CRISI/ La profezia berlusconiana all’incontrario

CRISI/ Un milione di posti di lavoro persi

Crisi, tra fallimenti e chiusure un milione di posti di lavoro persi

da Repubblica-Espresso

Lavoro, la grande crisi

Cento vertenze ferme nel 2011 sul tavolo del governo, grandi marchi del made in Italy che se ne vanno all’estero. Ma anche lavoratori in lotta, multinazionali straniere in arrivo e nuove prospettive di impresa. Ecco il ritratto del Paese che cerca di uscire dal tunnel

Crisi, tra fallimenti e chiusure
un milione di posti di lavoro persi

Così tre anni di recessione hanno cambiato l’economia e il Paese. Dietro la scomparsa di marchi storici e piccole aziende anonime, il dramma di imprenditori e lavoratori. Colpiti tutti i settori e tutto il territorio. Il ruolo della politica e dei media. Le ripercussioni sociali

L’omino coi baffi della Bialetti se n’è andato, la modella della Omsa pure. Se si cercano simboli della fine di una certa industria italiana, il passaggio della crisi ne lascia a decine. Un triennio di recessione ha sconvolto il tessuto produttivo nazionale, travolgendo grandi e piccoli marchi, cancellando aziende storiche della tradizione italiana e lasciando, infine, sul terreno quasi un milione di persone senza più lavoro.

Distretti al tappeto
– La crisi ha colpito tutti i distretti: dalle piastrelle di Modena al mobile imbottito della Murgia (Puglia e Basilicata), dalle scarpe e le pelli della valle fra Civitanova e Macerata al mobile in legno di Brugnera in Friuli, dalla chimica industriale sull’asse Sardegna-Adriatico (Vinyls, Alcoa, Eurallumina, Nuova Pansac) fino ai casalinghi d’autore della Val d’Ossola. Qui a Omegna, esempio classico di come la maestria artigianale e il design italiano si fanno industria, quando è andata bene si è salvata la “testa” (la progettazione), come dicono i manager per addolcire le delocalizzazioni. Il resto, la produzione, è andato: in Cina le pentole Lagostina, in Cina e Romania la storica Moka dell’omino coi baffi. I lavoratori della Bialetti si sono visti presentare un piano industriale con 85 esuberi su 130 posti e la produzione di cialde da caffè al posto delle caffettiere. Morale, stabilimento chiuso dal 2009, tutti in cig fino al prossimo giugno. Poi si vedrà.

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Nessun settore si salva – Ha chiuso la Streglio che a Torino faceva cioccolata da un secolo e hanno chiuso o sono fallite la Moto Morini e la Malaguti. Tutti i comparti hanno pagato prezzi pesanti. Dall’industria ai servizi, in ogni angolo d’Italia, il passaggio della crisi ha lasciato a terra ogni volta, con i suoi simboli, i destini di singoli, di decine o di centinaia di lavoratori, donne, uomini, famiglie. Cosa è cambiato rispetto al passato? Che a uscire dalla società del lavoro, con i giovani dal contratto a termine, sono stati molti padri e madri “adulti” e persino nonni, finiti in un limbo temporale sempre esposto alle riforme previdenziali, troppo vecchi per trovare nuovo impiego, troppo giovani per la pensione, sospesi in quella mobilità che è quasi sempre statica perché non porta in alcun luogo dove a una prestazione corrisponde un civile salario, ma solo fuori.

Le ripercussioni sociali – Quel fuori è solo in parte nelle cifre di Confindustria o dei sindacati. Lo si coglie semmai nei conteggi della Caritas sulle presenze italiane cresciute alle mense dei poveri o nelle file per il ritiro dei pacchi alimentari. Presto, quando le statistiche saranno pronte, lo si coglierà nel “ritorno” degli italiani in cronaca nera. Quel fuori sono le storie private – parte del Tutto seppure sparse e distanti come le “piccole crisi senza importanza” da cui era iniziato il viaggio di Repubblica.it nella recessione – di chi deve campare con 800 euro di assegno di cassa integrazione, spesso in ritardo di mesi e mesi e i suicidi dei licenziati e degli imprenditori rimasti appesi a crediti inesigibili (perché dovuti da altre vittime della crisi) e a debiti ineludibili perché inseguiti dalla spietata burocrazia delle banche.

La crisi della Pm al Nord – Di tutto ciò non esiste dato nazionale. Servono certezze per attribuire ragioni a un gesto così privato, ma Luciano Cagnin, senatore della Lega Nord, per attaccare il governo Monti afferma che nell’ultimo periodo solo nel Nord Est si sono uccisi 50 imprenditori, “gettati sul lastrico dal sistema bancario e politico”. La fonte è ignota, i casi singoli però emergono dall’attualità locale e fanno fenomeno nel Nord Est dove la piccola e media impresa – il miracolo italiano – ha prosperato anche su relazioni aziendali che sono di vicinanza, di paese, quando non parentali e dove la crisi ha imposto il licenziamento di amici e familiari e una sorta di trasmissione comunitaria della rovina.

