MV VENERDÌ, 17 DICEMBRE 2010 Pagina 1 – Udine
Anche il Pm Danelon chiede l’assoluzione
Assolti per l’occupazione del liceo Marinelli
Fragoroso applauso degli studenti in tribunale per i due finiti sotto inchiesta
L’ACCUSA
LA SENTENZAx
La protesta del 28 ottobre 2008 culminò con l’intervento della polizia perché la porta principale era chiusa Il giudice Persico: per l’interruzione di pubblico servizio il fatto non sussiste, per la violenza privata non costituisce reato
di GUIDO SURZA
Un applauso educato, ma fragoroso, è seguito alla lettura del dispositivo della sentenza che ha assolto ieri i due ex studenti del liceo scientifico Marinelli (oggi ventenni) inquisiti per l’occupazione del 28 ottobre 2008. Assolti «perché il fatto non sussiste» dall’accusa di interruzione di pubblico servizio, «perché il fatto non costituisce reato» dall’ipotesi di violenza privata.
L’udinese Alberto Casonato e Ambra Demarchi (già residente a Venzone e oggi abitante in provincia di Belluno) non erano seduti al fianco del loro difensore, l’avvocato Andrea Sandra, al banco degli imputati. C’erano però i loro amici, che l’avvocato ha invitato a entrare nell’aula del tribunale in maniera ordinata, non soltanto per mostrare solidarietà. Dalle loro mani si è alzato l’applauso – caso più unico che raro in una udienza dibattimentale – quando il giudice monocratico Mariarosa Persico ha letto il dispositivo di assoluzione. Anche il pubblico ministero Claudia Danelon, dopo aver ascoltato le deposizioni dei sette testimoni, si è convinto che non si potesse configurare l’ipotesi dell’interruizone di pubblico servizio e che non potesse sussistere l’accusa di violenza privata.
Quattro studenti, due poliziotti della Digos e il dirigente del liceo, Tomaso Di Girolamo hanno deposto rispondendo alle domande. Ne è emerso un quadro probatorio incerto, anzi inesistente, da convincere il Pm Danelon che quella mattina non soltanto il personale della scuola (docente e amministrativo), ma anche gli stessi studenti, ebbero libero accesso attraverso altre porte dell’edificio, nonostante quelle principali su viale Leonardo da Vinci fossero chiuse con catena e lucchetti. Quanto alla sospensione delle lezioni, anche l’accusa si è convinta che la protesta era stata regolare, ma soprattutto concordata con lo stesso dirigente scolatico.
Dopo la requisitoria del pubblico ministero, l’avvocato Sandra aveva dunque una “autostrada” davanti per poter aggiungere soltanto alcuni concetti. Per esempio, che la chiusura portone fu soltanto un’azione dimostrativa; che questo gli risultava essere l’unico caso in Italia di studenti inquisiti. Secondo il difensore, le deposizioni testimoniali hanno dimostrato che i ragazzi erano liberi di entrare e uscire dalla scuola; lo stesso avvocato ha ricordato come in questi casi gli studenti “impegnati” restano a scuola in assemblea, mentre gli altri “occupano” i bar della città.
Alberto Casonato e Ambra Demarchi erano stati condannati con un decreto penale del Gip su richiesta della procura (15 giorni di reclusione convertiti in 570 euro di multa) e si erano opposti ritenendo che soltanto con le deposizioni al processo si sarebbero spiegati i fatti diversamente da come erano stati qualificati.
Ieri erano presenti in aula anche alcuni dirigenti della questura, che aveva identificato e segnalato alla procura di Trieste anche altri studenti minorenni, per i quali non era stata aperta un’inchiesta parallela di concorso nei reati.
VENERDÌ, 17 DICEMBRE 2010
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«Sollievo dopo 2 anni d’ansia»
Il racconto dei protagonisti
«Questa esperienza mi ha cambiato la vita». Così si esprime Ambra nel commentare la sentenza di assoluzione arrivata ieri dopo la denuncia per l’occupazione del Marinelli che, dal 2008 a oggi, l’ha vista imputata in tribunale assieme a un ex compagno, Alberto. Nel 2008 il liceo di viale da Vinci, in un clima generale di rivolta contro la riforma Gelmini, era stato occupato da una ventina di persone, ma gli unici maggiorenni erano Alba e Alberto. I due, nonostante la lettera del preside Di Girolamo invitasse a non procedere, furono denunciati per interruzione di pubblico servizio. Appena diciottenni si ritrovarono catapultati in un tribunale. «La vicenda mi ha fatto passare la voglia di continuare gli studi – racconta Ambra – perché eravamo arrabbiati con il ministro Gelmini per le decisioni assunte nel decreto, e non solo non siamo stati ascoltati, ma addirittura denunciati. Ho perso la fiducia. Studiavo in un liceo, perciò avrei dovuto intraprendere anche la strada dell’università, ma dopo la denuncia ho deciso di ritirarmi da scuola e dare un taglio netto».
