’anni fa». Metalli pesanti che attraverso il Rio Molin del Cucco finiscono nelle Sorgive di Bars, nel Tagliamento, probabilmente nei vicini terreni coltivati. (a.s.)
MERCOLEDÌ, 13 APRILE 2011 Pagina 26 – Provincia
Il Consorzio: pieno appoggio alle indagini
Benvenuti: ereditata una situazione pesante. Ma il Gip alla Procura: indagate anche il nuovo Cda
GEMONA Piena fiducia nell’attività della magistratura, piena disponibilità a collaborare, ma un paletto ben chiaro da parte del Cda del Cipaf guidato dal presidente Ivano Benvenuti: niente a che fare con la vecchia gestione, quella degli indagati per abuso d’ufficio. I vertici del Cipaf, ricevuta dai Cc copia del decreto di sequestro preventivo, hanno reagito così alla decisione della magistratura. «La Regione ci ha formalmente trasmesso la nota della Procura, in relazione alle indagini in corso che, come è noto, non toccano la nostra gestione, e noi abbiamo prontamente risposto che se la Procura, anche in concerto con la Regione, ritenesse opportuno, al fine di una celere conclusione delle indagini, affidare a un “amministratore”, in sostanza ad acta, la gestione dell’impianto e del sistema di depurazione, per favorire una celere conclusione dell’attività investigativa, contemperando la necessità dell’esercizio dell’azione penale con quella di non penalizzare né il lavoro né la produzione, ebbene questa scelta avrebbe avuto la nostra piena condivisione e la nostra massima collaborazione». Poi il Consorzio, che vede tra i soci i comuni di Buja, Osoppo, Gemona e Majano, la Camera di Commercio, la Provincia, la Cisl, i grandi e piccoli industriali (tutti preoccupati per l’escaletion che sta avendo l’indagine), ha ribadito che «prendere in carico la responsabilità del processo di depurazione con l’indagine in corso sul “nuovo depuratore”, sotto la completa responsabilità e gestione dell’impresa costruttrice e non del Cipaf, non è stato molto facile, ma l’abbiamo fatto con estremo rigore e serietà. Abbiamo attivato subito le procedure per indire la nuova gara d’appalto per la gestione del depuratore nella parte di nostra competenza, imponendo maggiori controlli e responsabilità al gestore». E poi altre azioni, tra cui l’incarico per una serie di analisi e rilevazioni, concordate con l’Arpa e l’Ufficio provinciale all’ambiente, per la verifica delle condizioni ambientali del sito industriale «studio che si sta concludendo e di cui comunicheremo, certamente anche alla Procura, i risultati». Insomma, il Cda si chiama fuori dall’inchiesta, anche se il Gip ha invitato la Procura ad attribuire il reato ambientale anche a tutti coloro che non hanno adempiuto alla prescrizione imposta con l’autorizzazione nel novembre 2010. E nel 2010 il nuovo Cda era già insediato. (a.s.)
Marzo 17th, 2017 — Inquinamento
Messaggero Veneto 14 aprile
di Maura Delle Case
Per anni la preoccupazione dei residenti nei pressi della zona industriale di Osoppo ha riguardato le emissioni delle fabbriche. Oggi, la perizia della Procura di Tolmezzo nell’ambito delle indagini sul nuovo depuratore rivela invece che la minaccia viene non dall’aria, ma dall’acqua.
Le sorgive di Bars dove l’acqua risulta inquinata
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
Incredibile il ruolo della stampa a difesa della Banda del Tubo.
Anche Il testo del comunicato del Comitato, per quanto totalmente istituzionale, è stato ridotto al minimo e senza indicare la parte essenziale cioè la sfida politica lanciata ai Comuni.
Come si vede il Sindaco di Cervignano Piero Paviotti si conferma come uno dei responsabili principali a copertura del traffico di rifiuti e del grave danneggiamento ambientale effettuato dal Tubone
Comunicato stampa
E’ chiaro che la squadra degli avvocati al servizio degli imputati sapeva che ci sarebbe stata la condanna ed ha preparato una cortina fumogena per far passare come una quasi assoluzione quella che invece è una condanna chiara e precisa anche se non sufficientemente pesante ed estesa.
