A nordest le mafie all’assalto della Tav. Il recente rapporto della Dia e le nuove mafie
Le mafie in Friuli Venezia Giulia si stanno accomodando al gran banchetto della Tav. L’ultimo rapporto, pubblicato i primi di agosto e relativo al secondo semestre del 2010, della Direzione investigativa antimafia [Dia, vedi qui] segnala come il Friuli Venezia Giulia sia «attualmente interessato da ingenti investimenti pubblici relativi alla realizzazione di opere di carattere strategico, che si sovrapporranno temporalmente ad altre già in corso – leggiamo nel rapporto – per la trasformazione strutturale della rete viaria regionale con effetti sulla viabilità nazionale e transnazionale». La Tav non viene esplicitamente citata ma la descrizione fatta dalla Dia della situazione regionale non lascia dito a dubbi. «A fronte del fatto che l’attività informativa svolta sul territorio continua a registrare la presenza, talora stabilizzata, di soggetti affiliati e comunque ritenuti “vicini” ad organizzazioni criminali di matrice siciliana – prosegue il rapporto nel capitolo dedicato alla mafia siciliana – si segnalano alcuni episodi si segnalano alcuni episodi che convalidano, nel semestre, la prefata tesi». Chissà se Bortolo Mainardi, neo commissario alla Tav, se ne sta preoccupando [vedi qui].
Vengono poi ricordati, dalla Dia, due episodi: uno in provincia di Udine con «l’ esecuzione alla misura di prevenzione personale ed al sequestro dei beni, a carico di un soggetto, nativo di Palermo, ritenuto partecipe delle attività illecite della famiglia mafiosa di Acquasanta e del mandamento di Resuttana. Sono state sequestrate quote di un impresa di costruzioni con sede in provincia di Udine e un’abitazione sita nel medesimo comune, per un valore di circa cinquanta milioni di euro» e poi, il 4 novembre 2010, «è stata data esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare tra i cui indagati figura un soggetto che ha subito il sequestro di un appartamento in Aviano (Pn) intestato alla di lui consorte».
Il rapporto prende in esame le evoluzioni del organizzazioni criminali autoctone ed immigrate e sul nordest questa non è l’unica notizia di rilievo riguardante: «il Veneto, per il suo diffuso e notorio benessere economico, attira gli interessi della criminalità organizzata, che vi ha “collocato” propri referenti, in grado di offrire adeguati supporti logistici e avviare attività economiche di varia natura – con o senza l’appoggio di imprenditori locali – in modo da reimpiegare capitali di dubbia provenienza» e viene citata l’operazione che nel settembre del 2010 ha portato alle perquisizioni nel rodigino alla ricerca del patrimonio del boss Salvatore Brusca.
La parte più interessante della relazione – appesantita da un linguaggio burocratico e dalle evidenti necessità politiche di esaltare i risultati delle forze dell’ordine – rimane quella che descrive l’evoluzione generale delle mafie. Vediamo infatti le tradizionali organizzazioni «evolvere verso profili di “sistemi criminali avanzati” che coniugano alla radice mafiosa significative attività affaristiche, imprenditoriali e finanziarie, capaci di attuare non solo più efficienti forme di riciclaggio e di reimpiego dei capitali illeciti, ma anche di una più efficace penetrazione nel sistema economico e produttivo globale – sottolineano gli analisti della Dia – tali linee strategiche si coniugano in ultimo, con l’esigenza di attivare un costante sforzo di penetrazione del contesto politico – amministrativo, principalmente funzionale all’infiltrazione del settore degli appalti».
Da organizzazioni gerarchiche a network criminali dove la collaborazione è spesso fruttifera per i diversi soggetti che vi partecipano, come aveva annotato a proposito Rocco Sciarrone nel suo recente saggio sulle relazioni delle mafie con la «zona grigia» degli affari: «i mafiosi, nella maggioranza dei casi, tendono ad evitare i ‘giochi a somma zero’, del tipo chi vince piglia tutto. […] Tra mafiosi e soggetti esterni tendono a instaurarsi giochi a somma positiva, in cui tutti i partecipanti hanno qualcosa da guadagnare, favorendo in questo modo accordi e scambi, e più in generale consenso sociale» [vedi qui].
Non la piovra che tutto controlla e tutto annichilisce quindi, ma la fluidità delle reti: «volendo ricorrere ad una analogia appare corretto affermare – leggiamo nel rapporto – che l’attuale ed oggettiva disgregazione dell’originario “tessuto tumorale” mafioso non elimina, ma, paradossalmente, amplifica, il rischio di diffusione e di silenzioso impatto nel sociale delle sue più pericolose metastasi imprenditoriali, politiche e finanziarie, che non sono costituite da meri cloni del terreno delinquenziale di riferimento, ma da componenti evolutesi nel tempo, assai più progredite, riservate dinamiche e vitali, che sanno coniugare al metodo criminale, ereditato dalla storia di cosa nostra, una più sottile e meno appariscente cultura manageriale». «La tendenza futura sarà costituita – annota la Dia – dal sempre più radicale tentativo di allontanamento formale dalla originale radice mafiosa, sì da rendere sempre più elusiva e meno tracciabile la loro filiazione criminale».
Dall’immane apparato di tabelle – non sempre significative e spesso ridondanti – un dato ci è parso meritevole d’attenzione: la ripartizione per regione di nascita degli «italiani denunciati o arrestati per le violazioni di cui all’art.416 bis [associazione per delinquere di tipo mafioso]» nel 2010 fa emergere la diversa provenienza dalle regioni a storica presenza mafiosa: 33 lombardi, 14 piemontesi, 3 emiliani, 2 veneti e 4 abruzzesi. Un dato che sembra supportare le tesi di studiosi, come Federico Varese [vedi qui], che rifiutano una lettura culturalista del fenomeno mafioso che verrebbe attribuito alla particolarità di alcuni contesti e culture [o, peggio, etnie] sottolineando come «in presenza di una combinazione di fattori economici specifici, qualunque zona è a rischio penetrazione».
Tornando alle analisi dettagliate segnaliamo come in Veneto malgrado «la presenza della criminalità organizzata calabrese non ha assunto dimensioni tangibili» tuttavia «permangono […] i segnali già emersi nelle precedenti relazioni circa la discreta incidenza percentuale delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette – che pervengono dall’Unità di Informazioni Finanziaria della Banca d’Italia – effettuate nella regione, che nel semestre hanno raggiunto la percentuale del 4,9% sul totale nazionale».
Mentre per quanto riguarda la camorra «nel Veneto si continua a monitorare la presenza criminosa di persone campane che, oltre ad ostentare una particolare prosperità economica, risultano contigue a famiglie tradizionalmente riconducibili alla camorra – leggiamo nel rapporto – [….] e in Friuli Venezia Giulia da tempo l’attività info investigativa svolta dalla Dia e dalla forze di polizia ha evidenziato ramificazioni di camorra nella zona di Trieste e nelle aree di Lignano Sabbiadoro e Latisana».