Oggi Ambra vive in Veneto perché – dice – «quando incontravo qualche compagno mi chiedeva a che punto fosse il processo e la situazione era diventata troppo pesante». Ieri finalmente la bella notizia, comunicatale dai genitori perché lei era al lavoro: «Sono stati due anni impegnativi, con parecchie occasioni di angoscia, ma sono felice che alla fine sia andato tutto bene». Comprensibile anche la soddisfazione di Alberto che ha atteso d’essere a casa per comunicare la bella notizia ai genitori: «Mentre leggevano la sentenza il cuore ha accelerato i battiti, ma sono soddisfatto anche perché è stato il pubblico ministero a chiedere l’assoluzione. Fortunatamente non ho avuto ripercussioni a scuola, ma sono stati due anni carichi d’ansia». Fra il pubblico, oltre a molti studenti (alcuni dei quali compagni nell’occupazione del 2008), c’era anche il preside Di Girolamo, felice dell’epilogo: «È stata la soluzione più giusta perché i ragazzi hanno sbagliato, ma avevano già subito la punizione in ambito scolastico. Nessuno si era fatto male e non c’era stato alcun danno». (m.z.)
VENERDÌ, 17 DICEMBRE 2010
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«Noi lottiamo per i professori ma loro cosa fanno?»
Gli studenti in corteo: «No alla violenza confronto duro, ma senza degenerare»
L’APPELLO
Gli studenti friulani condannano gli scontri avvenuti martedì a Roma dopo il voto che ha salvato il governo Berlusconi. «Il confronto – dicono – deve essere duro, ma non può degenerare in violenza». Rimane però l’amarezza per la completa incuranza da parte del governo verso le loro istanze, «rimaste inascoltate». Lo hanno ribadito i circa 150 studenti che hanno preso parte alla manifestazione pacifica che ha caratterizzato la gelida mattinata udinese di ieri. Ma, negli sguardi dei passanti, si poteva leggere anche diffidenza verso i giovani, probabilmente perché nella memoria di molti sono rimaste le immagini dei tafferugli visti in televisione.
La posizione di condanna contro la guerriglia verificatasi a Roma in concomitanza con il voto di fiducia al governo è emersa più volte durante il dibattito fra i ragazzi al termine del corteo udinese. In piazza Venerio sono state numerose le posizioni che si sono succedute, ma nessuno crede che gli studenti siano stati la miccia all’origine degli scontri. Piuttosto si è parlato di fantomatici gruppi di facinorosi e di Black block.
Il Movimento studentesco non ha espresso una posizione definita perché «non sono ancora pienamente chiari gli elementi per poter pronunciare un giudizio definitivo – ha commentato Giovanni Lupieri, esponente del Movimento -, ma dal mio punto di vista la manifestazione di Roma palesa un disagio presente non solo fra gli studenti ma nell’intera società contro la classe politica che non è più al servizio del cittadino».
E i ragazzi, ieri, sono andati a manifestare direttamente davanti agli uffici del rappresentante del governo in città. Il lungo serpentone, partito da piazza Primo maggio e sfilato nel centro storico, ha fatto tappa in via della Prefettura per gridare tutto il proprio sconforto. «Non possiamo più scendere in piazza solo per la scuola – hanno detto i ragazzi dal microfono – perché tutto ci riguarda. È impensabile che un uomo come Silvio Berlusconi sia al governo. Vogliamo dire no al suo governo, no al ministro Gelmini e no ai processi contro la libertà d’espressione».
Arrivati in piazza Venerio, prima che una piccola delegazione di studenti entrasse in tribunale per seguire l’udienza dei due giovani imputati per l’occupazione del Marinelli del 2008 (terminata, come riferiamo in altro articolo, con una doppia assoluzione), i ragazzi hanno urlato a gran voce tutti i “no” contro i tagli al loro futuro: «No al taglio di 12 miliardi di euro alla scuola, no ai 150 mila posti in meno per gli insegnanti e ai 40 mila in meno per il personale assistente, tecnico e amministrativo. No alla riduzione dell’offerta formativa, alle ore da 60 minuti e al tetto di 30 alunni per classe».
I giovani però accusano la pesantezza e l’amarezza di rimanere inascoltati. E cercano strategie nuove per ottenere ciò che chiedono, ovvero «consentire la sopravvivenza della scuola pubblica». E così si propone un’alleanza strategica con i “prof”: «Noi lottiamo anche per loro – ha premesso un giovane -, ma loro non scendono mai in piazza al nostro fianco». E c’è chi pensa di alzare l’asticella dello scontro: «Blocchiamo le vie principali della città, sediamoci sui binari della stazione, almeno così non potranno più non ascoltarci».
Michela Zanutto