NOTIZIE FLASH Il Piccolo 10 febbraio TRIESTE/ Traffico di rifiuti pericolosi. Arrestato il direttore della ferriera, Francesco Rosato
Rifiuti pericolosi a Trieste, arrestato il direttore della Ferriera
TRIESTE. Francesco Rosato, 40 anni, direttore della Ferriera di Servola, Vincenzo D’Auria, 47 anni, responsabile dei settori ecologia e ambiente dello stesso stabilimento e Walter Palcini, 58 anni, responsabile locale della società Restalia che opera all’interno della Ferriera, sono stati arrestati dai carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) per ordine del Gip di Grosseto Pietro Molino su richiesta del pm Alessandro Leopizzi. Da ieri mattina sono ai ”domiciliari”, accusati a vario titolo di concorso in traffico illecito di rifiuti.
In particolare Rosato e D’Auria, secondo gli accertamenti dei militari, avrebbero disposto e consentito lo smaltimento di una parte dei rifiuti pericolosi dello stabilimento classificandoli al contrario come ”normali”, mentre – riporta una nota degli stessi carabinieri del Noe – la gran parte dei fanghi «venivano stoccati all’interno dell’acciaieria, realizzando vere e proprie discariche abusive. I vari tipi di rifiuti prodotti venivano miscelati tra loro al fine di abbassarne i parametri di pericolosità e, attraverso campionamenti non rappresentativi e la compiacenza di intermediari, venivano inviati a impianti non idonei a riceverli. Tutto questo con lo scopo di risparmiare notevolmente sui costi di smaltimento finale».
Gli impianti «non idonei» ai quali si riferisce il Noe sono situati appunto in provincia di Grosseto, la cui Procura ha disposto gli arresti. Oltre che trasformare un’area della Ferriera in discarica abusiva i tre, ciascuno nel proprio ruolo, avrebbero infatti consentito che parte dei rifiuti pericolosi fosse trasportata in Toscana grazie a documenti ”aggiustati” per fare in modo che lì fossero smaltiti, dopo essere stati classificati come ”normali”. Sotto la lente del Noe è finita anche la vasca delle dimensioni di 100 metri quadri, e profonda 10 metri, che si trova vicino all’i mpianto di depurazione della Ferriera. Una ”piscina” in cui venivano mixati rifiuti normali con quelli pericolosi.
Nell’ambito della stessa indagine sono state arrestate, sempre su ordine del gip di Grosseto, altre dodici persone di cui sei finite in carcere. Tra gli indagati (una sessantina) compaiono i nomi di Steno Marcegaglia, padre di Emma (quest’ultima presidente della Confindustria) e fondatore dell’acciaieria Marcegaglia spa; ma anche dell’ex direttore della Ferriera, Mauro Bragagni.
A Rosato il provvedimento di custodia cautelare è stato notificato dai militari del Noe all’interno dello stabilimento siderurgico di Piombino, dove si trovava ieri mattina per una serie di riunioni tecniche. Contestualmente i carabinieri hanno perquisito il suo ufficio a Servola e anche l’abitazione. Gli altri due triestini sono stati arrestati verso le 7 nelle rispettive abitazioni, poco prima di andare al lavoro.
L’indagine della Procura di Grosseto si è estesa in mezza Italia: nel mirino aziende e strutture industriali e di smaltimento nelle province di Bergamo, Caserta, Livorno, Milano, Mantova, Padova, Pisa, Ravenna e Trento.
L’inchiesta ha preso il via dallo stralcio di un fascicolo aperto dalla magistratura di Napoli sulla movimentazione dei rifiuti tossici e pericolosi prodotti dalla bonifica del sito contaminato di Bagnoli. È emerso che lo smaltimento di una buona parte dei fanghi tossici veniva effettuato grazie all’intermediazione dell’A grideco, un’azienda che ha sede a Follonica e un impianto a Scarlino, in provincia di Grosseto, e che possiede anche un impianto di trattamento.
Come si legge in una nota dei carabinieri, la Agrideco «avvalendosi di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, siti di ripristino ambientale e discariche, regolava e gestiva i flussi dei rifiuti attraverso una sistematica falsificazione dei certificati di analisi, dei formulari e dei registri di carico». L’azienda di Follonica era autorizzata al trattamento di rifiuti non pericolosi, ma dall’indagine è appunto emerso che nel proprio impianto gestiva illecitamente anche quelli pericolosi, tra i quali grossi quantitativi di bombolette spray. Proprio in quell’impianto, il 26 giugno 2008, un’esplosione provocò la morte di un operaio e il ferimento grave di un altro.
Dalle stesse indagini è emerso anche che l’impianto di Scarlino veniva utilizzato per smaltire illecitamente un altro tipo di rifiuti pericolosi, costituiti principalmente da terre e rocce provenienti dalle bonifiche di distributori di carburante. Un trucco documentale per abbassare il grado di pericolosità delle sostanze che così potevano essere smaltite ”regolarmente” e a costi appunto molto bassi.