NO TAV/ Torino: Iniziato e rinviato il processo

Giù le mani dalla Valsusa

Repubblica 21 novembre

Torino, bagarre al processo a 45 no Tav – Video
Dibattimento rinviato al 21 gennaio

Torino, bagarre al processo a 45 no Tav -   Video   Dibattimento rinviato al 21 gennaio

Un centinaio di manifestanti davanti al Palagiustizia, dove si svolgeva l’udienza per gli scontri di Chiomonte dell’estate 2011.

Aggredito un cameraman della Rai. Alla fine la decisione di far slittare tutto

 

 

 

agenda, movimento, post — 16 novembre 2012 at 21:30

21/11 SI APRE IL PROCESSO AI NOTAV

 

Il  mattino del 26 gennaio 2012 un’ enorme retata  preconfezionata dalla Procura di Torino e condotta da centinaia di agenti delle forze dell’ordine con svariate perquisizioni in tutta Italia , ha portato a 26 custodie cautelari in carcere, svariate denunce e pesanti restrizioni per le imponenti manifestazioni di dissenso al TAV avvenute 6 mesi prima. La sproporzione delle dure restrizioni rispetto ai fatti di cui siamo accusati, è solo uno degli aspetti che ha svelato dall’inizio la natura dell’attacco politico!

Le imputazioni sono varie ma genericamente quelle di “ lesioni, resistenza , violenza ecc”: i crimini che la magistratura e polizia utilizzano quando attaccano per reprimere manifestazioni e scioperi, come è avvenuto per esempio dalle mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001 al “non” cantiere di Chiomonte.

Tra gli scopi dell’inchiesta vi è il tentativo di indebolire il movimento No Tav ( visto da sempre con timore dai vari Governi e padroni ), dividere i manifestanti in buoni e cattivi e cercare di impaurire chiunque protesti date le ampie mobilitazioni in corso: per questo  un attacco a uno è un attacco a tutti!

Infatti, il periodo degli arresti avviene in un momento di varie lotte nel paese: in particolare le resistenze di operai e lavoratori, il movimento dei cosiddetti forconi e dei pastori sardi, le manifestazioni dei tassisti,agricoltori e vasti settori sociali contro le proposte di strangolamento economico e tassazioni varie del Governo. Momenti di lotta che potrebbero rafforzarsi reciprocamente ed è perciò che attacchi repressivi come questo vorrebbero fungere da monito per qualunque forma di dissenso scomoda. Parallelamente, inizia una campagna politico-mediatica denigratoria e mistificatoria a senso unico , dando spazio quasi interamente agli accusatori, contro noi imputati-e, raffigurati-e addirittura come infiltrati nel movimento No Tav e tesa a personalizzare  insistendo sul fatto che molti-e di noi non siamo della Valsusa e che vi sono imputazioni per fatti specifici e circoscritti ma noi tutti sappiamo bene che “gli infiltrati” sono le forze di polizia che hanno occupato la Valsusa e li riteniamo responsabili della devastazione della valle e delle torture ai danni dei manifestanti no tav.”

Dalle prime ora degli arresti e fermi inizia una risposta in solidarietà al pesante attacco a noi e al movimento No Tav riassunta nel bellissimo slogan: “ La Valle non si arresta: liberi tutti “. Dalle assemblee in Valsusa, negli spazi sociali e nelle scuole, ai presidi fuori dalle carceri, ai cortei e blocchi stradali in tutta Italia con alcuni casi anche all’estero. Oltre a mostrare la vicinanza a tutti-e noi ( e non è poco) ha fatto e continua a far rivivere le ragioni della protesta.

Da anni il movimento No Tav si batte contro questa opera costosa, dannosa, nociva e utile solo ai padroni:

la devastazione ambientale che provocano i lavori per l’opera è enorme,tra l’altro le montagne della zona sono amiantifere ; la linea sorge sui terreni  espropriati ai contadini dove la non accettazione di compensazioni economiche (comunque sempre al ribasso ) dei valligiani dimostra ancora una volta la compatta contrarietà all’opera e la non rassegnazione;  la tanto propagandata necessità di una mobilità più fluida è una finzione infatti è provato che quelle tratte viaggerebbero a treni semi vuoti oltre che a costi enormi, mentre  l’esigenza di mobilità per i pendolari in tutto il paese rimangono come sempre inascoltate; i fondi necessari per la realizzazione sono sottratti alla sanità, alle scuole, al risanamento ambientale mentre vengono imposti tagli ulteriori al sociale ( si stima che l’opera verrebbe a costare circa 1300 euro per ogni famiglia);  il tutto in un territorio sempre più militarizzato che ricorda gli scenari propri dell’occupazione militare nei teatri di guerra come nel moderno apartheid della Palestina.

