dal Manifesto del 12/04/11
VIETATO CRITICARE I MILITARI
Blogger SENZA DIVISA
Maikel Nabil ha denunciato le torture perpetrate dall’esercito e svelato la continuità tra il regime di Mubarak e il Consiglio supremo che ora governa l’Egitto. Rivelazioni pagate con l’arresto, per «aver diffuso informazioni false e insultato le forze armate»
Se il giovane blogger Wael Ghonim sarà ricordato come uno degli eroi della rivoluzione (incompiuta) del 25 gennaio contro l’ex raìs Hosni Mubarak, il suo «collega», altrettanto giovane, Maikel Nabil passerà alle cronache come il primo internauta condannato dal Consiglio supremo delle Forze Armate. A nulla sono serviti gli interventi di Human rights watch e di Reporters sans frontieres. Ieri il tribunale militare egiziano ha condannato Nabil a tre anni di carcere per il suo blog intitolato «L’esercito e il popolo non sono mai dalla stessa parte», uno spazio libero sul web ricco di analisi approfondite sul ruolo delle forze armate durante e, soprattutto, dopo la cacciata di Mubarak. I militari, ha denunciato Nabil, hanno praticato la tortura nei confronti di non pochi arrestati. Non solo, la posizione di «neutralità» dell’esercito è solo di facciata dal momento che, di fatto, continua a sostenere «la polizia segreta e i criminali che lavoravano per Mubarak».
Il blogger ha sottolineato che la rivoluzione del 25 gennaio ha costretto il «dittatore Mubarak a farsi da parte, ma la dittatura è ancora in vigore». Analisi «illuminante» visto quanto è accaduto al Cairo nella notte tra sabato e domenica, quando in piazza Tahrir le cariche della polizia militare contro il sit in permanente di manifestanti che chiedono l’incriminazione di Mubarak hanno provocato due morti e decine di feriti oltre a complicare ulteriormente un quadro politico già particolarmente difficile. Il giovane blogger sconta anche il fatto di essere il più attivo obiettore di coscienza in Egitto. Fondatore nel 2009 di un movimento contro la leva obbligatoria, l’anno successivo è stato arrestato per aver chiesto l’esonero dal servizio militare per motivi di coscienza. Nabil ha partecipato attivamente alla rivolta contro Mubarak ma, dicono amici e familiari, non ha condiviso l’entusiasmo popolare per il ruolo dell’esercito nel periodo di transizione.
Le sue parole, dirette, che non lasciano spazio a interpretazioni, hanno fatto scattare la mannaia della «giustizia militare». Arrestato il 28 marzo, Nabil è stato condannato per aver «diffuso informazioni false» e «insultato le forze armate», al termine del primo processo contro un blogger da quando il Consiglio supremo delle Forze Armate è al potere, in seguito alle dimissioni di Mubarak lo scorso 11 febbraio. «Nella presunta nuova era di diritti in Egitto, è scioccante vedere un esecutivo militare perseguire qualcuno per aver scritto sull’esercito», ha commentato Sarah Leah Whitson, responsabile di Human rights watch per il Medio Oriente. «Questo processo segna un pericoloso precedente in un momento di transizione che dovrebbe allontanare il paese dall’era di Mubarak» ha aggiunto Whitson.
