Da Il Piccolo del 20/07/12
Il Coroneo scoppia e manca l’acqua calda sale la protesta in cella dei 240 detenuti
Protesta nuova, problema vecchio. A causa del sovraffollamento anche il Coroneo è una potenziale polveriera. Continua a scoppiare di detenuti. La casa circondariale di Trieste deve fare i conti con una struttura vecchia. L’ultima tegola: l’acqua calda che non esce da due settimane. Lì ci si lava solo con quella fredda, e si andrà avanti a farlo fino a mercoledì, quando arriverà e sarà rimontato il pezzo di ricambio del miscelatore. Costo, circa 1.600 euro. È stato ordinato subito dopo il guasto dal direttore della struttura Enrico Sbriglia, nonostante quella spesa non sia nemmeno coperta. E meno male che siamo in estate. Proprio per questo, dalle finestre aperte del vicino Tribunale di Foro Ulpiano, si sentiva levare l’urlo degli ospiti del Coroneo: «Vogliamo l’acqua calda». A far fronte alla situazione, un manipolo di poliziotti penitenziari in servizio. Pure quell’organico non abbonda. E deve occuparsi di 240 persone recluse a fronte di una capienza di 155. Qualcuno, come altrove, ha proclamato lo sciopero della fame per quattro giorni, tanti quanti dura la protesta.
Coroneo, una polveriera «Anche in 12 in una cella»
«I problemi sono antichi, e a fronte di questi ora, a livello nazionale, il ministro Severino e il Capo dipartimento Tamburino stanno cercando di avviare un percorso di soluzione. Perché non si può rispondere a crimine privato con crimine di Stato». Così Sbriglia (foto) commenta la partecipazione dei detenuti triestini alla protesta nazionale. E l’acqua calda? « Il Provveditore regionale Bocchino mi ha autorizzato ad intervenire nelle more. La ripareremo pur senza avere i fondi. Quasi un’autodenuncia alla Corte dei Conti. Ma facciamo tutto ciò che possiamo, anche di più. Lo abbiamo spiegato ai detenuti. Confidiamo che, con queste manifestazioni pacifiche, mostrino quella ragionevolezza che altri, in passato, decidendo i fondi per l’amministrazione penitenziaria, avrebbero dovuto avere». (pi.ra.) di Piero Rauber Protesta nuova, problema vecchio. Incancrenito. In questa città come altrove. Più che altrove, forse. La mobilitazione non violenta di quattro giorni pro-amnistia, appena lanciata a livello nazionale da Marco Pannella col Partito Radicale – estremo tentativo di dare uno scossone all’opinione pubblica e allo Stato a proposito del sovraffollamento delle carceri e della precaria vivibilità al loro interno – riporta a galla in tutta la sua gravità il caso Trieste. Il Coroneo, infatti, è una potenziale polveriera. Continua a scoppiare di detenuti, ben oltre la capienza ufficiale. E li costringe non solo a passare le giornate uno sopra l’altro, ma anche a sopportare pesantissimi disagi causa la vetustà della struttura e dei suoi impianti, peraltro mai soggetti negli anni addietro a una manutenzione degna di tal nome, conseguenza di un progressivo, alla luce dei fatti eccessivo, assottigliamento dei fondi statali destinati proprio al funzionamento, all’ordinaria amministrazione (e manutenzione) delle carceri. Banale esempio. Nella casa circondariale di Trieste, in alcune celle, ci sono sciacquoni difettosi e lavandini semintasati, ancorché utilizzati quotidianamente da una decina di persone chiuse dietro la stessa sbarra. L’ultima tegola: l’acqua calda che non esce da due settimane. Lì ci si lava solo con quella fredda, e si andrà avanti a farlo fino a mercoledì, quando arriverà e sarà rimontato il pezzo di ricambio del miscelatore. Costo, circa 1.600 euro. È stato ordinato subito dopo il guasto dal direttore della struttura Enrico Sbriglia, nonostante quella spesa non sia nemmeno coperta. E meno male che siamo in estate. Proprio per questo, dalle finestre aperte del vicino Tribunale di Foro Ulpiano, si sentiva levare l’urlo degli ospiti del Coroneo: «Vogliamo l’acqua calda». E ciò con un po’ d’anticipo rispetto all’esordio del tam-tam ideato dal vecchio Giacinto detto Marco (Pannella), che è cominciato mercoledì sera. Anche a Trieste i detenuti hanno iniziato (replicando poi ieri sera) a sbattere pentole e qualsiasi altro oggetto che potesse far un po’ di casino sulle sbarre delle finestre. Hanno armeggiato quindi accendini nell’oscurità per attirare l’attenzione al grido di «amnistia» e «libertà». A far fronte alla situazione, un manipolo di poliziotti penitenziari in servizio. Pure quell’organico non abbonda. E deve occuparsi di 240 persone recluse, metà delle quali in attesa di giudizio, a fronte di una capienza di 155. Qualcuno, come altrove, ha proclamato lo sciopero della fame per quattro giorni, tanti quanti dura la protesta. Sul posto, anzi dentro il posto, accompagnato dallo stesso Sbriglia – facendo valere così i poteri ispettivi che gli sono propri in quanto consigliere regionale – si è fiondato il giovane Alessandro Corazza, il capogruppo dell’Idv in piazza Oberdan. Ironia della sorte, il più reattivo, per vedere che aria tirava nel carcere triestino in occasione di una protesta che punta all’amnistia, è stato un politico dipietrista, nelle cui corde l’amnistia non trova spazio. Ma che importa. Qui sono in ballo, o meglio in discussione, i più elementari «diritti umani», fa capire Corazza. Il quale, dopo il sopralluogo, denuncia: «Ho scorto un sovraffollamento impressionante, la situazione è indegna. Dieci, anche 12 detenuti, in una cella che avrà avuto 20 metri quadri, senza condizionatore ovviamente. Peggio che a San Vittore, che io ho visitato. Bravo è il direttore Sbriglia, devo ammettere, a riuscire a gestire con i suoi uomini una situazione simile».