Nel concreto,   l’ampiezza di questa lotta continua a dimostrare che non è solo un treno in questione. Di fatto, viene messo in discussione, nelle più svariate forme, il modello criminale economico sociale in cui viviamo che crea guerre,miseria e  sfruttamento, razzismo, disastri ambientali ecc. Inoltre le decisioni prese sempre sulla testa delle persone lasciando sempre più inascoltate le esigenze reali della popolazione per garantire come sempre il tornaconto ad una cricca di speculatori e affaristi.

Nell’infinità di processi e forme di repressione, come le centinaia di fogli di via che continuano ad arrivare ed attuati contro le varie forme di resistenza in Valsusa e non solo, il 21 novembre ci sarà l’apertura del processo ,visto da tutti-e noi come un processo politico! Abbiamo scelto il rito ordinario e quindi di andare al dibattimento ( ad eccezione di uno solo), per non concedere nessun arretramento sulle nostre posizioni e motivazioni che come molti altri ci portano a lottare con e per la Valsusa abbracciando il movimento No Tav. Siamo consapevoli che questa posizione non beneficerà di alcuno sconto dalla controparte, che anzi, manterrà vivo l’accanimento dimostrato fino ad oggi. Nonostante la nostra eterogeneità ( elemento proprio delle lotte di massa e potenzialmente una ricchezza ) e le varie “impostazioni” che useremo  in Tribunale, difenderemo il carattere unitario e condiviso di quelle giornate e la legittimità delle varie pratiche di lotta adottate così come ha sempre fatto il movimento No Tav.

Allo stato attuale tre di noi si trovano ancora in stato di detenzione: due in carcere e uno ai domiciliari. Queste differenziazioni e accanimenti continui li riteniamo inacettabili dato che le loro condotte non sono sicuro state diverse da quelle adottate da tutti-e.

Si parte e si torna insieme!

Ora e sempre Notav! Ora e sempre resistenza!

 

Lettera di Massimo Passamani sul processo ai No Tav che inizierà il prossimo 21 novembre

novembre 11, 2012 in L’informazione di Blackout, Lettere dal carcere

no tav arresti

Considerazioni sul processo ai NO TAV

Non potendo partecipare di persona alle discussioni, affido a queste note le considerazioni che vorrei condividere.
Il processo ai NO TAV che comincerà il 21 novembre è un passaggio importante della lotta contro l’Alta Velocità. La repressione non può essere separata dall’insieme delle mosse politiche, mediatiche e poliziesche con cui il potere cerca di imporre la devastazione della Valsusa e di sconfiggere il movimento di resistenza e di opposizione. Di conseguenza, la solidarietà nei confronti degli imputati (e più in generale degli indagati e dei banditi dalla Valle) è allo stesso tempo un terreno della lotta e una delle sue condizioni, parte integrante della battaglia contro il TAV.
Proprio perché la questione riguarda tutti, comunico alcune mie riflessioni pur non essendo tra gli arrestati del 26 gennaio scorso.