Ma è davvero un precedente o la condanna di Nabil rappresenta la continuità con un passato che non è ancora alle spalle, come l’ex raìs ha voluto sottolineare l’altro ieri, a due mesi dalla sua cacciata, con un discorso pubblico (registrato e mandato in onda dalla compiacente tv satellitare saudita al Arabiya ), con il quale ha annunciato che si difenderà, anche davanti ai giudici, dall’accusa di aver accumulato all’estero un’ingente fortuna durante i trent’anni trascorsi al potere. Il verdetto contro Nabil è stato emesso quasi in segreto e non alla presenza degli avvocati, ha denunciato Gamal Eid, legale del giovane condannato. Certo, è prevista la possibilità di ricorrere in Cassazione ma per il momento Nabil resta dietro le sbarre, così come altre centinaia di egiziani che, denunciano i centri per i diritti umani, sono stati arrestati e attendono di essere processati in tribunali militari. «L’Egitto non sarà mai un posto sicuro per i blogger», ha commentato su Twitter Wael Abbas, un altro internauta, mentre in piazza Tahrir ieri capannelli di persone, molte delle quali mai viste nei giorni della rivolta contro Mubarak, continuavano a discutere del ruolo dell’esercito tra il filo spinato che da sabato scorso in molti punti chiude gli accessi al luogo simbolo della protesta contro l’ex presidente. «(Il capo del Consiglio delle Forze armate) Hussein Tantawi è colluso con Mubarak, ha lavorato per anni sotto di lui (in qualità di ministro della difesa, ndr ) e ora continua a fare il doppio gioco» sostiene Tareq, un ragazzo che non vuole dire il suo cognome per paura di ritorsioni.
Altri denunciano le versioni inverosimili fornite dall’Esercito per spiegare quanto è accaduto la scorsa settimana in piazza Tahrir. «I generali dicono che a provocare gli incidenti sarebbero stati degli infiltrati del passato regime, ma io ho visto caricarci agenti della polizia militare e nessun altro», spiega un altro giovane. A guidare il fronte della fermezza sono i ragazzi del «Movimento 6 aprile», protagonista della rivolta di gennaio e febbraio, che dopo i fatti della scorsa settimana ha interrotto i contatti con il Consiglio supremo delle Forze Armate e spinge sull’acceleratore dell’incriminazione di Mubarak, dei suoi familiari e di parecchi membri del suo entourage. Ma il tempo non è dalla loro parte e l’opposizione tradizionale che si muove in ordine sparso, con i Fratelli Musulmani che continuano a flirtare con l’Esercito e una parte della sinistra che da un lato condanna le violenze contro il sit in in piazza Tahrir e dall’altro sostiene la collaborazione piena con i militari. «Ma a fare il gioco dei generali è soprattutto il desiderio di stabilità di buona parte degli egiziani – ci spiega il giornalista Ayman Hamed – oltre alle difficoltà economiche del paese, aggravate dal calo delle presenze turistiche, e all’aumento del costo della vita (dell’11 % a marzo, ndr ) senza dimenticare il crollo della Borsa ogni volta che la tensione torna a salire nel paese».
Un clima pericoloso che rischia di creare le condizioni per un nuovo pesante intervento contro gli attivisti intenzionati a portare avanti il presidio permanente in piazza Tahrir e a tenere alto lo spirito della rivolta contro Mubarak e per la costruzione di un nuovo Egitto. Ormai sono sempre di meno i giovani che credono all’assicurazione data dai militari che le Forze Armate appoggiano e continueranno ad appoggiare la rivoluzione del 25 gennaio.
Il blogger ha sottolineato che la rivoluzione del 25 gennaio ha costretto il «dittatore Mubarak a farsi da parte, ma la dittatura è ancora in vigore». Analisi «illuminante» visto quanto è accaduto al Cairo nella notte tra sabato e domenica, quando in piazza Tahrir le cariche della polizia militare contro il sit in permanente di manifestanti che chiedono l’incriminazione di Mubarak hanno provocato due morti e decine di feriti oltre a complicare ulteriormente un quadro politico già particolarmente difficile. Il giovane blogger sconta anche il fatto di essere il più attivo obiettore di coscienza in Egitto. Fondatore nel 2009 di un movimento contro la leva obbligatoria, l’anno successivo è stato arrestato per aver chiesto l’esonero dal servizio militare per motivi di coscienza. Nabil ha partecipato attivamente alla rivolta contro Mubarak ma, dicono amici e familiari, non ha condiviso l’entusiasmo popolare per il ruolo dell’esercito nel periodo di transizione.