I numeri freddi –  Poi ci sono le cifre ufficiali, fredde, quelle su cui si fanno le statistiche. Cominciando dagli espulsi, i numeri non sono così certi. Parlando di lavoratori, il triennio della crisi avrebbe portato all’espulsione dal lavoro di quasi 400mila italiani. Secondo la Fillea Cgil, solo nell’edilizia si sarebbero persi 300mila posti di lavoro. Secondo Confindustria, invece, con un calo del Pil dell’1,6%, a fine anno saranno oltre un milione i posti cancellati e 800mila i lavoratori che avranno perso il posto dal 2008 a oggi. Il tasso Istat di disoccupazione è all’8,9% che secondo i calcoli della Cgil diventa dell’11% se si considerano i lavoratori in cassa straordinaria e senza speranza di rientro. Nel 2010 le aziende italiane hanno richiesto un miliardo e 200mila ore di cassa integrazione; nel 2011 si è “calati” a oltre 900 milioni. L’Inail rileva un calo degli incidenti sul lavoro con esito mortale. Secondo i sindacati, il dato è connesso al minor numero di persone al lavoro.

Imprese, società e famiglie –  Stesso scenario dai numeri sulle imprese e le società. Nel 2011 i fallimenti sono aumentati del 7% rispetto all’anno prima (dato Cerved) ed hanno riguardato soprattutto le piccole e medie imprese. Le sofferenze bancarie, i crediti diventati difficilmente esigibili, sono cresciute in un anno del 40%, toccando quota 102 miliardi. L’effetto inevitabile è stato una stretta sul credito, da parte delle banche, che ha contribuito ad accentuare le difficoltà e i tentativi di ripresa delle imprese. In questo contesto si sono mossi anche squali e volpi e dietro i casi estremi come quello Eutelia-Agile-Omega il triennio registra un aumento deciso anche delle bancarotte fraudolente, spesso in danno dei lavoratori oltreché dei soci e del fisco.

Il ruolo della politica – Nel procedere dello tsunami che ha travolto l’economia italiana, in generale la politica si è mossa, tra presenzialismi locali e assenza nazionale, con un’attenzione insufficiente, quasi che non fosse ben consapevole di quello che ogni giorno, in piccole imprese e grandi aziende, stava accadendo. L’esempio dall’alto: il governo Berlusconi è rimasto per mesi senza ministro per lo sviluppo economico, per le dimissioni di Claudio Scajola, nel momento in cui la crisi era al suo apice (maggio 2010) e chiusure, ristrutturazioni, annunci di cassa e licenziamenti diventavano un bollettino di guerra quotidiano. L’interim assunto dal premier aveva scarso valore mentre al Mise si moltiplicavano i tavoli di crisi. Senza un’autorità di riferimento, molte aziende potevano permettersi di ignorare l’invito a partecipare a quei tavoli, a rendere conto delle decisioni annunciate, a trattare e ritrattare. Come fece per mesi, per citarne solo una, la Federal Mogul, multinazionale americana che decise la chiusura del sito di Desenzano per spostare la produzione in Polonia, Russia e India. Gli oltre 180 dipendenti lasciati a spasso rimasero per 596 giorni a presidiare la fabbrica fino ad ottenere, se non altro, un impegno alla reindustrializzazione del sito “sostenuta” finanziariamente anche dal padrone in fuga.

La vertenza cerca media – In questo vuoto di espressione e rappresentanza politica e mediatica, lavoratori e sindacati hanno cercato sul web modi alternativi per far conoscere le proprie vertenze. Il caso più noto è quello dell’Isola dei cassintegrati, racconto in diretta dell’occupazione dell’ex carcere dell’Asinara, attuata per mesi dai lavoratori sardi del polo chimico di Porto Torres davanti allo spettro della chiusura della Vinyls. Ma di molte lotte di questo triennio resta traccia in siti e blog tematici tenuti dai lavoratori come quello di Agile-Eutelia. Il fenomeno è cresciuto soprattutto fra i precari e i giovani e in settori come quello dei call center, altro terreno sul quale  –  a partire dal crac Phonemedia –  gli effetti della crisi si sono accompagnati ad operazioni spregiudicate spesso per beneficiare di fondi pubblici e comunque sempre in danni dei lavoratori.

Riforme in arrivo – E’ dunque questo lo scenario in cui si trova a operare il governo Monti e sul quale piomberanno le annunciate riforme del lavoro ed è questo scenario di precarietà contrattuali ed esistenziali a spaventare sindacati e lavoratori se il futuro porterà maggiore flessibilità in uscita con la fine dell’Articolo 18. Né è così semplice pensare di fare come l’omino della Moka: piantare tutto e andare all’estero. 07 febbraio 2012