TRIESTE: Ricordare Pedro vuol dire lottare ancora. Assemblea e presidio

 

 Oltre settanta compagn* hanno partecipato all’iniziativa del 7 marzo (vedi sotto il report e le altre foto)

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Di seguito il report che apparirà su Umanità Nova

Trieste

Ricordare Pedro vuol dire lottare ancora

 Trent’anni fa, precisamente il 9 marzo 1985, Pietro Maria Walter Greco, conosciuto da tutti come Pedro, venne ammazzato sotto casa da un agente dei servizi segreti e tre agenti della DIGOS di Trieste, che gli sparano più di dodici colpi d’arma da fuoco, prima nell’atrio del palazzo e poi in strada, alle spalle, quando stava già agonizzando sul marciapiede.

Pedro era un militante comunista, originario della Calabria ma trasferitosi a Padova per studiare. Fu molto attivo nelle lotte di quella città per le occupazioni abitative, l’autoriduzione delle bollette, le occupazioni di spazi sociali, come anche nelle mobilitazioni dei lavoratori della scuola e nella militanza antifascista. Fu implicato nel processo del 7 aprile 1979 e si spostò, latitante, a Trieste. La sua fu una vera e propria esecuzione, compiuta nell’atrio del palazzo dove abitava, in modo da non lasciare testimoni scomodi. Ma Pedro ebbe la forza di uscire dal portone e di morire sotto gli occhi dei passanti e dei negozianti del quartiere.

Abbiamo voluto ricordarlo, come “compagne e i compagni del movimento”, a trent’anni dal suo assassinio, sia per non disperdere la memoria storica di quegli anni e degli innumerevoli omicidi di Stato che allora come oggi lasciavano ben poche tracce nelle pagine dei giornali, sia soprattutto per affermare con forza che quelle lotte, in cui Pedro assieme a migliaia di altre compagne e compagni era coinvolto, non sono un ricordo del passato ma una necessità del presente.

Sabato 28 febbraio si è svolto un dibattito nella sede del gruppo anarchico Germinal, che ha visto la partecipazione sia di militanti attivi in quegli anni, sia di coloro che sono venuti dopo ed hanno potuto capire un po’ di più del clima che si viveva in quegli anni dentro e fuori dal movimento, delle lotte e della repressione che lo Stato metteva in campo con tutta la violenza di cui era capace.

Sabato 7 marzo si è svolta una manifestazione di fronte alla casa dove, il 9 marzo 1985, è stato ammazzato Pedro. Circa settanta persone, nonostante il freddo e la forte bora, hanno voluto ricordarlo, intervenendo al microfono, appendendo striscioni contro il terrorismo di Stato e fissando dei garofani rossi al portone del palazzo. Qualche passante si è fermato, qualcuno ha ricordato quando, in quei giorni di marzo di trent’anni fa, la strada era piena di polizia, qualcun altro ne è venuto a conoscenza solo in quel momento.

Una bella mostra, con foto, volantini, ritagli di giornale e altro materiale dell’epoca e degli anni successivi, presente nei giorni precedenti nella sede del Germinal, è stata esposta sui muri della casa. Quei volantini e quei ritagli raccontavano la storia di un’inchiesta processuale nata per assolvere chi aveva sparato e con loro l’intero sistema. Ma raccontavano anche di come molte compagne e compagni hanno continuato a fare controinformazione contro le verità ufficiali, sia immediatamente dopo la tragedia, sia negli anni successivi, quando l’eco della vicenda si era ormai quasi spenta.

La polizia si è presentata in forze, in particolare per quanto riguarda la Digos, accorsa anche da Udine e non solo per non perdersi lo “spettacolo”.

Crediamo che queste iniziative, pur nella loro dimensione, siano importanti per non perdere un filo della memoria che va invece tenuto saldo, sia rispetto al passato che rispetto al presente, perché la nostra memoria è anch’essa uno strumento non secondario di lotta contro il potere statale e poliziesco.

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9 marzo 1985 – 9 marzo 2015

le lotte di ieri / le lotte di oggi

la repressione di ieri / la repressione di oggi

 

Il 9 marzo del 1985, in Via Giulia 39, qui a Trieste, il militante comunista Pietro “Pedro” Greco viene ucciso in un agguato tesogli da un commando formato da un agente dei servizi segreti e da tre agenti della Digos di Trieste che gli sparano più di dodici colpi d’arma da fuoco, prima nell’atrio del palazzo e poi in strada, alle spalle, quando già sta agonizzando sul marciapiede.

 

SABATO 28 FEBBRAIO

dalle 16.30 alle 20.00

nella sede del gruppo anarchico germinal in via del bosco 52/A

 

proiezione del documentario “Pedro vive nelle lotte”

realizzato nel decimo anniversario dell’omicidio

e

assemblea dibattito

con militanti del movimento di allora e di oggi

e l’intervento dell’avvocato  Eugenio Losco

che segue le vicende giudiziarie dei NO TAV

 

 

SABATO 7 MARZO

dalle 16.00

in via giulia 39 e piazza volontari giuliani

presidio

sul luogo dell’assassinio di Pedro

                                      

le compagne e i compagni del movimento

 

 

9 marzo 1985 – 9 marzo 2015

 

Ricordare Pedro vuol dire lottare ancora

 

 

 

Il 9 marzo del 1985, in Via Giulia, qui a Trieste, il militante comunista Pietro “Pedro” Greco, venne ucciso in un agguato tesogli da un commando formato da un agente dei servizi segreti Maurizio Nunzio Romano e da tre agenti della Digos di Trieste, Giuseppe Guidi, Maurizio Bensa e Mario Passanisi che gli spararono più di dodici colpi d’arma da fuoco, prima nell’atrio del palazzo e poi fuori, alle spalle, quando stava già agonizzando sul marciapiede.