Quello che comincia il 21 novembre è un uno dei processi più importanti contro il conflitto sociale di questo paese, perché è evidente che attraverso l’opposizione al TAV si vuole colpire ogni forma di resistenza e di autorganizzazione. Che sia una figura come Caselli il titolare dell’inchiesta è indicativo. Un magistrato di sinistra – proveniente dalle fila del vecchio PCI –, un servitore dello Stato democratico accanito come pochi altri contro la generazione che negli anni Settanta tentò l’assalto al cielo rivoluzionario. Non è certo un movimento come quello NO TAV a farsi impressionare dalle mostrine dell’«antimafia», avendo sperimentato sulla propria pelle come Stato e mafia siano in un rapporto di simbiosi mutualistica.
Questo processo ci riguarda tutti, perché, come abbiamo detto e scritto, in quei boschi, davanti a quelle recinzioni e dietro quelle barricate c’eravamo tutti. Essere o meno imputati è un fatto aleatorio (una foto, un riconoscimento reale o presunto, un casco, una felpa, un braccialetto…); ciò che non lo è sono l’orgoglio e la fierezza di partecipare a una lotta per la terra, la dignità e la libertà.
Ed è questo che dobbiamo rivendicare tutti a testa alta, con passione e senza alcun cedimento. Ai tentativi di dividerci e di metterci gli uni contro gli altri (“violenti” e “nonviolenti”, “valsusini” e “foresti”) abbiamo già risposto: «Siamo tutti black bloc».
Il movimento NO TAV ha raggiunto la consapevolezza che ciò che è giusto e ciò che è legale non coincidono; che anche noi, come altri prima di noi, lungo un crinale di bosco e di storia, dobbiamo operare una scelta: tornarcene a casa perché «è legge» (quella del più forte, del più ricco, del più armato), oppure batterci perché «è giusto» (una giustezza che ci suggeriscono sia le ragioni dell’intelletto sia quelle del cuore).
La resistenza allo sgombero dei trentasette, bellissimi giorni della Libera Repubblica della Maddalena e il tentativo di riprenderci la Clarea erano giusti. Di chi è quella mano, chi ha lanciato quel sasso ecc. sono faccende di giudici e di avvocati. Ciò che deve unire tutti, al di là delle scelte processuali, è il rifiuto di subordinare quello che riteniamo giusto al codice penale e ai tribunali. Questi fanno parte – assieme alle ruspe, al filo spinato, ai new jersey, ai Lince, alle manganellate, al CS – della macchina che vuole spianare alberi, montagne, vita.
Da questo punto di vista – autonomo, diverso, altro, nostro – non hanno ragione di esistere le polemiche rispetto alle diverse scelte processuali. Mi spiego.
Quasi tutti gli imputati – il che è già un risultato significativo – hanno rifiutato sia il patteggiamento sia il rito abbreviato. Ora, visto che il movimento ha già dato il proprio giudizio sul 27 giugno e sul 3 luglio, ricorrere o meno alla difesa tecnica non sposta il terreno del conflitto, che è la giustezza della lotta NO TAV nel suo insieme, lotta che il processo intende colpire.
Anzi, che dei compagni rifiutino di nominare un avvocato e di difendersi su questo o quell’aspetto, conferma l’alterità etica della lotta rispetto ai tribunali. Non solo si tratta di una scelta da rispettare (che i compagni sono disposti a pagare in prima persona), ma essa esprime anche la ricchezza e l’eterogeneità del movimento NO TAV: non è mai stata una “linea politica” ad unirci, ma la convergenza pratica verso una resistenza e le sue dinamiche. Se gli avvocati degli altri imputati riusciranno a smontare questo o quell’aspetto tecnico dell’accusa, ben venga. Difendersi o meno ha che fare con le diverse valutazioni che ognuno dà su rapporti di forza, agibilità, compromessi, prospettive, lotte e carcere ecc. Se è opportuno che ci sia un minimo di accordo sulla condotta pratica in aula (per evitare episodi spiacevoli di incomprensione), il terreno comune non sono le specifiche arringhe degli avvocati, ma la chiara rivendicazione della lotta NO TAV e delle sue memorabili giornate.
Forse pecco di ingenuità, ma la questione a me sembra tutta qui. Più forti saranno la mobilitazione e la solidarietà, e più difficile sarà per i giudici emettere le loro sentenze.
Ma la posta in gioco va al di là della lotta NO TAV, soprattutto se inseriamo questo processo nel suo contesto più generale.
In questa fase, nonostante i pesanti attacchi alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, l’insoddisfazione e la rabbia sembrano sorde. La collera possibile è inquinata in anticipo dai discorsi martellanti sulla legalità da contrapporre alla corruzione, con i partiti «dalla parte dei cittadini» che si fregiano di non candidare persone con precedenti penali. Se questo mette al riparo, una volta di più, il movimento NO TAV da tentazioni “politiche” (visto il gran numero di denunciati, indagati e processati al suo interno…), costituisce anche un salutare spartiacque. “Legalità” e “onestà” non coincidono affatto. Erano forse onesti i cittadini che denunciavano gli ebrei dopo le leggi razziste del 1938? Sono forse onesti i militari che sparano o bombardano in Afghanistan? È forse onesto chi lavora alla devastazione della Valsusa? E all’opposto: è stato forse disonesto tagliare filo spinato e recinzioni, abbattere muri e fari, bloccare trivelle e treni, occupare autostrade e sedi istituzionali? Non solo lo abbiamo fatto, ma lo abbiamo rivendicato apertamente. Mentre in nome della legge i potenti arraffavano, devastavano, gasavano, bastonavano.
Che un movimento di massa dica questo, oggi, è un contributo per tutte le lotte, per l’autonomia degli sfruttati dalla logica di chi è al potere (e di chi al potere vuole arrivare).
A differenza di principi e buffoni di corte, non abbiamo inquinato territori né avvelenato popolazioni, non abbiamo rubato ai poveri né falsificato bilanci, non abbiamo comprato né venduto favori nei sottoscala di un ministero. Abbiamo trasgredito le leggi, ma a modo nostro. Il senso del giusto lo custodiamo lontano dai tribunali, in luoghi che non si possono perquisire né rinchiudere: i nostri cuori.

