NOTIZIE/ Servizio del Messaggero Veneto su Onde Furlane

Messaggero Veneto VENERDÌ, 05 FEBBRAIO 2010 Pagina 13 – Cultura e spettacoli

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«Samba è del Camerun e parla ai nostri microfoni: più integrazione di così»

«Attenti ai professionisti della friulanità, ma per fortuna c’è Dj Tubet»

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Paolo Cantarutti (Onde Furlane): altro che localismo, il friulano è il nostro passaporto in Europa

LA NUOVA CULTURA

MINORANZE

INCHIESTA SULLA MARILENGHE-9

«Oggi è indietro chi parla la lingua maggioritaria e nega l’esistenza delle minoranze» «Qui non c’è nulla da preservare, ma un patrimonio da utilizzare in ogni ambito»

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di MICHELE MELONI TESSITORI
UDINE. «Non siamo noi i provinciali, oggi il localismo è di chi parla una lingua maggioritaria che non ammette e non riconosce altro da sé, mentre quelle delle minoranze, se insegnate, garantite e parlate ci aiutano a essere piú europei». Sono trent’anni proprio in questi giorni che radio Onde Furlane diffonde nelle coscienze la convinzione che la marilenghe non è una battaglia di retroguardia, la difesa della memoria del passato, ma una lingua viva, che si reinventa e resta radicata nel tessuto sociale «al punto che è tornata a essere la voce della protesta anche nei cortei dei lavoratori precari o a rischio come durante la vertenza della Safilo». A sottolinearlo è il presidente della coop che gestisce l’emittente, Paolo Cantarutti, che entra nel dibattito sul destino della marilenghe con la convinzione che «non c’è niente da preservare, ma un patrimonio da vivere, far crescere e utilizzare in ogni ambito. Malcom X direbbe: con ogni mezzo necessario». Come ci spiega in questa intervista.
Sul destino del friulano si esagera o si sottovaluta il problema?
«La questione è male impostata nel senso che il tema non è quello di salvare il friulano neanche fosse un malato terminale e molti mi sono sembrati seduti a un capezzale tranne che Dj Tubet che ha detto parole vive. Il problema è che si devono garantire le condizioni di vita e di sviluppo in tutti gli ambiti della società, che il friulano non ha avuto. Io penso che ci sia ancora la possibilità di intervenire, a patto che si manifesti una volontà politica».
Ma un peggioramento c’è stato.
«A Onde Furlane conosciamo bene l’humus della lingua, la sua presenza nella società e posso dire che, nonostante le grida di allarme, finora il friulano si è costantemente reinventato nella cultura, ma anche negli ambiti sociali. Quando i lavoratori davanti alle fabbriche a rischio di chiusura tirano fuori la bandiera friulana e scrivono in marilenghe le ragioni della loro protesta vuol dire che la lingua è viva. Poi è chiaro che il dato generale è che sta calando, come tutte le lingue minoritarie, ma direi anche qualcuna maggioritaria. Però questo è un problema che dipende dal potere, il riflesso della dominazione da parte delle politiche che vogliono far sparire le voci differenti».
Quali sono i rischi reali?
«Il friulano subisce un tentativo di minorizzazione. Questione da non sottovalutare a cui bisogna rispondere facendo leva sulle garanzie previste dalla Costituzione e battendo sul fatto che la sua esistenza corrisponde a un’esigenza molto variegata di giustizia, di diritti, di democrazia, ma anche alla necessità di tutelare una ricchezza culturale che può tradursi in opportunità economica, come hanno fatto in Catalogna, in Galles, in Scozia».
Su chi fare affidamento?
«Detto che qui non c’è niente da preservare, ma c’è un patrimonio da vivere e far crescere in ogni ambito, la scuola è senz’altro importante. Ma direi che ogni soggetto dovrebbe fare la sua parte, magari in un gioco di squadra coordinato. Noi come radio facciamo la nostra, anche di piú rispetto alle scarse risorse finanziarie ricevute. Produciamo cultura e informazione in friulano usando la lingua e promuovendola anche con una produzione discografica e documentaria. Possiamo dire che con noi il friulano è cresciuto: una lingua non accademica, viva, libera, che parla al mondo. Perché la marilenghe si salva solo se acquista le nuove capacità di comunicare oggi necessarie. La scuola è importante, ma se poi i ragazzi non trovano il friulano sul web è tutto inutile. Gli interventi devono procedere di pari passo: a scuola come negli uffici pubblici, in tutte le modalità di comunicazione. Per questo non capisco chi difende l’immagine della lingua della memoria, del cuore, della civiltà contadina: forse che le altre parlate europee non hanno dietro di sé un passato di civiltà rurale? Possibile che solo il friulano non debba sopravvivere alla fine di quella stagione?».
La scuola e chi altri?
«Un tempo c’era la famiglia, ma anche da noi vive una stagione difficile e poi quanto stanno in casa i bambini? Credo che un soggetto importante oggi siano i media, da affiancare alla scuola per quanto riguarda la produzione culturale e l’uso sociale della lingua».
La scuola, dunque.
«Ma servirebbero scelte importanti in una regione in cui oltre al friulano si dovrebbe insegnare bene lo sloveno e il tedesco, in un’ottica di educazione plurilingue che contribuirebbe a formare una cittadinanza europea consapevole. Perché il localismo, oggi, parla una lingua sola che è quella maggioritaria, e non riconosce altro da sé, mentre le lingue minoritarie sono il nostro vero passaporto europeo».
Eppure le legge di tutela è una conquista acquisita.
«Sono passati quattordici anni. Non in vano, perché la legge è servita a far cambiare la percezione della lingua. Oggi il friulano lo si parlerà anche meno, ma con piú consapevolezza».
La politica dunque ha lavorato?
«Ma per affermare l’autonomia non ha mai fatto veramente leva sulle specificità culturali e linguistiche. Cosí si sono perse tante opportunità. Oggi ho l’impressione che la classe politica guardi al problema come da fuori, aspettando gli ordini, e non si accorge che il friulano è piú che mai vivo nella società reale».
A sentire il neurolinguista Franco Fabbro è mancata anche la cultura?

