Questi impianti vengono costruitii solo perchè ci sono i contributi statali, da soli economicamente non si reggerebbero mai.
Inoltre, per esempio, il bio-gas realizzato con il mais è semplicemente uno scandalo
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di Mario Giampietro and Kozo Mayumi
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Massaggero Veneto MARTEDÌ, 30 OTTOBRE 2012 Pagina 63 – Provincia
«Contro il biogas bastava ricorrere al Tar»
Torviscosa, gli ambientalisti replicano al Comune: macché mani legate, è già successo in Piemonte
TORVISCOSA «Bastava ricorrere al Tar per bloccare le procedure per la centrale a biogas Torre Zuina di Torviscosa». L’ambientalista Paolo De Toni respinge le affermazioni dell’assessore Turco, il quale sosteneva che il Comune avesse le mani legate in merito e cita una sentenza del Tar del Piemonte del 21 dicembre 2011 che dava ragione al sindaco del comune di Luserba San Giovanni: l’ente aveva presentato ricorso nei confronti di un’Azienda agricola, chiedendo l’annullamento della determinazione con cui il Dirigente del Servizio qualità dell’aria e delle risorse energetiche della Provincia di Torino autorizzava l’Azienda agricola alla costruzione e all’esercizio di un impianto di cogenerazione alimentato da biomassa legnosa in quel comune. De Toni afferma infatti che «l’autorizzazione unica può variare la pianificazione urbanistica soltanto se c’è stata una ponderata valutazione della coerenza della valutazione con le esigenze della pianificazione, cioè che la realizzazione dell’impianto non può stravolgere le esigenze della pianificazione. Si dice inoltre che l’eventuale dissenso del Comune deve essere preso in adeguata considerazione, attentamente ponderato e eventualmente superato nella determinazione conclusiva, ma sempre sulla scorta di una motivazione adeguata che dia conto delle posizioni prevalenti emerse in seno alla conferenza e delle ragioni per cui l’insediamento è stato ritenuto, nel confronto tra i vari interessi pubblici, compatibile con le caratteristiche dell’area interessata». «l Tar del Piemonte – continua . concludeva la sentenza con alcune prescrizioni che riguardavano la riconvocazione della Conferenza di servizi e la conclusione della stessa con la determinazione conclusiva del responsabile del procedimento, dando conto delle posizioni prevalenti emerse in seno a tale conferenza. Quindi, con un ricorso al Tar, l’impianto di Torviscosa poteva essere bocciato e quanto meno il Tribunale amministrativo regionale avrebbe costretto a rifare la Conferenza dei servizi e quindi a prendere in considerazione il parere contrario della Soprintendenza arrivato in ritardo. È vero che l’articolo 12 del Dlgs 387/2003 prevede che l’autorizzazione unica “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico» conclude De Toni, « ma tale norma va letta secondo canoni di ragionevolezza e alla luce dei principi di (mera) semplificazione procedimentale che la ispirano». Francesca Artico
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Allarme mega-impianti di biogas: anche l’energia pulita può inquinare
09/05/2012 – Il rischio è la speculazione sulla produzione per godere degli incentivi e risparmiare sulla costruzione.
Il biogas, tra le fonti energetiche rinnovabili, sta cominciando a creare più problemi che vantaggi. Soprattutto da quando è diventato la nuova gallina dalle uova d’oro per l’agroindustria. La questione è spinosa, un’altra bella opportunità si sta sprecando nel nome delle speculazioni permesse dalla legge e incentivate con i soldi pubblici, i nostri.
In due anni gli impianti si sono triplicati, e supereranno i mille a fine 2012. Sfruttano liquami e sottoprodotti agricoli, o anche prodotti appositamente coltivati, come il mais. Sono per lo più grandi, i più insostenibili, fatti per vendere energia. È in atto una vera e propria corsa al biogas agricolo, giustificata dall’inseguimento dei cosiddetti “certificati verdi”. Chi produce energia elettrica avrà diritto, se il suo impianto sarà messo a cantiere entro la fine del 2012 (nel 2013 si cambierà un poco), a vedersi riconosciuto un prezzo di 0,28 centesimi al kilowatt contro gli 0,07 del prezzo di mercato. Così i cittadini pagano due volte l’elettricità. Un impianto da 1 megawatt (il massimo ammissibile per ottenere i certificati verdi) è un investimento di circa 4 milioni di euro ammortizzabile in 3 o 4 anni, che poi darà una rendita netta di un milione di euro all’anno. Allettante per chi fa sempre più fatica a guadagnare con l’agricoltura o l’allevamento. Il nuovo decreto sulle rinnovabili, in vigore dal 2013, prevede tagli degli incentivi alle forme di energia “verde” per «allinearli a quelli europei», ma in realtà per il biogas non saranno consistenti, restando su una soglia variabile ma sempre molto conveniente. C’è dunque da presumere che la corsa non si fermerà dopo il 2012.