Vediamo in sintesi la sentenza che vede condannati Turchetti Gianfranco e Feruglio Claudio, colpevoli dei reati di cui ai capi 8) 10) d’imputazione e cioè
Traffico di rifiuti
8) Al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni, a mezzo l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ricevevano, trasportavano, smaltivano e facevano smaltire abusivamente ingenti quantità di rifiuti negli impianti del Consorzio depurazione Laguna SpA … e secondo modalità incompatibili con un corretto smaltimento dei rifiuti..
Inquinamento ambientale
10) del delitto di danneggiamento aggravato per avere, … danneggiato il mare territoriale , il fondo e il sottofondo marino circostante lo scarico a mare degli impianti del Consorzio Depurazione Laguna SpA inquinandone i sedimenti con sostanze tossiche e pericolose e bioaccumulabili e compromettendo l’ecosistema marino …
Ora la questione continuerà sul piano civilistico perché il Ministero dovrà pretendere la bonifica del sito inquinato in quanto una volta che è stato conclamato il danno ambientale l’ambiente deve essere ripristinato.
Sfidiamo le amministrazioni Comunali, ed il sindaco di Cervignano Piero Paviotti in particolare, a pubblicare la sentenza sull’albo pretorio dei Comune con evidenziati i capi di imputazione sui quali è stata pronunciata la condanna contro il tubone e che della stessa sentenza si discuta nei consigli Comunali dei Comuni aderenti all’ex Tubone ora assorbito dal Cafc.
Dal canto loro i Comitati porteranno in pubblico tutte le verità che sono emerse dal processo.
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Messaggero Veneto MERCOLEDÌ, 15 DICEMBRE 2010 Pagina 11 – Udine
Sentenza “Tubone”, reazioni contrapposte
Il sindaco di Cervignano: nessun disastro ambientale. I comitati: porteremo in pubblico le verità
San Giorgio di Nogaro
SAN GIORGIO DI NOGARO. Prime reazioni all’indomani della sentenza al processo sul “Tubone”. Soddisfazione per l’esito della vicenda giudiziaria viene espressa dal sindaco di Cervignano Pietro Paviotti. «La vicenda giudiziaria – commenta il sindaco – si è conclusa con l’assoluzione di tutti o quasi i capi d’imputazione, esclusi alcuni aspetti marginali. Il reato di disastro ambientale come è stato dimostrato non si è verificato. Nel caso della direzione tecnica il tribunale ha voluto assolvere anche reati già prescritti».
Aggiunge Paviotti: «In questi anni mi sono trovato spesso a dover difendere il Tubone di fronte ad un’opinione pubblica ostile, che è stata strumentalizzata con l’obiettivo di cavalcare la protesta».
Paviotti evidenzia ancora che «per sette anni l’impianto è stato sequestrato e non ha potuto generare quel reddito che avrebbe coperto una parte rilevante dei costi per la manutenzione delle fognature. Dopo il sequestro sono stati licenziati sette dipendenti i quali, solo grazie alla disponibilità del Cafc, hanno trovato una nuova occupazione. Ci sono state ingenti spese legali e sono stati sospesi tutti gli investimenti per la realizzazione di nuove condotte da allacciare al depuratore».
