Acqua/ Privatizzazione/ Carnia, Comuni ribelli

MV 20 novembre 2009

Acqua: «Mai ai privati»
Viaggio tra i Comuni ribelli

acqua

L’oculatezza contro lo sperpero, la periferia contro il “centro”, la responsabilità contro la burocrazia. Davide contro Golia. Non è una guerra ideologica: è una battaglia di principio. E che l’acqua non debba essere privatizzata lo pensano quattro Comuni ribelli: Cercivento, Comeglians, Forni Avoltri e Ligosullo che hanno detto a «un irresponsabile diktat».

 

Acqua: «Mai ai privati»
Viaggio tra i Comuni ribelli

di Domenico Pecile

TOLMEZZO. L’oculatezza contro lo sperpero, la periferia contro il “centro”, la responsabilità contro la burocrazia. Davide contro Golia. Non è una guerra ideologica, non è una crociata e non è neppure la difesa di rendite di posizione: è una battaglia di principio. E di buon senso, buon senso contro supponenza, iattanza e malafede, buon senso ereditato dalla storia, buon senso che ha fatto di necessità virtù. E che ha stabilito da sempre che in montagna più che altrove l’acqua non ha rilevanza economica e che per questo non c’entra nulla con le gare europee. E che per questo deve starsene discosta e protetta dagli appetiti talvolta famelici di spa o multinazionali che hanno fiutato il più grande business del futuro.

La pensano così i quattro Comuni ribelli: Cercivento, Comeglians, Forni Avoltri e Ligosullo, neppure 2 mila 300 anime in tutto, che, ancor prima della bagarre del decreto Ronchi che privatizza l’a cqua, hanno ingaggiato un durissimo braccio di ferro con chi quell’a cqua – come dicono i rispettivi sindaci – ce la vuole scippare. Così, quando è arrivato il morbido “invito”, rigorosamente bipartisan, dal centro che rulla ogni pretesa federalista di richiesta ai Comuni della Carnia di consegnare all’Ato (Ambito territoriale ottimale), gli acquedotti, le reti e il servizio idrico, i quattro Comuni ribelli hanno detto no, che non se ne parla neppure, perché quell’invito altro non era ed è che «un irresponsabile diktat».

I quattro Comuni ribelli, che i rispettivi sindaci hanno ribattezzato «resistenti», hanno convocato le assemblee comunali, convinti che qualcuno abbia voluto rompere un bel giocattolino, funzionante alla perfezione da decenni. E all’unanimità queste hanno sconfessato la consegna, armi e bagagli, dell’oro bianco all’A to che a sua volta avrebbe, come ha fatto con gli altri Comuni carnici, affidato la gestione alla Carniacque Spa. «La nostra scelta – spiega il sindaco di Cercivento Dario De Alti, primo sindaco iscritto a Fi in Friuli prima dell’addio ai forzisti – era confortata dal fatto che il decreto legislativo 152, articolo 5, dava la facoltà ai Comuni montani con popolazione inferiore a 1000 abitanti di mantenere il servizio idrico».

Ma non è bastato, perché – come ricorda ancora il sindaco – l’Ato, con delibera del 14 luglio 2008, «ci ha intimato di consegnare entro 30 giorni gli impianti». Ma il Comune di Cercivento e gli altri tre non mollano. E non solo replicano all’Ato che avrebbero resistito all’ultimatum, ma nel frattempo fanno ricorso al Tribunale superiore delle acque pubbliche di Roma. Insomma, la guerra dell’acqua era cominciata. E ora attende il verdetto romano, che tuttavia non spaventa i Comuni “resistenti”, sempre più convinti a fare quadrato per non rinunciare alla loro acqua e ai loro impianti, costruiti e gestiti sempre con oculatezza.

Spiegano ancora De Alti e i suoi colleghi di Comeglians, Fabio De Antoni, di Ligosullo, Giorgio Morocutti, di Forni Avoltri, Manuele Ferrari: «I nostri consigli comunali considerano l’acqua un servizio con valenza civile e sociale, cioè senza rilevanza economica, e per questo ritengono che possa, anzi, debba evitare la gara europea uscendo dagli appetiti dei troppi che hanno messo gli occhi sull’acqua per fare principalmente cassa piuttosto che pensare alle tasche e ai problemi della gente».

Già, ma che cosa dicono gli altri sindaci, quelli che hanno aderito all’Ato? «I malumori sono sempre più evidenti – è la replica –, ma non sanno come fare retromarcia. Temono di finire nel tritacarne di un “gioco” più grande di loro. Hanno creduto alle promesse, alle parole dei partiti tutti ed ecco com’è andata a finire». Già, com’è andata a finire nei comuni carnici il cui servizio idrico è adesso gestito da Carniacque?

La replica è affidata a Franceschino Barazzutti, ex comunista, ex consigliere regionale del Pdup, adesso politicamente “cane sciolto”, presidente del Comitato per la tutela delle acque del bacino montano del Tagliamento. Sorride. Poi esplode: «Già, perché gli altri Comuni tacciono, pur sapendo di aver preso una cantonata? Diciamo che c’è stata una campagna politica massiccia per convincerli della bontà dell’operazione. In prima fila c’era il centro-sinistra, quello che oggi sbraita contro la privatizzazione e che adesso fa finta di scandalizzarsi. E i sindaci si sono allineati, allineati e coperti». Ma Barazzutti va oltre. E dice che «Carniacque aveva stabilito con accordo scritto che ai Comuni spettava il 30% dei proventi. Peccato che non sia andata così, anzi».

 

I sindaci “resistenti” sottolineano che «Carniacque ha accumulato nel primo anno di gestione 130 mila euro di deficit. Che cosa ha fatto per uscire da questo vicolo cieco? Semplice – insiste ironico Barazzutti –; per ripianare questo “buco” hanno chiesto ai Comuni di rinunciare a questo 30 per cento. E i Comuni zitti zitti hanno obbedito. Altro che battagli di retroguardia, la nostra».
Storie di ordinarie privatizzazioni. Promesse di efficienza, di efficacia, di economie di scala, di prospettive, di progetti. E soprattutto di modernità con la emme maiuscola.

«Aria fritta», sibila ancora Barazzutti, che come i suoi colleghi sottolinea che lo scontro non è tra pubblico e privato. La “ resistenza” è contro la prepotenza di chi impone senza sapere, ma anche «nell’errore di chi obbedisce e tace salvo poi pentirsi amaramente».

«Ci avevano raccontato – ribatte il sindaco di Cercivento – che si sarebbero realizzate economie di scala e che il servizio sarebbe stato migliore. Tute balle. Prima quando c’era un problema bastava una telefonata al Comune e tutto era risolto in poco tempo, anche perché tutte le amministrazioni hanno sempre avuto un occhio di riguardo per il mantenimento efficiente delle reti. Adesso le tariffe sono aumentate, triplicate e il servizio di manutenzione fa letteralmente acqua».

Immaginate un vecchietto di Ligosullo che telefona per un guasto «e s’imbatte nella registrazione di un call center che lo erudisce sul tragitto telefonico. Pazzesco!». Sì, immaginate il servizio di manutenzione che parte da Tolmezzo per arrivare a Sauris o a Timau magari sotto una tormenta di neve. «Anche perché – rimarca Barazzutti – il servizio tecnico di manutenzione lo fa l’Amga, che arriva da Udine».

Se il ricorso al Tribunale superiore delle acque dovesse essere respinto? I sindaci resistenti non hanno dubbi: «Tutta le gente è con noi ed è pronta alla mobilitazione». In barba ai diktat e ai business.

(20 novembre 2009)