Le sue parole, dirette, che non lasciano spazio a interpretazioni, hanno fatto scattare la mannaia della «giustizia militare». Arrestato il 28 marzo, Nabil è stato condannato per aver «diffuso informazioni false» e «insultato le forze armate», al termine del primo processo contro un blogger da quando il Consiglio supremo delle Forze Armate è al potere, in seguito alle dimissioni di Mubarak lo scorso 11 febbraio. «Nella presunta nuova era di diritti in Egitto, è scioccante vedere un esecutivo militare perseguire qualcuno per aver scritto sull’esercito», ha commentato Sarah Leah Whitson, responsabile di Human rights watch per il Medio Oriente. «Questo processo segna un pericoloso precedente in un momento di transizione che dovrebbe allontanare il paese dall’era di Mubarak» ha aggiunto Whitson.
Ma è davvero un precedente o la condanna di Nabil rappresenta la continuità con un passato che non è ancora alle spalle, come l’ex raìs ha voluto sottolineare l’altro ieri, a due mesi dalla sua cacciata, con un discorso pubblico (registrato e mandato in onda dalla compiacente tv satellitare saudita al Arabiya ), con il quale ha annunciato che si difenderà, anche davanti ai giudici, dall’accusa di aver accumulato all’estero un’ingente fortuna durante i trent’anni trascorsi al potere. Il verdetto contro Nabil è stato emesso quasi in segreto e non alla presenza degli avvocati, ha denunciato Gamal Eid, legale del giovane condannato. Certo, è prevista la possibilità di ricorrere in Cassazione ma per il momento Nabil resta dietro le sbarre, così come altre centinaia di egiziani che, denunciano i centri per i diritti umani, sono stati arrestati e attendono di essere processati in tribunali militari. «L’Egitto non sarà mai un posto sicuro per i blogger», ha commentato su Twitter Wael Abbas, un altro internauta, mentre in piazza Tahrir ieri capannelli di persone, molte delle quali mai viste nei giorni della rivolta contro Mubarak, continuavano a discutere del ruolo dell’esercito tra il filo spinato che da sabato scorso in molti punti chiude gli accessi al luogo simbolo della protesta contro l’ex presidente. «(Il capo del Consiglio delle Forze armate) Hussein Tantawi è colluso con Mubarak, ha lavorato per anni sotto di lui (in qualità di ministro della difesa, ndr ) e ora continua a fare il doppio gioco» sostiene Tareq, un ragazzo che non vuole dire il suo cognome per paura di ritorsioni.
Altri denunciano le versioni inverosimili fornite dall’Esercito per spiegare quanto è accaduto la scorsa settimana in piazza Tahrir. «I generali dicono che a provocare gli incidenti sarebbero stati degli infiltrati del passato regime, ma io ho visto caricarci agenti della polizia militare e nessun altro», spiega un altro giovane. A guidare il fronte della fermezza sono i ragazzi del «Movimento 6 aprile», protagonista della rivolta di gennaio e febbraio, che dopo i fatti della scorsa settimana ha interrotto i contatti con il Consiglio supremo delle Forze Armate e spinge sull’acceleratore dell’incriminazione di Mubarak, dei suoi familiari e di parecchi membri del suo entourage. Ma il tempo non è dalla loro parte e l’opposizione tradizionale che si muove in ordine sparso, con i Fratelli Musulmani che continuano a flirtare con l’Esercito e una parte della sinistra che da un lato condanna le violenze contro il sit in in piazza Tahrir e dall’altro sostiene la collaborazione piena con i militari. «Ma a fare il gioco dei generali è soprattutto il desiderio di stabilità di buona parte degli egiziani – ci spiega il giornalista Ayman Hamed – oltre alle difficoltà economiche del paese, aggravate dal calo delle presenze turistiche, e all’aumento del costo della vita (dell’11 % a marzo, ndr ) senza dimenticare il crollo della Borsa ogni volta che la tensione torna a salire nel paese».
Un clima pericoloso che rischia di creare le condizioni per un nuovo pesante intervento contro gli attivisti intenzionati a portare avanti il presidio permanente in piazza Tahrir e a tenere alto lo spirito della rivolta contro Mubarak e per la costruzione di un nuovo Egitto. Ormai sono sempre di meno i giovani che credono all’assicurazione data dai militari che le Forze Armate appoggiano e continueranno ad appoggiare la rivoluzione del 25 gennaio.