Da Il Piccolo
11/09
Caso Rasman La famiglia: ora lo Stato paghi
«Ci piacerebbe sentire dallo Stato un atto di scuse e di partecipazione, anche con una transazione, ma finora non è arrivata nessuna risposta». Lo ha detto ieri in serata all’agenzia Ansa l’avvocato Claudio De Filippi, legale della famiglia di Riccardo Rasman, il 34enne in cura presso il Centro di salute mentale di Domio morto il 26 ottobre 2006 in seguito a un’irruzione della polizia nella sua casa, a Borgo San Sergio, fatto per cui sono stati condannati a sei mesi per omicidio colposo, con sentenza passata in giudicato dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione, gli agenti della Squadra volante Mauro Miraz, Maurizio Mis, Giuseppe De Biasi. Ritenendo la vicenda «per comune ammissione più grave di quella di Federico Aldrovandi, ma tenuta nascosta», De Filippi ha ricordato che nell’ultima udienza in sede civile per la richiesta di danni della famiglia, l’Avvocatura dello Stato ha proposto una transazione di 500 mila euro, a fronte di una richiesta di nove milioni, «una cifra – ha commentato, come riporta ancora l’Ansa – che accetteremmo solo come acconto». «La Cassazione – ha proseguito De Filippi – ha esplicitamente scritto che si è trattato di una “violenta contenzione”, implicitamente dice che è stato un atto illegittimo, e lo Stato questo atto lo deve pagare caro». La prossima udienza della causa civile è stata fissata per il 23 ottobre prossimo.
03/09
«Il decesso di Rasman poteva essere evitato»
di Piero Rauber La morte di Riccardo Rasman, stroncato il 26 ottobre 2006 da un collasso cardiocircolatorio mentre era trattenuto a forza a terra dai poliziotti che avevano fatto irruzione nella sua casa di Borgo San Sergio, «era pacificamente evitabile qualora gli agenti avessero interrotto l’attività di violenta contenzione a terra del Rasman, consentendogli di respirare». Così recitano le motivazioni, depositate ieri, della sentenza della Quarta sezione penale della Cassazione, che il 14 dicembre aveva confermato in via definitiva le condanne a sei mesi di reclusione, con pena sospesa, per omicidio colposo, a carico dei poliziotti Mauro Miraz, Maurizio Mis, Giuseppe De Biasi. Dopo la conferma dell’entità delle condanne, ora dunque viene messa – nel terzo e ultimo grado di giudizio – una pietra anche sopra i perché di quella morte. Era appunto il 26 ottobre del 2006 quando la polizia venne chiamata da alcuni vicini di casa di Rasman perchè il 34enne – in cura presso il Centro di salute mentale di Domio – stava lanciando petardi. I poliziotti della Squadra volante, con l’aiuto dei pompieri, avevano tirato giù la porta dopo aver tentato invano di farsela aprire. Ne era venuta fuori una mischia furiosa: Rasman era stato ammanettato e fatto distendere sul pavimento. In tre gli erano saliti a turno sulla schiena per tenerlo fermo. Ma lui, che aveva lottato senza risparmiare il fiato, aveva iniziato a rantolare, tanto da esser sentito da una vicina. Quando era arrivato il 118 era già troppo tardi. «Asfissia posizionale» si sarebbe poi letto nella perizia medico-legale. «Purtroppo rispetto al caso Aldrovandi l’entità della condanna per chi ha ucciso Rasman è ridicola», ha dichiarato ieri sera all’agenzia Ansa l’avvocato Fabio Anselmo, uno dei componenti dello staff di legali cui si è rivolta la famiglia della vittima, che si è già mossa anche per il risarcimento in sede civile, chiedendo otto milioni al ministero degli Interni. «Agli aguzzini di Aldrovandi è stata comminata una pena di tre anni e sei mesi – ha aggiunto Anselmo, che si è occupato anche di quel caso – ma la vicenda di Rasman credo fosse ancora più grave». «Nonostante gli anni passino, tutti continuano a stare zitti, a partire dalle forze di polizia, la verità non è mai venuta completamente alla luce, e siamo pure costretti a patire per la condanna a soli sei mesi per chi l’ha ammazzato», ha commentato sempre all’Ansa in tarda serata la sorella Giuliana. «Ho lavorato 37 anni per lo Stato – la disperazione della madre, Mariuccia – ed ora dovrei rassegnarmi al fatto che lo Stato abbia ucciso mio figlio, non lo farò mai»
22/08
Caso Rasman, lo Stato paga 500mila euro
