Pordenone: contro la chiusura dell’ambulatorio per clandestini (Rassegna stampa)

Messaggero Veneto di Pordenone

Due africane salvate in extremis a Pordenone: temevano la denuncia dei medici

di Elena Del Giudice

PORDENONE. Sono già due, due storie clandestine di aborto e disperazione provocate dalla paura di rivolgersi all’a mbulatorio di via Montereale per ricevere aiuto e assistenza. Due giovani donne salvate in extremis e che hanno rischiato di morire. «Forse a qualcuno non interessa, ma a noi sì. Era già accaduto» racconta Gabriel Tshimanga, uno dei due medici che garantiscono assistenza agli “irregolari” in città.

Qualche tempo fa a una giovane donna africana che era rimasta incinta e aveva abortito in casa ricorrendo a dei farmaci, forniti chissà da chi, erano sopravvenute complicazioni. La ragazza era arrivata a Pordenone per cercare lavoro dalla Sardegna, e siccome era troppo spaventata per rivolgersi al nostro ambulatorio, «è tornata in quella regione per farsi medicare ed è stata ricoverata con urgenza».

Pochi giorni fa il secondo episodio: un’altra giovane donna straniera ha fatto ricorso a medicinali per procurare l’aborto, salvo trascorrere poi i dieci giorni successivi alle prese con dolori atroci. Solo l’intervento del dottor Tchimanga, avvertito della situazione, ha impedito che per questa donna non ci fosse più scampo. Si è recato nella casa dove la ragazza risiedeva, l’ha caricata in auto e l’ha portata al Santa Maria degli Angeli dove è stata curata.

Gli aborti clandestini, tra le donne extracomunitarie, non sono poi molto diversi dalle interruzioni di gravidanza che, fino a qualche anno fa – e forse anche adesso – si praticavano con l’aiuto delle “ mammane” o di pozioni-miscuglio di medicinali prescritti per altre patologie ma che sono anche in grado di indurre l’aborto. E ora queste donne «praticano le interruzioni di gravidanza “fai da te” – prosegue il medico -, assumono dosi eccessive di aspirina o di altri farmaci, rimedi suggeriti da amiche e conoscenti, perchè non sanno come altro fare».

Non solo aborti nell’ombra della clandestinità, anche «malattie infettive che andrebbero seguite nella loro evoluzione – prosegue Tshimanga -. Ci capita di visitare ragazzi che, per l’appunto, hanno contratto una malattia infettiva e che trascorrono molto tempo senza farsi vedere, rischiando la propria salute. Preoccupano situazioni come queste, di malattie acute che vengono trascurate perchè la gente ha paura di farsi visitare da un medico e di recarsi all’ambulatorio per ricevere cure e assistenza, perchè possono degenerare e c’è il rischio che possano morire. Magari a qualcuno potrà far piacere questa cosa, ma a noi, che siamo medici, certamente no».

Al dottor Tshimanga accade di fare ricette per strada, a persone che hanno davvero bisogno di medicine, e che trascurano una patologia importante perchè non sono in grado di valutarla. E andrà sempre peggio. «Chi propone il test per la tubercolosi a chi chiede il visto per l’Italia – rimarca il medico – bisognerebbe ricordare che i clandestini non richiedono il visto» e che solo gli ambulatori come quello pordenonese possono intercettare casi di Tbc o di altre malattie.

Finchè non ci saranno atti ufficiali, l’ambulatorio di via Montereale continuerà a restare aperto: «domani noi saremo lì regolarmente», è l’impegno del medico. E in difesa di questo presidio sabato in piazzetta Cavour, dalle 16.30, ci sarà una manifestazione promossa da Iniziativa libertaria alla quale hanno aderito l’Associazione immigrati e il Comitato per i diritti civili delle prostitute, che non a caso richiama l’attenzione sulla “ Disumanità”.

Anche domani sera si parlerà di “Immigrazione tra legalità e solidarietà” nell’ambito di un convegno promosso da Cittàdomani, Centro servizi del volontariato, l’associazione San Pietro Apostolo, con il sostegno della Bcc Pordenonese e il patrocinio, guarda caso, della Regione Friuli Venezia Giulia.

L’incontro inizierà alle 20.30, nella sala convegni della Bcc di via Mazzini a Pordenone, e interverranno Chiara Mio, assessore del Comune di Pordenone e docente universitaria, Beatrice De Vouka, operatrice sociale Fai e Anffas, Maria Tereza Zanolin, referente progetti intercultura e Andrea Barachino, referente servizi Segno della diocesi.