Di tutt’altro avviso i comitati ambientali, i quali preannunciano che porteranno in pubblico «tutte le verità emerse dal processo», come sostiene il portavoce Paolo De Toni, che evidenzia la sentenza che condanna condanna Gianfranco Turchetti e Claudio Feruglio, «colpevoli dei capi d’imputazione 8 e 10. L’8 dice: “al fine di conseguire un ingiusto profitto, con operazioni a mezzo l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ricevevano, trasportavano, smaltivano e facevano smaltire abusivamente ingenti quantità di rifiuti negli impianti del Consorzio Depurazione Laguna spa… e secondo modalità incompatibili con un corretto smaltimento dei rifiuti..” Il capo d’imputazione 10 afferma che “del delitto di danneggiamento aggravato per avere… danneggiato il mare territoriale, il fondo e il sottofondo marino circostante lo scarico a mare degli impianti Cdl spa inquinandone i sedimenti con sostenze tossiche e pericolose e bioaccumulabili e compromettendo l’ecosistema marino…”. Ora – sottolinea De Toni – la battaglia continuerà sul piano civilistico perché il Ministero dovrà pretendere la bonifica del sito inquinato»
Elisa Michellut
MV 14 dicembre 2010
San Giorgio di Nogaro. Si è concluso con una raffica di assoluzioni e di prescrizioni il procedimento nei confronti degli ex vertici
Tubone, «Nessun disastro ambientale» Al processo soltanto condanne minori
di ANNA ROSSO
UDINE. Tubone, «non c’è stato alcun disastro ambientale». Si è concluso con due condanne, una raffica di assoluzioni e di dichiarazioni di prescrizione, il procedimento penale di primo grado riguardante il Consorzio di depurazione Bassa Friulana (ora Consorzio depurazione laguna) e il cosiddetto “Tubone”, la condotta sottomarina di oltre 12 km che scarica in mare le acque trattate dall’impianto. Un processo che vedeva imputate, a vario titolo, otto persone – tra responsabili dell’impianto consortile, imprenditori privati e amministratori pubblici – per reati che vanno dal disastro ambientale (per l’ipotesi di inquinamento marino) al traffico illecito di rifiuti, dalla truffa all’abuso d’ufficio.
Ieri, trascorsi dieci anni dalla “notizia di reato” e quattro dall’inizio del dibattimento, il tribunale di Udine, riunito in composizione collegiale (presidente Reinotti, a latere Qualizza e Persico), si è pronunciato. Gianfranco Turchetti, di San Giorgio di Nogaro, ex presidente del Consorzio e Claudio Feruglio, di Cervignano, nella sua veste di responsabile di gestione sono stati condannati a un anno di reclusione per traffico illecito di rifiuti e per il danneggiamento del tratto di mare circostante lo scarico dell’impianto. Il pm Luigi Leghissa aveva chiesto 18 mesi per entrambi. Tutti gli altri imputati sono stati assolti: l’allora direttore tecnico Alessandro Florit; Giorgio Pocecco, all’epoca sostituto del direttore del servizio infrastrutture civili e tutela delle acque dall’inquinamento della Direzione regionale ambiente; Roberto Andreani, amministratore della Fingel di Firenze; Antonio Giovanni Di Taranto, amministratore dal marzo 2000 della Friul Water Wasching di Pasian di Prato; Claudia Silvestro, funzionario della Provincia di Udine che si occupava delle autorizzazioni relative agli impianti di smaltimento; Vittorio Baldo, consigliere del Cda del Centro risorse di Motta di Livenza.
Turchetti, Feruglio e Florit erano stati chiamati a rispondere anche del reato di disastro ambientale. Da questo capo d’imputazione, come detto, sono stati tutti assolti con la formula «perchè il fatto non sussiste». Il tribunale, dunque, come hanno sottolineato le difese rappresentate, tra gli altri, dagli avvocati Mete, Tapparo e Mascherin, non ha ravvisato il disastro ambientale. È dunque caduto il presupposto in base al quale il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto chiedere il risarcimento e la conseguente bonifica dei luoghi. Nel documento di valutazione del danno ambientale stilato dall’Ispra (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) tale danno era stato stimato in circa 38 milioni di euro. Tale infatti sarebbe stata, secondo gli esperti del ministero, la cifra necessaria per il ripristino dei sedimenti e per gli altri interventi utili al recupero dei beni naturali compromessi.