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«Non ci sono state le grandi opere per una questione di alfabetizzazione, e cosí torniamo al punto di partenza: la scuola. Se non si insegna una lingua, se non c’è un pubblico che sa leggere e scrivere… E poi c’è una questione di politiche culturali: prendiamo l’esempio dell’iniziativa Sipari furlan che finalmente aprirà il Giovanni da Udine al teatro in friulano, sulla quale i professionisti della cultura hanno messo cappello. Ognuno dà il suo apporto e ne esce una serie di conferenze sulla storia del teatro in Friuli, qualche lettura scenica. Mi chiedo: perché non puntare su una grande produzione? Ci sono attori bravissimi che sanno bene la marilenghe, ci sono opere e testi, alcuni anche abbastanza visionari, che possono alimentare nuove produzioni di avanguardia».
Le grandi opere non mancano?
«Ci sono testi bellissimi di Candoni, di Negro, di Domenico Zannier… Al Nuovo c’è pure stato quel magnifico regista lituano Nekrosius che fa spettacoli con una lingua che ha meno parlanti della nostra, ma una capacità di comunicazione universale. Eppure da noi operazioni cosí non si tentano e personaggi come Dj Tubet, che sono fenomenali, non li chiamano».
Nel ruolo di avanguardia dei mass media ci dovrebbe essere anche radio Onde Furlane?
«Trent’anni di attività non sono pochi: è cambiato tutto, è cambiato il Friuli, il suo contesto sociale, naturale. Abbiamo raccontato questa trasformazione, questa mutazione, e l’abbiamo fatto in friulano, che è il motivo per cui siamo nati. Un friulano non folcloristico, non legato alla memoria, al cuore; un friulano vero, che fa i conti con la realtà. E l’abbiamo raccontato non isolandolo dal mondo, perché oggi non si può piú parlare in friulano soltanto del Friuli. Tale attività è stata fatta molto spesso aprendo nuove strade, dimostrando le possibilità di una lingua che molti volevano o credevano sull’orlo dell’estinzione, puntando soprattutto sui giovani. Il valore di tale realtà, come laboratorio di idee e progetti, è impossibile da quantificare, ma certamente non ha goduto del sostegno pubblico necessario se pensiamo che si tratta di una funzione sociale che in altre realtà europee è svolta dallo Stato, dai Governi regionali e dalla emittenza pubblica».
C’è infatti il fenomeno crescente dell’immigrazione?
«La nostra radio è stata, in questo senso, il luogo di incontro di tantissime realtà. Proprio perché voce di una minoranza, ha dato spazio ai nuovi arrivati. L’abbiamo fatto con modalità inedite, creando una redazione multetnica, cioè facendo degli immigrati i protagonisti».
L’integrazione è riuscita?
«Ha dato risultati sorprendenti. In questo momento una delle redattrici del giornale radio in friulano è Isabelle Grattoni, una giovane originaria di Haiti. E uno dei programmi piú divertenti e seguiti è Friûl piturât di neri condotto da Daniel Samba, del Camerun. Parla perfettamente in friulano e ne conosce anche le differenze per aree. Sono programmi che definiscono un nuovo modo di integrare basato sulla volontà di accogliere dentro di sé le culture non locali. Questi giovani immigrati arrivano alla radio per comunicare e finiscono con l’usare il nostro mezzo espressivo: piú integrazione di cosí. La nostra convinzione è che gli immigrati ci aiuteranno a essere piú friulani e quindi piú aperti al mondo. Peccato che la Provincia abbia deciso diversamente interrompendo l’esperienza pluriennale di programmi come Tam Tam e Passepartout».