Era il 27 ottobre 2006 e i quattro agenti assieme a due pompieri erano entrati di slancio nell’alloggio di via Grego 38 dopo aver tentato invano per una ventina di minuti di farsi aprire la porta. Dal terrazzo del monolocale di Riccardo Rasman, secondo l’allarmata indicazione dei vicini, erano stati lanciati pericolosamente in strada alcuni petardi. Da qui la richiesta di intervento, Rasman si era difeso, si era avventato contro gli agenti. Ne era scaturita una mischia, alla luce delle torce elettriche. Il giovane era stato ammanettato con i polsi dietro la schiena: i vigili del fuoco, subito dopo, gli avevano legato le caviglie con del filo di ferro. Poi era stato tenuto disteso sul pavimento e perché non potesse più reagire, i poliziotti avevano esercitato sul torace una pressione prolungata che si è rivelata fatale. Ma nessuno dei poliziotti, aveva pensato di sollevare l’uomo da terra, liberandolo del loro peso. Quando avevano chiamato il 118 era troppo tardi. L’ambulanza era tornata mestamente vuota al parcheggio e il medico legale d era entrato nell’appartamentino Ater teatro della tragedia. di Corrado Barbacini Un assegno di 500mila euro alla famiglia di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni morto nel 2006 a seguito dell’irruzione della polizia nella sua abitazione di Borgo San Sergio. Lo pagherà l’Avvocatura dello Stato per evitare il sequestro conservativo degli appartamenti di proprietà di Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giovanni De Biasi, i tre agenti condannati con sentenza irrevocabile a sei mesi per omicidio colposo. L’assegno dell’ammontare di 500mila euro è stato concordato l’altra mattina dai legali della famiglia Rasman, Giovanni Di Lullo e Claudio Defilippi con il legale rappresentante dell’Avvocatura, l’avvocato Meloni. Tecnicamente si tratta di una transazione che ha avuto anche lo scopo di evitare il sequestro dei soldi conservati nella cosiddetta cassa dei passaporti. Ma è chiaro che quanto accaduto davanti al giudice Enzo Carnimeo rappresenta la prima vittoria “economica” della famiglia Rasman. Una vittoria anche morale se si pensa che nello scorso mese di giugno la stessa Avvocatura dello Stato ritenendo la richiesta di sequestro «inutilmente vessatoria» aveva descritto nella comparsa di risposta con queste parole Riccardo Rasman: «un giovane “parcheggiato” a spese della collettività in un alloggio di edilizia popolare da chi ormai evidentemente non poteva o voleva farsene carico. Un giovane che costituiva motivo di paura e di preoccupazione per i vicini, evidentemente non informati dalla famiglia di origine dei modi per contattarli». Oltre la transazione di 500mila euro per evitare il sequestro degli appartamenti dei poliziotti e dei soldi ottenuti dalle tasse sui passaporti, rimane la citazione in sede civile nei confronti del ministero per la somma di 8 milioni di euro. È questa la cifra da capogiro che gli avvocati Di Lullo e Defilippi chiederanno come risarcimento per le sofferenze patite dal giovane negli ultimi strazianti minuti della sua vita e per i terribili riflessi che questa morte ha provocato sugli anziani genitori e sulla sorella. Il punto nodale della causa civile è rappresentato dal danno sofferto da Riccardo Rasman nel breve periodo in cui era riverso a terra con le mani e i piedi legati e con un paio di agenti che col loro peso la tenevano bloccato. In quel breve periodo la vittima respirava a fatica, rantolava. Lo aveva sentito una vicina di casa. Nella citazione è evidenziato che Rasman si rendeva conto di stare per morire soffocato. Sarebbe stato sufficiente che i poliziotti lo sollevassero e la sua vita sarebbe stata risparmiata. A questo danno si affianca il danno biologico, esistenziale e morale che ancora oggi stanno patendo i genitori e la sorella. Ecco perché è così elevata l’entità del risarcimento richiesto al ministero degli Interni e ai tre agenti condannati per omicidio colposo. Va aggiunto che nei tre gradi di giudizio tutti i magistrati che si sono occupati di questa terribile vicenda hanno riconosciuto il pieno diritto e la piena legittimità dei poliziotti a fare irruzione nel monolocale di via Grego a Borgo San Sergio dal cui terrazzo Riccardo Rasman aveva gettato un petardo. Ma l’errore tragico è stato quello di aver trattenuto troppo a lungo bloccato sul pavimento la vittima, esercitando sul torace una pressione che si è rivelata fatale. In sintesi Rasman non sarebbe morto se la pressione esercitata sul suo torace non si fosse protratta nel tempo. «Il giovane aveva compiuto uno sforzo enorme, lottando coi poliziotti come un leone: dimostrava con l’affanno del respiro di essere in fortissimo debito di ossigeno: una qualunque persona – si legge nella sentenza di condanna – e a maggiore ragione dei poliziotti, dovevano prevedere che tenere premuto il corpo a terra per diversi minuti, avrebbe significato compromettere la respirazione e la vita». In altre inchieste non dissimili, ad esempio quella sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo deceduto a Ferrara dopo un prolungato controllo di polizia, il ministero degli Interni ha risarcito i genitori della vittima. Lo ha fatto versando loro due milioni di euro ancora prima che si aprisse il dibattimento. La prossima data è quella del 23 ottobre. Per quel giorno è stata fissata l’udienza per il merito.