«Speravamo in un’assoluzione su tutto – ha commentato l’avvocato Mete subito dopo la sentenza –, ma siamo comunque soddisfatti perchè c’è stata assoluzione per il reato più grave, che presupponeva un danno rilevante per la collettività. Noi, infatti, eravamo convinti di non aver causato alcun disastro ambientale». «Durante il dibattimento – ha sottolineato poi l’avvocato Tapparo –, dopo lunghe analisi tecniche sul funzionamento dell’impianto, era emerso che lo stesso è all’avanguardia, ha sempre funzionato bene ed è stato gestito in modo corretto. Ciò, naturalmente, ha indebolito buona parte dell’impianto accusatorio».
Il tribunale ha ordinato la restituzione degli impianti sotto sequestro dal febbraio 2003.
STRALCI DELLA SENTENZA
CAPO 8 (fai visualizza immagine per ingrandire)
CAPO 10 (fai visualizza immagine per ingrandire)
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
Il Piccolo, 21 dicembre 2010
SI RISCALDA IL DIBATTITO DOPO IL VIA LIBERA ALLA CENTRALE A BIOMASSE DI BISTRIGNA
Depuratore-bis, proteste a Staranzano
Impianto del costo di 3 milioni per il trattamento di scarti industriali da scaricare nella fognatura
di CIRO VITIELLO
STARANZANO Dopo il via libera del Comune di Staranzano all’impianto a biomasse che sarà realizzato a Bistrigna, al confine con il territorio di Monfalcone, è in arrivo un altro mega impianto industriale, questa volta per distillare” acque pericolose che arrivano da fuori Regione. E sono già operativi gli impianti di depurazione delle acque fognarie, quello di compostaggio dei rifiuti umidi ed è già prevista la realizzazione dell’impianto a biomasse alimentato con olio di palma. Lo annuncia con grave preoccupazione il gruppo consiliare “Staranzano Partecipa” con i consiglieri Andrea Corà (capogruppo) e Giovanni Dean, dopo che nei giorni scorsi è arrivata in Comune la documentazione per la Valutazione di impatto ambientale (Via) per la costruzione dell’impianto di trattamento di acque pericolose, “da non realizzare – consiglia il documento – adiacente al depuratore Iris a Bistrigna”. La società richiedente l’impianto è Isi Ambiente srl di Gorizia costituita da Iris Isontina S.Agi.Dep. spa di Roncoferraro (Mantova) Igp srl di Trieste. Costo preventivato dall’opera, 3 milioni di euro. L’area individuata è adiacente all’esistente impianto di depurazione del Comune gestito da Iris Acqua.
Il progetto prevede una capacità ricettiva di 300 tonnellate al giorno di rifiuti liquidi per 250 giorni all’anno, per una potenzialità complessiva di 75mila tonnellate all’anno. L’impianto, dotato di diversi comparti e diverse filiere di trattamento, ha l’obiettivo di pre-trattare i rifiuti ritirati e di rendere il liquido conforme allo scarico in fognatura. E’ stato stimato un passaggio di circa 15 camion al giorno che si aggiungeranno al traffico generato dalla futura centrale a biomasse.
Un fulmine a ciel sereno, dunque, che sta alimentando scompiglio fra la gente dopo le polemiche e le proteste per la costruzione del mega impianto a biomasse la cui area è stata già recintata a Bistrigna.
«Stiamo diventando la pattumiera della Provincia di Gorizia – affermano i consiglieri di SP – visto che l’amministrazione comunale non si preoccupa dei gravi riflessi che queste strutture provocano sui cittadini. Il Comune continua ad accogliere impianti inquinanti per il nostro paese senza curarsi della conseguente perdita di valore del territorio l’impatto visivo, acustico e olfattivo che può generare. Diciamo basta e nel prossimo Consiglio lo faremo ufficialmente con una dichiarazione. La cittadinanza ha il pieno diritto di far sentire la propria voce, di opporsi e di presentare le sue osservazioni e opposizioni entro l8 febbraio 2011».