Chi viaggia attraverso Piemonte, Lombardia ed Emilia probabilmente avrà già visto a margine di alcuni campi due grandi cupole affiancate, spesso colorate di verde. Sono i “digestori” degli impianti, in cui s’immettono le biomasse (liquami zootecnici, letame, sfalci agricoli, scarti di produzione, ma anche insilati e coltivazioni) affinché siano trasformate dai batteri. Questi rilasciano metano, il quale serve a generare energia elettrica con un motore (che produce anche calore), e intanto avanzano un “digestato” che può essere utilizzato come ammendante o concime nei campi. In teoria il ciclo è perfetto: si usano scarti per produrre energia che può servire all’azienda stessa ed essere venduta se in eccedenza. E ciò che avanza si può ancora utilizzare. Sarebbe ottimo se l’impianto fosse piccolo, confinato all’interno del ciclo produttivo aziendale, ma visti i prezzi che spunta l’energia è diventato molto conveniente fare impianti grandi, da parte di consorzi (non sempre riconducibili ad agricoltori), che hanno lo scopo principale di speculare sulla sua produzione.
Per le singole aziende sarebbero sufficienti impianti da 20 o 50 kw ma gli impianti più grandi, dai 250 kw in su, si stanno diffondendo a macchia d’olio, non più soltanto al Nord. Le procedure per l’autorizzazione sono semplificate, seguono un iter molto veloce che i cittadini apprendono quando è già stato approvato dalla conferenza dei servizi. Non gli rimane poi tanto tempo per far valere le proprie ragioni. Ma perché opporsi?
L’assenza di norme più definite e restrittive e la discrezionalità delle Regioni non abbastanza sfruttata, fanno sì che si autorizzino impianti a fini speculativi, costruiti troppo vicini alle abitazioni o in siti sbagliati, che pongono seri problemi di sostenibilità e mettono in discussione la buona produzione agricola.
Gli impianti sono rumorosi, maleodoranti e alcuni studi cominciano ad evidenziare come non siano privi di emissioni nocive. Averli a pochi metri da casa può diventare un incubo. Poi c’è il problema della sostenibilità: questi grandi impianti incentivano i trasporti di “materia prima” da digerire con relative emissioni e traffico. C’è un forte impatto sul paesaggio e sul consumo di suolo agricolo per quanto ne occupa l’impianto stesso, ma più di tutto perché il problema di dover produrre energia per venderla e ammortizzare i costi di costruzione induce gli agricoltori a coltivare cibo per metterlo direttamente nei digestori. Questa forse è la cosa più grave di tutte. I grandi impianti prevedono un utilizzo di un 75% di liquami e di un 25% di materia solida per funzionare in maniera accettabile, per fare soldi. Il mais rende tantissimo come solido e la tentazione di sforare la quota del 25% è forte: già oggi ci sono impianti che consumano in prevalenza mais. È sbagliato da un punto di vista etico, ma anche ecologico. Un mais che non si mangia può ricorrere a un uso dissennato di chimica, fertilizzanti e antiparassitari, inquina e mina la fertilità, consuma uno sproposito d’acqua. Per 1 megawatt si devono sacrificare almeno 300 ettari. Non è difficile immaginare che così si finirà con il compromettere l’agricoltura, non solo di qualità.
E stanno venendo fuori nuovi problemi. Pare che in Germania, leader in Europa per il biogas, affiorino delle perplessità. C’è anche chi ha ipotizzato che le contaminazioni da e.coli che hanno paralizzato il mercato dell’ortofrutta continentale l’anno scorso fossero state causate dalla diffusione di digestati da biogas non proprio “puliti”. Se gli scarti non rimangono nelle aziende e cominciano a viaggiare, controllarli diventa molto difficile. Per ora nessuno ha smentito queste tesi, ma basti dire che la Svezia, altro Paese all’avanguardia da anni, obbliga a pastorizzare i liquami in ingresso e i concimi in uscita dalle aziende per evitare contaminazioni. Forse non è nemmeno un caso che la Regione Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano. È un pericolo che andrà approfondito, ma non osiamo pensare cosa potrebbe succedere se s’inizieranno – come alcuni detrattori prevedono – a utilizzare senza controlli i rifiuti urbani umidi.
Oggi in Italia ci sono tantissimi comitati locali che si oppongono al biogas, o almeno lo chiedono fatto in maniera ragionata. Un fenomeno importante: si stanno riunendo in coordinamenti regionali e ne sta nascendo anche uno nazionale. Pretendono nuove regole, certe e più restrittive; incentivi soltanto laddove il biogas rappresenta una vera energia pulita che utilizza scarti veri (non cibo o rifiuti urbani); lo vogliono lontano dalle zone residenziali e fatto senza compromettere un’agricoltura che, occorre ricordarlo, prima di tutto serve a vendere cibo e non energia.
Di Carlo Petrini, da La Repubblica del 9 maggio 2012