 

Una vera e propria condanna a morte, che lo Stato eseguì contro un compagno che aveva dedicato tutta la sua vita alla lotta di classe: immigrato calabrese a Padova, dove dapprima studiò all’università e poi insegnò matematica, fu in prima fila nelle lotte per la casa, nelle mobilitazioni dei lavoratori della scuola, nelle rivendicazioni dei servizi sociali, nelle occupazioni a scopo politico e d’aggregazione proletaria, nell’antifascismo militante…Pedro visse fino in fondo la stagione di lotte degli anni settanta e d’inizio anni ottanta, in essa si formò e crebbe politicamente, praticando  la prospettiva abbattimento del sistema capitalista. Il suo omicidio si colloca proprio nel tentativo da parte dello Stato e della classe dominante di chiudere quel ciclo di lotte, neutralizzandone la potenzialità rivoluzionaria e disperdendone il patrimonio, attraverso l’aggravarsi della repressione. In particolare, a cavallo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, sono migliaia i compagni e le compagne incarcerate e inquisite, in tutta Italia, per reati associativi (“associazione sovversiva”, “associazione sovversiva a scopo terroristico”, “banda armata”…), a partire soprattutto dagli arresti scattati nel blitz del 7 aprile 1979. Pedro venne colpito da mandato di cattura e costretto alla latitanza, dalla quale non fece più ritorno, nei primi mesi del 1982.

 

A trent’anni dalla sua esecuzione, il contenuto delle iniziative che vogliamo realizzare non intende essere quello della commemorazione retorica e neanche quello della denuncia di un crimine che rimane iscritto, assieme a molti altri e nonostante passino i decenni, a carico della classe dominante e del suo Stato. Vogliamo sforzarci, invece, di collocare la memoria di Pedro nel presente, recuperando, dibattendo e riflettendo sul valore del patrimonio delle lotte di allora per il nostro presente, riavvolgendo e riannodando il filo che l’intossicazione ideologica e i silenzi assordanti della versione data dagli apparati culturali egemonici vorrebbe spezzare.

 

Lo vogliamo fare oggi, in una fase nella quale, le contraddizioni del sistema capitalista ne aggravano le contraddizioni su tutti i piani, portando i governi e il padronato ad attaccare le conquiste della classe lavoratrice che vennero strappate proprio con le lotte di allora. È necessario farlo perchè ci ritroviamo ancora di fronte una repressione che vuole piegare ogni spinta all’antagonismo politico e sociale, che aggrava ed affina i propri strumenti, tra cui continuano a spiccare i reati associativi, già approntati e messi in campo dallo Stato contro il movimento di allora.

 

Del resto, nel momento in cui si deteriorano le condizioni di vita a livello di massa, la repressione assurge a strumento per gestire le contraddizioni sociali. Pensiamo a come viene trattata la questione dell’immigrazione o all’utilizzo del carcere o della segregazione penale (domiciliari) utilizzati come fattore contenitivo della sempre più grossa fetta di popolazione che, inevitabilmente nell’attuale scenario di crisi, ricorre all’illecito per vivere. La marginalità sociale e la diversità culturale vengono criminalizzate, assieme a tutto ciò che non è funzionale ai meccanismi del profitto e dello sfruttamento.

 

Sul piano internazionale, le guerre imperialiste, condotte per la ripartizione dei mercati, divengono fonti di continui e nuovi genocidi, mentre, sul piano interno alle società che pretenderebbero di esportare “civiltà e democrazia”, si tramutano in ulteriore spinta all’autoritarismo, al controllo poliziesco e alla paranoia razzista.

 

La cappa reazionaria che lo Stato e i padroni calano sulla società, oltre che essere rivelatrice della loro costante paura di perderne il controllo, si rivela già adesso assolutamente non “perfetta”, a partire dal fatto che la tendenza alla lotta di classe, alla ribellione e alla resistenza degli sfruttati, dovunque essa si manifesti ed emerga – nei luoghi di lavoro, nei territori, nei quartieri, nelle università, nelle scuole, persino nelle galere – rompe di per sé una pacificazione forzata. Parimenti, questa stessa pacificazione, che trent’anni fa i boia di regime vollero imporre crivellando di colpi Pedro e tanti altri compagni e compagne, la possiamo smentire riprendendoci la memoria di questo compagno ucciso e riaffermando la continuità con le a cui allora egli prese parte, assieme a moltissimi/e altri/e.

 

Poiché il cammino verso la liberazione non s’interrompe mai quando qualcuno cade, se qualcun’altro decide di calcarne le orme e di proseguirlo.