Ennesimo insediamento industriale a Staranzano
di Denis Furlan
da bora.la
A neanche un anno dall’approvazione definitiva sulla costruzione della discussa centrale a biomasse, Staranzano si ritrova “a dover fare i conti con un altro possibile insediamento industriale di dubbio valore ambientale sul suo già delicato territorio”.
E’ così che la lista civica Staranzano Partecipa accoglie la prevista realizzazione di un nuovo impianto di smaltimento rifiuti pericolosi e non a Staranzano.
E’ in data 15 novembre che è stato avviato l’iter amministrativo per la valutazione di impatto ambientale relativa alla costruzione da parte di Isi Ambiente (società formata da Iris Isontina S.AG.I.DEP SPA di Roncoferraro (Mn) eI.G.P srl di Trieste) di un impianto di trattamento rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi in zona Bistrigna.
“L’impatto dato da una centrale in una zona di alto valore naturalistico è già di per se indiscutibile – sottolineano gli esponenti di Staranzano Partecipa – , l’aggiunta di un ulteriore impianto, che promette di trattare 300 tonnellate al giorno (75,000 tonnellate all’anno) di liquidi pericolosi, non può essere visto che con preoccupazione. Questo tipo dʼimpianto sarebbe lʼunico della Regione e tratterebbe, dunque, tutti i rifiuti di questo tipo nel territorio regionale e forse anche per un raggio più ampio. I 15 mezzi pesanti al giorno, stimati, che andranno a transitare in zona si aggiungeranno alla già intensa mole di traffico generata dalla futura centrale, il che si traduce in un’ulteriore fonte d’inquinamento, degrado ambientale dellʼarea e svalorizzazione del territorio. Se da un lato si ha il beneficio di una ricaduta occupazionale diretta, che comunque darebbe lavoro ad una decina di persone, ed il fatto di non dover trasferire altrove i rifiuti derivati dall’attività industriale del Monfalconese (con ulteriore costo in termini di energia ed inquinamento), non si può altresì rimanere passivi rispetto all’uso che viene fatto del territorio in cui si vive”.
Il gruppo consiliare della lista civica esprime “preoccupazione per gli scarti della lavorazione di questi rifiuti, preoccupazione desta l’impatto visivo, acustico ed olfattivo che un impianto del genere può generare per l’ambiente circostante, sia per la fauna, la flora e non da ultimi i proprietari delle case circostanti, che vedrebbero crollare il valore del proprio immobile. La cittadinanza e chiunque altro si senta coinvolto in questo caso ha il pieno diritto di fare sentire la propria voce e di fare le sue osservazioni presso gli organi comunali preposti entro 8 febbraio 2011 La possibilità di partecipare attivamente alla vita del paese c’è, in questo caso, prima della valutazione di impatto ambientale infatti, gli organi preposti hanno il dovere di visionare e prendere in considerazione, oltre agli elementi ambientali, anche tutte le osservazioni fatte da pubblici e privati in merito”.
martedì 21 dicembre 2010
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
Messaggero Veneto MERCOLEDÌ, 17 NOVEMBRE 2010 Pagina 11 – Udine
Tubone, chieste le condanne per gli ex vertici
Disastro ambientale e traffico di rifiuti: ecco la richiesta di pena a un mese dalla prescrizione
In Tribunale
UDINE. Ieri, alla 23ª udienza dibattimentale, quando manca un mese alla prescrizione di tutti i reati, è cominciata la discussione finale del processo sul presunto disastro ambientale (e sul traffico illecito di rifiuti) del cosiddetto Tubone di San Giorgio di Nogaro. Nel marzo 2003 ci fu il sequestro dell’impianto, cui seguì la lunga indagine per la quale, nel luglio 2006, furono rinviate a giudizio le 8 persone imputate. Il 13 dicembre parleranno gli avvocati Mete e Tapparo che difendono gli unici imputati per cui il pm Leghissa ha chiesto ieri la condanna a 18 mesi di reclusione appunto per le ipotesi di traffico illecito di rifiuti, disastro e danneggiamento ambientale. Si tratta di Gianfranco Turchetti, di San Giorgio di Nogaro, ex presidente del Consorzio di depurazione Bassa friulana (oggi Consorzio depurazione laguna) e Claudio Feruglio, di Cervignano, nella sua veste di responsabile della gestione degli impianti del consorzio. Per tutti gli altri sei imputati, il pm ha chiesto l’assoluzione o il proscioglimento per intervenuta prescrizione; ovvero per Alessandro Florit di direttore tecnico, Claudia Silvestro ex dirigente della Provincia responsabile tecnico dell’istruttoria autorizzativa dell’impianto, Giorgio Pocecco (in relazione al suo ruolo di responsabile del procedimento amministrativo per il rilascio dell’autorizzazione all’impianto), gli imprenditori Giovanni Antonio Di Taranto amministratore unico della Fww a Pasian di Prato, Roberto Andreani manager fiorentino della Fingel di San Giorgio di Nogaro e Vittorio Baldo consigliere d’amministrazione della Centro risorse srl di Motta di Livenza.