Rovereto, 30 ottobre 2012
Massimo Passamani

 

Cronaca della giornata da anarresinfo.noblogs.org

Mercoledì 21 novembre. Circa 150 No Tav presidiano il tribunale con bandiere e striscioni. È il primo giorno del processo ai 45 attivisti rinviati a giudizio per la resistenza allo sgombero della Maddalena e per la giornata di lotta del 3 luglio 2012.
L’aula dove è fissata l’udienza è una di quelle piccoline piccoline, la numero 46. Non ci stanno nemmeno gli avvocati, figurarsi gli imputati e i solidali che, in tanti, vorrebbero assistere al processo, cogliendo l’occasione per salutare Maurizio, Alessio e Juan, i tre No Tav ancora privati della libertà dal 26 gennaio scorso.
Subito scoppia la bagarre, finché il giudice si decide a trasferire l’udienza in un’aula più grande, la numero tre. Nemmeno questa basta a contenere tutti, quelli della penitenziaria fanno cordone davanti alla gabbia per i detenuti. Ci vuole una buona mezz’ora prima che, in un’aula stipatissima, dove tutte le regole formali, tutte le divisioni fisiche sono saltate, con gli imputati mescolati al pubblico e agli avvocati, vengano fatti entrare i due detenuti, accolti da un applauso e dal grido “libertà”!
Il giudice non guarda in faccia nessuno, quasi fatica a fare l’appello, accoglie di fretta alcune eccezioni procedurali e rimanda tutto al 21 gennaio. Poi comunica il calendario delle udienze: oltre venti entro maggio, mese nel quale ne sono fissate ben 5. Una marcia a tappe forzate, per arrivare presto alla conclusione, per dare una lezione ad un movimento vivo e forte, che non si è piegato ad un anno e mezzo di occupazione militare, alle violenze della polizia, ai gas velenosi.
La Procura di Torino vuole un processo esemplare, un processo che divida i buoni dai cattivi, che separi i violenti dai non violenti.
Ha fatto male i propri conti perché il movimento No Tav, è sempre più unito dalla consapevolezza che non si vince se non mettendosi in mezzo, violando le zone rosse, tagliando le reti, bloccando gli accessi alle ditte collaborazioniste, chiudendo la via maestra delle truppe di occupazione.
Qualcuno tira sassi, altri non li tirano: tutti però hanno scelto di violare leggi messe a difesa di un ordine ingiusto, un ordine che difende chi devasta e depreda il territorio e le risorse, un ordine che perseguita chi lotta in difesa dell’ambiente e per la giustizia sociale.
Oggi, nell’aula 3 del tribunale di Torino, mentre il giudice chiudeva l’udienza e i secondini di preparavano a portare via i due No Tav in gabbia, l’aula si è riempita del grido “giù le mani dalla Val Susa!”. Decine di mani si sono allungate verso la gabbia, mani diverse, anime diverse di un movimento che, facendo della propria diversità una ricchezza, sa unirsi nella solidarietà.
È cominciato il processo ai No Tav o quello alla Procura di Giancarlo Caselli?