Le parti civili Wwf, ministero dell’Ambiente e lo stesso Consorzio hanno chiesto la penale responsabilità degli imputati.
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
MERCOLEDÌ, 24 MARZO 2010
Pagina 15 – Udine
Acque inquinate nelle Risorgive Le analisi degli esperti diranno se è causa del depuratore Cipaf
L’INCHIESTA
Odori sgradevoli, schiume, sedimenti: ecco il percorso da Saletti al Tagliamento Per gli inquirenti l’attuale impianto non funziona, quello da 3,2 milioni è inutile
di ANTONIO SIMEOLI
OSOPPO. Sarà nei prossimi mesi il gruppo di esperti indicato dalla Procura a stabilire se il canale di scarico del depuratore del Cipaf porta nelle Risorgive di Bars e poi nel Tagliamento sostanze inquinanti. Basta però percorrere il canale in pieno Sito di interesse comunitario e arrivare fino alla confluenza, poco a nord di Osoppo,con le Risorgive per vedere i segni dell’anomalo funzionamento dell’impianto finito nell’occhio del ciclone.
Ieri l’abbiamo percorso quel canale. Da Saletti, dove è ancora aperto il cantiere per la realizzazione del nuovo depuratore da 3,2 milioni (ritenuto dalla Procura di Tolmezzo inutile e non in grado di funzionare), abbiamo seguito il corso d’acqua, in un primo momento cementificato, fino alla confluenza con il piccolo depuratore di Rivoli e poi in pieno Sito di interesse comunitario fino all’immissione nelle Risorgive di Bars.
Tre, forse quattro tortuosi km in cui, specie nel tratto finale, quello del Sic, quello caratterizzato da un infinito prato sotto le montagne della pedemontana, luogo scelto per la sua bellezza da Salvatores per il film, “Come Dio Comanda”, le anomalie sono evidenti. A occhio nudo.
Non servono esperti, sonde o altro. L’acqua che fila verso le risorgive è piena di sedimenti che si depositano sul fondo e sui lati del canale e vengono trascinati dalla poca corrente. A tratti il cattivo odore che si sente fa il resto. Basta poi scendere e raccogliere dall’acqua un sasso per vedere come questo sia ricoperto di sostanze nerastre. Gli inquirenti dicono che se ci si accosta una calamita, questa sia in grado addirittura di attirarle quelle sostanze. Ferro? I carabinieri pensano si tratti di residui della lavorazione delle grandi industrie del Cipaf. Le analisi lo stabiliranno.
Ma la schiuma bianca che si riversa nell’acqua limpida delle risorgive di Bars preoccupa. E molto. Da una parte l’acqua pulita, dall’altra quella sporca. Così come sono un grande punto interrogativo i cumuli di materiale che, quando il canale esonda, finiscono in pratica nei campi coltivati. Vicino al Sic c’è una serie di campi coltivati e alla confluenza tra canale e risorgive c’è anche un allevamento di trote. Di più: dal canale emergono qua e là delle bolle, segno che la falda acquifera è lì. Per questo gli inquirenti vogliono vederci chiaro e, su indicazione del Gip, che li ha invitati ad approfondire l’inchiesta sul fronte ambientale, avvieranno indagini sullo stato di salute delle acque del canale di scarico, sui campi circostanti, sulla falda acquifera per escludere la presenza oltre i limiti di materiali come cromo esavalente e aldeide. Gli inquirenti partono da un dato certo: dal depuratore escono 500 metri cubi di acqua l’ora, che quasi raddoppiano in caso di piogge quando il depuratore va totalmente in tilt. Solo un quinto di quelle che arrivano è quella che andrebbe depurata, pioggia sporcatasi nei piazzali compresa; i restanti quattro quinti sono le acque di raffreddamento che però, per legge, nel depuratore non dovrebbero finirci. E così quel quinto di sostanze inquinate viene diluito dalle acque di raffreddamento, pulite e solo leggermente più calde, e passa i controlli dell’Arpa e delle altre agenzie preposte.
In piedi a questo proposito c’è un’inchiesta che vede coinvolte dodici persone: l’accusa è di aver fatto costruire un depuratore inutile da 3,2 milioni di euro solo per fare un favore alle grandi industrie, evitare loro di separare a monte le acque sporche dalle pulite e quindi tirare fuori il portafoglio. Ma alla gente adesso questo importa poco. Tra Osoppo e Buja si attendono le analisi sulle acque. Sarebbe troppo che un canale sputasse ogni minuto sostanze inquinanti nel gioiello delle Risorgive di Bars e nel Tagliamento. Addirittura in un Sito di interesse comunitario.
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MERCOLEDÌ, 24 MARZO 2010
Pagina 15 – Udine
Gestione dell’impianto: deciderà il Consiglio di Stato
Il ricorso
OSOPPO. Non c’è solo l’inchiesta sull’impianto di depurazione a minare il futuro prossimo della zona industriale Cipaf. Parallelamente avanza infatti anche il fronte relativo al servizio di gestione del depuratore consortile che ha spinto una delle ditte “concorrenti” a ricorrere al Tar contro l’aggiudicazione. Un iter giudiziario che ha portato fino al Consiglio di stato, dal quale ora si attende la sentenza. Se questa dovesse dar ragione ai ricorrenti – ci si chiede nei corridoi – cosa potrebbe succedere? La gara, con tutta probabilità, andrebbe rifatta, ma chi pagherebbe l’eventuale risarcimento danni subito dalla ditta non aggiudicataria? Interrogativi pesanti che per ora non possono avere risposta e che non l’avranno fino a quando non ci sarà l’attesa sentenza del Consiglio di Stato.
Ma ripercorriamo brevemente l’iter di questo appalto controverso. Il Cipaf indice una gara a procedura aperta per la gestione del depuratore nel febbraio 2008, cui segue l’aggiudicazione del servizio a Igp srl per un importo di 130 mila euro più Iva e oneri di sicurezza. É il 31 marzo 2008: 15 giorni dopo la Cid srl (altra ditta concorrente) contesta al consorzio l’aggiudicazione all’Igp rilevando un errore di calcolo dei punteggi. Non ottenendo dal Cipaf risposta positiva (in concreto la riaggiudicazione del servizio) Cid presenta ricorso al Tar chiedendo l’annullamento del verbale di aggiudicazione della commissione di gara e della delibera di affidamento del Cda. Il Tar gli dà sostanzialmente ragione, respingendo invece i ricorsi incidentali di Cipaf e Igp. Di qui l’appello della ditta vincitrice dell’appalto al Consiglio di Stato (marzo 2009), che come detto non ha ancora emesso la sentenza, lasciando così un’altra questione irrisolta in eredità al neo eletto Cda del consorzio, il quale, oltre a un’inchiesta in corso e alla maretta sui canoni di depurazione che divide grandi e medi industriali, dovrà fare i conti anche con l’ipotesi di un ribaltone nella futura gestione del servizio. (m.d.c.)